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Roma e Lazio, quanto costano le manovre estive
1.100 euro di costi diretti e 180 per i tagli alla spesa della Regione: il conto di Tremonti nel Rapporto Sbilanciamoci! e Cgil Lazio
Qual è l’impatto per i residenti a Roma e nel Lazio delle manovre di austerità degli ultimi mesi? La risposta la offre un nuovo rapporto di Sbilanciamoci!, realizzato con la Cgil, relativo agli effetti delle manovre estive del governo Berlusconi. Per ogni provvedimento esaminato viene stimato l’impatto annuale per ogni residente e per ogni famiglia, sottolineando le variazioni dell’impatto per le diverse categorie di cittadini. I provvedimenti sono stati selezionati in base al loro impatto sociale e alla rilevanza economica per le famiglie e nel complesso ‘valgono’ circa 62,6 miliardi fra il 2011-2014 per l’Italia nel suo insieme.
Le manovre estive contengono misure di politica fiscale che colpiscono pesantemente i cittadini a Roma e nel Lazio e concorrono a deprimere i redditi disponibili delle fasce meno abbienti della popolazione, con effetti negativi sull’economia locale e sulla distribuzione della ricchezza. Il rapporto, pur quantificando solo parte dei provvedimenti delle manovre estive (circa 62,6 miliardi di effetti diretti sui cittadini oltre a 18,8 miliardi di tagli agli enti locali), sottolinea la drammaticità dei problemi sociali di Roma e del Lazio, dove a pagare il modello ideologico delle politiche di governo sono in particolare lavoratori pubblici, pensionati e persone con redditi fissi. Le stime mostrano come ogni residente del Lazio, dal neonato all’immigrato, dovrà pagare oltre 1.100 euro per effetti diretti e circa 180 euro per i tagli alla regione (i residenti di Roma debbono sommare altri 94 euro di tagli al Comune). I dati per famiglia per i residenti del Lazio sono di circa 2.700 euro solo per gli effetti diretti delle manovre.
Considerando le singole misure delle manovre, troviamo effetti iniqui e talvolta paradossali. Ad esempio, la riduzione delle agevolazioni fiscali implica un onere pesante per i lavoratori dipendenti e per i pensionati con i redditi più bassi (sotto i 15.000 euro annui), che beneficiano delle detrazioni più alte, seguiti dai dipendenti e pensionati a reddito medio (sotto i 30.000 euro anni), e intacca appena le scarse detrazioni dei lavoratori autonomi. I contributi di solidarietà non sono uguali per tutte le categorie di reddito ma ‘puniscono’ esclusivamente statali e pensionati, poiché per gli altri soggetti sono previsti solo per livelli altissimi di reddito ‘dichiarato’, che nella realtà riguardano pochi cittadini.
I pensionati di anzianità vengono colpiti, ma solo se statali, rinunciando alla liquidazione per 24 mesi oltre all’eliminazione progressiva delle finestre per chiedere la pensione. I dipendenti pubblici e buona parte dei pensionati vedono erodere nel tempo il proprio reddito disponibile, tra un rincaro Iva e una nuova accisa su carburanti e tabacchi, oltre a dover fare i conti con tariffe pubbliche destinate ad aumentare in poco tempo. I cittadini che possiedono redditi appena superiori all’esenzione dal ticket sono costretti a scegliere tra meno salute o meno soldi nel portafogli, dato che l’introduzione di un ulteriore ticket nazionale comporta il paradosso, in alcuni casi, di un servizio sanitario pubblico più caro del privato.
Le regioni, le province e i comuni, tramite un meccanismo ancora oggi non chiaro, vedono scomparire gran parte delle proprie risorse, tanto da dover rinunciare in molti casi alla loro azione in settori chiave come il welfare e i trasporti pubblici. La quantificazione degli effetti indiretti causati dalla scure sulla spesa pubblica locale non è di semplice lettura; i tagli alle autonomie locali non sono un costo sempre monetizzabile, ma un onere che si traduce in file più lunghe, servizi scadenti, mezzi di trasporto meno frequenti. Due i casi emblematici selezionati: le tariffe del trasporto pubblico e la qualità degli asili nido, che dimostrano come, in tempi rapidi, i tagli agli enti locali si tramutano in meno servizi di qualità (asili nido più scadenti) a una tariffa maggiore (biglietti dell’autobus più cari). Per dimostrare che una politica economica diversa è possibile, il rapporto di Sbilanciamoci! offre suggerimenti agli amministratori locali per contrastare almeno gli effetti sociali più gravi e iniqui delle manovre, producendo sviluppo in un territorio che sconterà per anni effetti depressivi.
Il rapporto, corredato di una nota metodologica dettagliata, ha formulato stime elaborate su dati aggregati, prevalentemente di fonte pubblica, seguendo un’impostazione prudenziale. Il risultato è che i cittadini a redditi medi e bassi sono i più colpiti, mentre non c’è concorso dei ‘ricchi’ al risanamento; inoltre sono svuotate le autonomie locali e mancano provvedimenti per lo sviluppo. Purtroppo, buona parte di queste considerazioni vale non solo per le misure estive del governo Berlusconi, ma anche per quelle di dicembre introdotte dalla manovra del nuovo governo Monti. In entrambi i casi le politiche di governo mettono in pericolo la coesione sociale, aumentano le diseguaglianze e non sostengono lo sviluppo. Si colpisce il lavoro e sono lasciati intatti patrimoni, profitti, rendite e grandi ricchezze, mentre l’accondiscendenza verso la categoria ‘invisibile’ degli evasori non è mutata. La strategia di risparmiare i ‘ricchi’ ha reso le manovre poco credibili e la riduzione della spesa pubblica viene realizzata attraverso tagli lineari che non risolvono i problemi strutturali del paese; nell’insieme, queste misure hanno avuto un effetto recessivo tale da far cambiare segno alla crescita del paese nel 2012.
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