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Meno tasse per i giovani?

20/05/2011

In un editoriale del Corriere della Sera (10 maggio) Alesina e Giavazzi descrivono la triste situazione dei giovani nel nostro paese, rispetto ad altri paesi europei: meno giovani cercano lavoro, meno giovani hanno una qualche occupazione (per lo più precaria), e meno giovani si laureano.

Vengono avanzate due proposte: la prima è di abolire la differenza tra contratto a tempo indeterminato e contratti (di vario tipo) a tempo determinato, introducendo la loro posto un contratto unico con tutele crescenti nel tempo. La seconda è di diminuire l’imposta sul reddito per i giovani; “ciò aumenterebbe il reddito disponibile dei giovani e li renderebbe più indipendenti e più impiegabili perché al lordo delle imposte costerebbero meno alle imprese”.

La prima proposta è quella avanzata alcuni anni fa da Boeri e Garibaldi, e presentata in parlamento dal Sen. Ichino (ed altri). Non entro nel merito di questa proposta se non per dire che probabilmente risulterebbe più complicata e meno risolutiva di quanto non si pensi da parte dei proponenti. Vorrei invece concentrarmi sulla seconda proposta. Si tratta infatti di un tema che viene discusso da una decina di anni a livello teorico, nell’ambito della teoria della tassazione ottimale, e su questo tema, come ricordano i due autori, negli USA è stata istituita una commissione presieduta dal neo premio Nobel Peter Diamond.

Alla base della teoria vi è l’idea che l’elasticità dell’offerta di lavoro in età giovanile sia nettamente maggiore rispetto all’età matura (in particolare per le donne), e che quindi una riduzione del prelievo fiscale sulle giovani riduca, anche a parità di prelievo, la perdita secca. Come notano i due autori se la diminuzione del prelievo porta ad un minor costo del lavoro, l’effetto benefico si può spostare dal lato della domanda di lavoro. Questa proposta non presenta problemi dal punto di vista costituzionale, come una precedente proposta di Alesina e Ichino (Andrea) circa la diminuzione dell’imposta sul reddito femminile (rispetto ad un pari livello maschile). Il genere è forever, mentre l’età non lo è, come sapeva bene Lorenzo il Magnifico.

La domanda che pongo è però la seguente: ma l’Irpef, in quanto imposta progressiva, non presenta già intrinsecamente questa caratteristica? Quando si è giovani si guadagna meno, poi progressivamente nel tempo le remunerazioni aumentano, e con esse anche il peso dell’imposta sul reddito. Nella tabella che segue vengono riportati i redditi di una lavoratrice dipendente, senza carichi familiari, nei primi due scaglioni, dove si collocano i tre quarti dei contribuenti, e praticamente tutti i giovani. La tabella inizia da 8000 euro perché fino a quella cifra l’imposta è nulla, in quanto l’imposta lorda è inferiore alla detrazione spettante1. Come si può notare inizialmente l’incidenza dell’imposta è molto bassa, ma tende a crescere rapidamente, e, arrivati al limite del secondo scaglione, ha già superato l’incidenza media generale dell’Irpef (intorno al 19%). In altre parole la nostra imposta presenta un’elasticità molto alta, dovuta al fatto che l’aliquota marginale effettiva del primo scaglione non è del 23%, ma del 30,17%, e quella del secondo scaglione non è del 27% ma del 30,34%2.


Pertanto le giovani lavoratrici iniziano con remunerazioni che hanno un’imposta nulla, o molto bassa3, ma al crescere della remunerazione il prelievo cresce troppo velocemente. Il problema più importante sembra quindi quello di ridurre l’elasticità dell’Irpef, soprattutto nei primi due scaglioni, ed in particolare nel primo. Questo risultato si può ottenere sia riducendo la prima aliquota, ma anche attenuando la decrescenza della detrazione per lavoro, o meglio rendendo completamente piatta (almeno per il primo scaglione). Vi sono molte proposte di revisione organiche dell’Irpef4, che comportano però riduzioni di prelievo ben superiori ad un punto di Pil. Pertanto se i vincoli di bilancio pubblico offrono pochi spazi, dal punto di vista dei giovani una detrazione piatta, fino ad almeno 15000 euro, determina non solo un calo dell’incidenza dell’imposta sui redditi delle giovani, ma in particolare una significativa riduzione dell’elasticità.

1. Mi riferisco qui ad una lavoratrice a tempo indeterminato, anche se magari part time, che ha una detrazione di 1840 euro, pari al 23% di 8000. Per coloro che hanno contratti a tempo determinato (o a progetto) la detrazione, proporzionata alla durata del lavoro, non può scendere sotto i 1380 euro, il che significa (con l’aliquota al 23%) che comunque fino a 6000 euro anche per i precari l’imposta è nulla. Gli ultimi dati Isfol che conosco sulle remunerazioni dei precari parlano di remunerazioni ben sotto i 6000 euro, e per lo più si tratta appunto di precari.
2. In altre parole al 23% bisogna aggiungere un 7,17%, per il primo scaglione, e al 27% un 3,34% per il secondo scaglione, fenomeno dovuto al calo della detrazione, calo più veloce nel primo scaglione e più lento nel secondo (e terzo).
3. Circa una decina di milioni di contribuenti (un quarto del totale) hanno imposta nulla. Anche le detrazioni per spese riconosciute (spese mediche, ecc…) contribuiscono all’azzeramento dell’imposta, ma il fenomeno è determinato principalmente dalle detrazioni per tipo di reddito e per carichi familiari.
4. Si veda su questo il sito del Nens (www.nens.it).

Tratto da www.nelmerito.com