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I numeri della crisi a Roma e provincia

01/02/2013

Qual è l’impatto della crisi sul tessuto sociale ed economico di Roma? Le risposte sono nel rapporto L’economia romana e della provincia nella crisi (2008-2012), curato dalla campagna Sbilanciamoci!

La ricerca si articola in quattro capitoli. Nel primo sono indagate le dinamiche del sistema economico – struttura industriale e specializzazione produttiva, domanda e offerta di lavoro, volume degli scambi – di Roma e provincia nel periodo 2007-2011. Nel secondo capitolo viene esaminato il fenomeno della disoccupazione giovanile attraverso uno specifico focus sui Neet, cioè sui giovani che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione. Il terzo capitolo è dedicato alla costruzione di un innovativo Indicatore Sintetico dell’Economia e del Lavoro per le future dieci Città metropolitane (tra cui, appunto, la provincia di Roma), in modo da offrire un piano di confronto che indichi debolezze ed eccellenze di ciascun territorio, nonché all’elaborazione di un ulteriore indicatore per i sei sistemi territoriali in cui si articola l’area delle provincia di Roma. Nel quarto capitolo sono presentati infine sei casi di imprese, con sede a Roma e provincia, che hanno affrontato con successo la crisi, governandola nel segno dell’innovazione tecnologica, della qualità produttiva, della buona occupazione.

Sistema produttivo e mercato del lavoro: cresce il numero delle imprese attive, non l’occupazione

La struttura industriale della provincia di Roma è tradizionalmente concentrata sulle attività di servizio e sulle costruzioni, con uno scarso peso del comparto manifatturiero. Nel secondo trimestre 2012 si registra un aumento di circa 9.300 imprese attive rispetto al 2009, pari al 2,9% del totale, legato a una creazione di unità nei servizi professionali, nel commercio, negli alberghi e ristoranti e nell’edilizia che compensa la contrazione avvenuta nei settori della manifattura, dell’agricoltura, dei servizi finanziari e dei trasporti. Si tratta tuttavia di numeri da prendere con cautela: si consideri in tal senso che nel Lazio, tra il 2008 e il 2010, il volume degli scambi con aliquota ridotta al 10% – relativi pertanto alle transazioni che avvengono in settori chiave dell’area romana quali l’edilizia e la ristorazione – registra un -16,6%, di gran lunga il peggior risultato in Italia.

Il commercio al dettaglio, con oltre 136mila posizioni lavorative, assorbe la quota maggiore di manodopera sul territorio, seguito da ristorazione (76mila), lavori di costruzione specializzati (74mila), commercio all’ingrosso (72mila), attività di servizio per il paesaggio e gli edifici (61mila), assistenza sanitaria (49mila). Trasporto aereo, audiovisivi, industria del tabacco, compagnie di telecomunicazione e software house sono invece i settori che contraddistinguono la specializzazione produttiva della provincia romana, capaci di concentrare una quota dell’occupazione nazionale compresa tra il 19,6% (software house) e il 60% (trasporto aereo).

Al di là di questi dati di contesto, le note negative vengono dal fronte occupazionale. L’impatto della crisi sul lavoro è stato particolarmente pesante: la provincia di Roma, che registrava nel 2007 un tasso di disoccupazione del 5,8%, raggiunge l’8,5% nel 2011, una percentuale superiore alla media nazionale (8,4%). Questo scenario critico è inequivocabilmente confermato dalle evidenze sulla Cassa Integrazione Guadagni (CIG): la provincia di Roma, da circa 4,7 milioni di ore di CIG annue nel 2007, passa a oltre 45 milioni di ore nel 2011. Non certo migliore è la condizione occupazionale dei giovani di Roma e provincia: nel periodo 2007-2011, il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) aumenta in modo netto e costante, fino a raggiungere nel 2011 il 29,1% in Italia e il picco del 36,1% nella provincia di Roma, là dove, quindi, più di un terzo della forza lavoro più giovane risulta disoccupata (e ad essere colpite sono soprattutto le giovani donne, 37%).

Giovani che non studiano e non lavorano: un quadro allarmante

Per l’Italia, e in particolare per la provincia di Roma, il quadro che emerge dall’analisi del fenomeno dei Neet (acronimo di “Not in Education, Employment or Training”) – giovani d’età compresa tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione – è allarmante. Se si considera l’Unione europea a 27 Stati, nella classifica che registra la consistenza della popolazione dei Neet nel 2010, l’Italia si colloca al secondo posto, preceduta soltanto dalla Bulgaria.

Si tratta di un quadro ulteriormente esacerbato dall’insorgere della crisi economica: dal 2008 al 2011 si registra infatti un incremento, pari al 3,4%, del numero dei Neet italiani. Il punto di arrivo è rappresentato dal conseguimento, nel 2011, del peggior primato dal 2004: il 22,7% dei giovani italiani d’età compresa tra i 15 e i 29 anni non studia e non lavora: 2.155.413 persone (55% donne, 45% uomini). Analizzando l’articolazione della costellazione dei Neet nel 2011, occorre poi rimarcare il forte peso percentuale della componente degli inattivi rispetto a quella dei disoccupati: 65,9% contro 34,1%: tra tutti i giovani italiani che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione, due su tre non sono attivamente impegnati nella ricerca di un’occupazione. Proprio il Lazio è la regione in cui si riscontra il peggior risultato in termini di aumento dei Neet (+6,6% dal 2008 al 2011): qui il tasso di Neet è passato infatti – senza mai arrestare la propria ascesa – dal 15% del 2008 al 21,6% del 2011; in valori assoluti si tratta di più di 166mila giovani, in maggioranza donne (oltre 92mila).

Per quanto riguarda la provincia di Roma nel 2010, i Neet sono 113.588 (50.054 uomini, 63.534 donne): il tasso di Neet corrisponde complessivamente al 18,3% (15,9% per i maschi, 20,7% per le donne). La provincia romana, inoltre, si segnala in negativo per la presenza della più alta percentuale regionale di Neet adulti – cioè d’età compresa tra i 25 e i 29 anni – sul totale dei Neet: essa è pari al 46,2% (in valori assoluti si tratta di oltre 52mila giovani, a fronte dei 19.235 tra i 15 e i 19 anni e dei 41.919 tra i 20 e i 24 anni). Inoltre, se nel 2010 i giovani Neet che risiedono nel Lazio sono aumentati rispetto al 2009 di circa 20mila unità, ciò è dovuto in larga parte all’incremento registrato in provincia di Roma (oltre 17mila giovani, l’84% del totale regionale). La provincia romana, infine, mostra una quota di “scoraggiati” (composta da chi ha rinunciato a cercare un’occupazione, pur essendo disponibile a lavorare) sul totale dei Neet inattivi pari al 13,0% (7.954 giovani) e una di forze di lavoro potenziali (formata da chi cerca lavoro, ma non attivamente, ed è disponibile a lavorare) pari al 25% (15.256 giovani).

L’Indicatore Sintetico dell’Economia e del Lavoro: bene Roma e Civitavecchia, male Tivoli e Fiano Romano

La costruzione, tramite l’elaborazione di ventidue indicatori statistici, di un Indicatore Sintetico dell’Economia e del Lavoro (ISEL) consente di definire un piano di confronto sulle dinamiche produttive, economiche e sociali – relative a mercato del lavoro, vitalità imprenditoriale, inserimento di donne e migranti nel tessuto socioeconomico, distribuzione del reddito, livello di retribuzioni, consumi e risparmio, qualità occupazionale, capacità d’innovazione, politiche del lavoro – che caratterizzano le dieci future Città metropolitane (le attuali province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria).

La classifica dell’ISEL vede la provincia di Roma al terzo posto, rispettivamente dietro a quelle di Bologna e Milano e davanti a quelle di Genova e Firenze. Il quadro generale che emerge conferma sia i riscontri positivi in merito alla vitalità del suo tessuto imprenditoriale, sia le marcate criticità sul fronte occupazionale (in particolare per i giovani) precedentemente evidenziate. Da notare inoltre che, a fronte del più alto numero di unità locali specializzate in ricerca e sviluppo, la provincia di Roma sia soltanto settima nel numero di brevetti registrati.

Le condizioni dell’economia e del lavoro all’interno della provincia romana sono indagate, inoltre, grazie all’elaborazione di undici ulteriori indicatori per i sei sistemi territoriali in cui questa si articola (le aree di Civitavecchia, Fiano Romano, Pomezia, Roma, Tivoli e Velletri). La classifica vede il territorio di Roma al primo posto; seguono con punteggi positivi Civitavecchia e Pomezia e con punteggi al di sotto della media Velletri, Tivoli e Fiano Romano.

Nonostante il primato, l’area romana mostra la distribuzione del reddito in assoluto più disuguale; inoltre, pur registrando la maggiore concentrazione di attività economiche e posizioni lavorative, ha il minor tasso di lavoratori contrattualizzati tra i 15 e i 24 anni e di imprenditoria femminile. Civitavecchia si caratterizza al contrario per i più alti tassi di imprenditoria femminile e di accessibilità dei giovani al mercato del lavoro, ma scarseggiano le opportunità d’impiego. Pomezia rivela un buono stato di salute del proprio sistema produttivo, ma consegue punteggi molto negativi sul fronte della condizione economica degli anziani e della partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Velletri presenta un’elevata capacità di inserimento nella vita economica e sociale delle donne e dei cittadini stranieri, ma un basso tasso di natalità delle imprese e un’esigua quota di lavoratori contrattualizzati rispetto agli abitanti in età lavorativa. Tivoli rivela la distribuzione del reddito più equilibrata e un buon inserimento delle donne nel mercato del lavoro e, al contempo, i peggiori risultati in termini di capacità d’innovazione e tenuta dell’occupazione. Fiano Romano mostra valori al di sotto della media in sette delle undici variabili considerate, senza peraltro mostrare punti di forza.

Buone pratiche imprenditoriali: innovazione, formazione e tutela di occupazione e salari contro la crisi

L’analisi di sei realtà produttive e dei servizi attive a Roma e provincia mette in evidenza che è possibile condurre “buone imprese” nonostante la crisi. I casi coprono una tipologia di attività (oltre che dimensionale) molto ampia, comprendendo due cooperative sociali operanti nella manutenzione del verde e nei servizi di assistenza alla persona, un’istituzione finanziaria di tipo cooperativo, un’azienda di distribuzione per la ristorazione, un call center e un’impresa che realizza sistemi software per il settore spaziale.

Tutte le realtà hanno conseguito utili e promosso occupazione durante la crisi economica. Il principale fattore di competitività è rappresentato dalla cura delle risorse umane: i contratti sono in gran parte di lavoro dipendente, il turnover dei lavoratori è basso e la forbice salariale tra le posizioni più alte e quelle più basse ridotta, la formazione un aspetto qualificante sia per motivare il personale sia per migliorarne le professionalità. La cooperazione è preferita inoltre a forme di competizione aggressive, tipiche delle grandi imprese: la condivisione “orizzontale” delle informazioni, il lavoro in gruppo e l’informalità sono al centro dei rapporti umani e della vita d’impresa, e le gerarchie non sono sclerotizzate.

A dispetto del dogma liberista secondo cui la il rilancio della crescita passa per il taglio del costo del lavoro, dunque, i casi indagati dimostrano che la formazione continua dei lavoratori, la tutela dei loro salari e più in generale la promozione di “buona occupazione” possano rappresentare la via maestra – l’unica davvero sostenibile – per uscire dalla crisi.

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