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Green economy e lavoro
La green economy può essere un'opportunità per creare nuovi posti di lavoro e favorire la ricerca. Per ora, in Italia ci si limita ad aumentare la domanda, scordando il lavoro
Green economy è un termine forse abusato. Utile per definire un orizzonte economico o meglio ancora un paradigma tecno-economico, ma che cosa ci sia dietro e quali siano le implicazioni dal lato del Pil (reddito), della sua distribuzione, per non parlare degli investimenti (aspettative), siamo nel terreno del caso.
Tentare di coniugare sviluppo sostenibile, tutela-cura dell’ambiente, lavoro e progresso, è un esercizio che non può essere lasciato al caso. La Commissione europea ha fatto una scelta netta con il progetto 20-20-20, ma con il senno di poi è possibile sostenere che erano obiettivi sottostimati rispetto alla conoscenza tecnica disponibile. Utilizzando gli indicatori della Commissione si osserva che gli obbiettivi di riduzione delle emissioni e della produzione di energia dalle fonti rinnovabili erano ampiamente acquisibili. Tra incentivi e creazione di strutture produttive (anche pubbliche) adeguate, l’Europa ha traguardato due terzi del proprio programma 20-20-20. Erano obiettivi “raggiungibili” data la struttura produttiva high tech europea, che ha convertito-adeguato l’elettronica e la chimica su un settore emergente, tra l’altro sostenuto con generosi aiuti fiscali. Aiuti che devono essere radicalmente riconsiderati, soprattutto se analizziamo e consideriamo che la grid parity, l’equivalenza dei costi di produzione dell’energia tra fonti fossili e fonti rinnovabili, arriverà tra il 2013 e il 2014. In altre parole il settore è maturo per restare sul mercato senza aiuti pubblici.
Molto più utile e opportuno sono gli aiuti destinati all’obiettivo della riduzione dei consumi del 20%. Infatti, questo obiettivo non solo è lontano, ma per molti paesi è un traguardo irraggiungibile. Comunque a livello europeo il risparmio energetico è pari al 10%. Non è un valore “sorprendente”. Le difficoltà tecniche sono maggiori: un conto è la ricerca e sviluppo per un settore emergente e privo di vincoli infrastrutturali, un altro conto è la ricerca e sviluppo che deve modificare i vincoli infrastrutturali. Sostanzialmente modificare la “struttura” delle infrastrutture è molto più complicato che inventarsene di nuove. Ma non possiamo modificare l’intero apparato. Come sostiene P. Leon, in un sistema economico le nuove tecnologie coesistono con vecchie tecnologie [1].
Fortunatamente il progresso tecnico e la sua implementazione non è dato una volta per sempre. La complessità del settore green economy permette di estrarre delle opportunità economiche e occupazionali inattese. I terreni privilegiati dello sviluppo della green economy sono legati alla scienza dei materiali (24%), alla chimica (18,6%), alla fisica (14,5%), all’energia (10,5%), all’ingegneria (8%) e ingegneria chimica (7,5%) [2].
Sono terreni orizzontali, con una caratteristica fondamentale: sono tutti settori o attività che agiscono a monte dei processi produttivi, con delle implicazioni dal lato della produzione di valore e di lavoro non trascurabili. In qualche misura la green economy concorrerà ad una nuova ed inedita divisione internazionale del lavoro e, specularmente, dei redditi da lavoro dipendente.
Il problema principale dell’Italia è legato al peso specifico della propria struttura produttiva. Di tutto il panorama-opportunità che la green economy a monte dei processi produttivi, l’Italia ha un peso specifico pari al 5,7%, mentre questo rapporto sale al 60% quando trattiamo le applicazioni [3]. Un po’ poco se consideriamo gli aiuti fiscali che il bilancio pubblico italiano erogherà fino al 2020, pari a quasi 70 mld di euro, con delle entrate fiscali, legati al settore analizzato, non superiori a 20 mld tra Irap, Ires e Ire.
Un esito scontato. Osservando il trend della potenza installata da energie rinnovabili e la corrispondente bilancia commerciale [4], riferibile al settore, si osserva una forbice “fastidiosa”: ogni euro di incentivo produce lavoro buono in altre parti del mondo, compresa la Cina.
Indiscutibilmente l’applicazione delle tecnologie pulite crea lavoro, anche nelle economie a basso contenuto tecnologico come quella italiana, ma la sostenibilità dello sviluppo necessita una policy capace di agire su due fronti: la domanda e l’offerta. Diversamente si manifesterebbero paradossi insostenibili, come quello italiano: l’Italia è tra i primi produttori di energia rinnovabile nel mondo, ma con il più alto uso di energia per unità di prodotto, nonostante gli incentivi pubblici siano tra i più alti a livello internazionale.
Quindi l’Italia dovrebbe rimodulare gli incentivi legati alla produzione di energia rinnovabile al fine di creare attività manifatturiera attrezzata a tale scopo, mentre dal lato della riduzione delle emissioni e del risparmio energetico ci sono maggiori opportunità. Si tratta di implementare il modello di riferimento dal lato della domanda e dal lato dell’offerta.
Classificazione delle soluzioni di efficienza energetica
Il terreno o le attività che sottostanno le aree di riferimento appena indicate sono: l’illuminazione, gli elettrodomestici, la produzione di energia termica, building automation, chiusure vetrate e superfici opache.
Analizzando il quadro di riferimento di cui sopra assieme ai campi di sviluppo tecnologico, è possibile delineare alcune policy di politica industriale e conservativa dell’ambiente.
L’Italia non ha vantaggi tecnologici rispetto a nessun competitors internazionale, mentre gli incentivi hanno allargato il gap del nostro paese, ma utilizzando in modo intelligente e oculato gli aiuti pubblici possiamo almeno realizzare due linee di intervento:
- La prima interessa l’adeguamento della struttura produttiva italiana alla domanda di green economy. Invece che continuare a sostenere la domanda nel modo che abbiamo fatto, almeno la metà di queste agevolazioni fiscali potrebbero essere destinate all’industrializzazione della ricerca pubblica realizzata nel campo della green economy;
- La seconda interessa la cura dell’ambiente, cioè il ripristino di aree (inquinate, abbandonate, deindustrializzate, edifici inadeguati, ecc) che diversamente andrebbero perdute. Tra l’altro, sono attività a minore tasso di tecnologia importata, quindi a maggiore tasso di occupazione. Il saper fare è ancora fondamentale.
La green economy può essere una opportunità, ma alla sola condizione di coniugare offerta e domanda. Il problema della policy del paese è quello di avere spinto solo la domanda e non il lavoro. Questa è la sfida da affrontare.
[1] P. Leon, 1965, Ipotesi sullo sviluppo dell’economia capitalistica, ed. Boringhieri
[2] Fonte: ocse, aprile 2011.
[3] www.energystrategy.it , Solar energy report, Aprile 2012
[4] D. Palma, G. Coletta, 6/2011, Renewables’ technological competitiveness and sustainable development in the new global economy, ed. Studi &Ricerche, EAI
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