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La Finanziaria vista da molto vicino

07/01/2009

I trent'anni che hanno fatto la Grande Manovra: storie di soldi, bugie e lobby all'ombra dei conti dello Stato. Un libro di Stefano Lepri

Trent'anni di leggi finanziarie non sono uno scherzo. E non è una passeggiata il mestiere del cronista della Finanziaria, esperienza trentennale da cui Stefano Lepri ha tratto le basi del libro “La Finanziaria siamo noi”. L'avventura comincia con il finire delle ferie agostane, con le prime indiscrezioni ancora da spiaggia, entra nel vivo più o meno con l'apertura delle scuole e ha il suo clou con la fine di settembre, in particolare nell'ultima lunghissima e imprevedibile notte che segue l'altrettanto lunga e imprevedibile seduta del consiglio dei ministri che vara la manovra. A questo punto, tutto deve ancora succedere e il “tutto” (trattative parlamentari, scontro dentro le maggioranze più ancora che tra maggioranza e opposizione, pressioni e azioni delle lobby, liti tra ministri, mediazioni, emendamenti, maxiemendamenti e voti) dura tre mesi, salvo proroghe al fotofinish nel secolo scorso chiamate “esercizio provvisorio”. In quel “tutto”, c'è la sostanza sintetizzata nel sottotitolo del libro: “dove finiscono i soldi dei cittadini. Il potere delle lobby, i conti dello Stato”. Ovvero: la minoranza vince.

Stefano Lepri – che è un giornalista de La Stampa che “nel Sessantotto ha cominciato a pensare che l'economia poteva essere utile a capire meglio la politica” (parole sue) – racconta quel che succede dietro le quinte della legge finanziaria. Con numeri, analisi, ritratti. E con pennellate colorate: come quando descrive la Sala del Mappamondo alla fine della battaglia, nel giorno dell'Immacolata del 2007, dopo due notti in bianco e tre giornate campali della Commissione Bilancio, aventi ad oggetto l'ultima finanziaria del secondo governo Prodi. Quando per la prima volta nella storia della Repubblica la maggioranza aveva presentato più emendamenti dell'opposizione (1036 a 752), e l'occhio del cronista superesperto poteva giudicare dalla quantità di cartacce rimaste per terra e dallo stato della piega dei pantaloni e dalla lunghezza delle barbe dei peones quanto dura era stata la battaglia e quali i personaggi chiave per la vittoria. Vittoria che però – alla fin fine – era consistita, quella volta come tante altre, nello spostamento di qualche capitolo di bilancio, l'introduzione di qualche micro-comma, il prevalere di una lobby ai danni di un'altra oppure – più frequentemente – della collettività: mai nel deciso spostamento di asse, di scelta politica, di indirizzo.

E' questa una delle conclusioni amare a cui porta il lungo racconto dei Trent'anni della Finanziaria vista da vicino: il momento della massima tensione in parlamento, quello in cui – in teoria – se decide dove vanno i soldi dei cittadini, non ha niente a che vedere con la “politica economica”. La politica, quando c'è, si decide altrove. Lo stesso ministro del Tesoro (ora dell'Economia), ritualmente lascia da parte alcune somme accantonate, un po' di argent de poche per accontentare i ragazzini litigiosi e accogliere almeno in parte le istanze dei parlamentari. Negli anni '80, quelli della formazione del moloch del debito, ai saldi finali si guardava con meno attenzione e quindi quelle trattative – ribattezzate da Giuliano Amato “l'assalto alla diligenza” - sortivano anche l'effetto di aumentare il deficit. Dopo la crisi del '92, più che ampliare la spesa si è guerreggiato per spostarla di qua o di là. Ma in ogni caso, conferma la ricostruzione di Lepri, non è stato il suq parlamentare a creare o a ridurre il deficit: piuttosto, ha accompagnato con puntualità e costanza qualsiasi scelta politica di fondo, quella dei governi rigoristi (centrosinistra) come quelle dei governi spendaccioni (centrodestra, salvo eccezioni).

Se la politica, quella grande, è altrove, nel suq del parlamento vince un altro tipo di politica, quella delle lobby e dei piccoli feudi. Uno dei meriti principali del libro è quello di riuscire a spiegare, a mostrare quasi plasticamente, perché in questo gioco è sempre la minoranza che vince. Lo racconta a mo' di apologo la storia vera di una metropolitana di superficie: un insieme di commercianti si ritiene danneggiato dall'introduzione della linea di metropolitana leggera che taglia la loro strada in due; sebbene quella linea risolva il problema del traffico e dell'aria per tutti, le proteste dei negozianti sui due lati della strada sono molto più forti e organizzate dei consensi degli utenti dispersi in tutta la città e non rappresentati da nessuno. Così, il politico ignora i secondi e si prodiga a favore dei primi. E così avviene anche su larga scala, anche grazie al riparo della segretezza: quanti avrebbero voluto, nell'ultima manovra, spostare risorse dalla ricerca ai camionisti? E quanti, potendo, voterebbero “sì” alle proposte di Sbilanciamoci! sulle spese militari?

Le minoranze che vincono, ovviamente, sono di ogni tipo. Anche se il libro non lo dice, possiamo supporre che possano anche, talvolta, essere collegate a cause più generali, “giuste”: ma vincono solo in quanto capaci di coalizzarsi e condizionare il parlamentare potente di turno. In quanto interlocutori della Casta, insomma. E qui Lepri fa un'operazione controcorrente, rispetto al grande successo mediatico ed editoriale che si raccoglie parlando male della sola casta dei politici: la casta siamo noi, dice in sostanza. Per ogni privilegio concesso, c'è qualcuno che lo ha chiesto; per ogni corruzione, c'è un corrotto e un corruttore; per ogni beneficio erogato discrezionalmente, c'è un gruppo di interesse che ha lavorato attivamente per averlo. Non ci sarebbe la casta, o almeno non sarebbe tollerata per più di tanto, se non ci fosse una fitta rete di società civile che la sostiene e se ne avvantaggia. Anche perché il grosso degli sprechi della casta stessa non è – al contrario di quel che si pensa comunemente – nei suoi privilegi, nelle sue auto blu e nei suoi portaborse: questi ci sono, e sarebbe giusto tagliarli. Ma la “ciccia” sta altrove, nella spesa che la politica intermedia, nei passaggi dal bilancio pubblico e quelli privati, e nella inefficienza della pubblica amministrazione. Questa la tesi del libro, che dimostra tale inefficienza a partire dalla testa: lo stesso ministero dell'Economia, che non è in grado di conoscere e regolare la spesa e neanche di avere con esattezza e puntualità le cifre. Che sono chiuse in uno dei forzieri amministrativi più misteriosi e antichi, la Ragioneria Generale dello Stato, in grado di condizionare ministri ed elezioni, e refrattaria anche ai più decisi tentativi di riforma.

 

 

 

Stefano Lepri, La finanziaria siamo noi, chiarelettere, 2008, euro 13,60

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