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Un reddito minimo possibile

02/07/2013

L’introduzione di un reddito minimo è quanto mai urgente e necessaria. Ma come disegnare la misura? Universalismo selettivo e risorse da recuperare secondo una logica redistributiva sono i criteri guida. L’erogazione monetaria va affiancata da interventi di promozione sociale e lavorativa.
QUALE REDDITO MINIMO
In questi mesi, con i programmi elettorali, il documento dei saggi nominati da Giorgio Napolitano, il programma del Governo Letta, si è tornati a parlare di reddito minimo.
Era doveroso, oltre che auspicabile, visto il continuo estendersi della povertà e l’acuirsi dei bisogni delle famiglie, anche se sui contenuti attribuiti volta a volta al reddito minimo la confusione è grande. (1)
L’Italia è insieme alla Grecia l’unico paese europeo dove ancora non esiste una politica unitaria di lotta alla povertà e un’ultima rete di protezione sociale per le famiglie al di sotto di una determinata condizione economica. Le misure più tradizionali di integrazione dei redditi delle famiglie (integrazione al minimo, pensione e assegno sociale, eccetera), così come quelle più recenti (bonus incapienti, bonus utenze e carta acquisti), sono categoriali, di tipo riparativo-assistenziale perché non connesse a nessuna iniziativa di responsabilizzazione, attivazione, promozione dei soggetti interessati. Risultano così poco efficaci nell’abbattere la povertà. (2) Difettano anche di equità e di efficacia re-distributiva: del 21,4 per cento della spesa per integrazioni al minimo e del 13,1 per cento della spesa per pensioni sociali, per un insieme di circa 2,8 miliardi di spesa pubblica, beneficiano famiglie che trovano collocazione nei decili più elevati (8°, 9° e 10°) della distribuzione calcolata secondo la nuova Isee (di cui si auspica un’approvazione in tempi rapidi), con un reddito disponibile medio equivalente o superiore ai 21mila euro annui. (3)
L’introduzione di un reddito minimo è dunque cosa quanto mai urgente e necessaria, ma non può che essere portata avanti assumendo come criterio guida l’universalismo selettivo e recuperando risorse secondo una logica redistributiva.
Qui assumiamo l’istituto come intervento universalistico, specificamente inteso a contrastare la povertà delle famiglie, sottoposto solo alla selettività sulla condizione economica. Escludiamo quindi di porre altri vincoli di natura categoriale legati alla composizione familiare (altre sono le misure di sostegno alle famiglie con figli), all’età anziana (come l’attuale pensione e assegno sociale), a una qualche storia contributiva (come l’integrazione al minimo), o alla perdita del lavoro (non è un ammortizzatore sociale, anche se deve combinarsi al meglio con essi per assicurare continuità nella protezione sociale). Il reddito minimo dovrà abbinare a una erogazione monetaria interventi e servizi di sostegno e anche, compatibilmente con le caratteristiche e le possibilità dei beneficiari, di attivazione e promozione sociale e lavorativa. Ne potranno beneficiare tutte le famiglie “povere”, le cui condizioni economiche presentino una Isee riformata inferiore a 8 mila euro, e un reddito disponibile inferiore alla soglia della povertà assoluta (che è differenziata per caratteristiche familiari, area geografica, dimensione del comune di residenza). A ciascuna di queste famiglie spetterà un contributo che integri il suo reddito fino alla soglia della povertà assoluta. Sulla base di questi criteri, secondo le nostre stime beneficerebbero della misura circa 1 milione di famiglie, con un costo complessivo annuo di circa 5 miliardi di euro, che potrebbero salire a 5,5 miliardi considerando anche i costi gestionali e amministrativi necessari per l’attuazione della misura a livello territoriale.

continua

Tratto da www.lavoce.info