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I conti pubblici e i conti con Bruxelles

22/06/2009

Vie d'uscita dalla crisi: all'Europa le politiche strutturali per una crescita di qualità, finanziate con l'emissione di titoli europei; agli stati la spesa sociale

La recessione ora si vede anche nei dati del debito pubblico. Col Pil che cade del 5% e le entrate tributarie in forte calo (causa recessione ed evasione), il disavanzo pubblico quest'anno si avvicina al 5% del Pil, sarà finanziato con nuovo debito e il rapporto debito/Pil potrebbe così raggiungere il 115% del Pil a fine 2009 e il 120% nel 2010 (l'anno scorso era il 106%). Più o meno il livello da cui era partito quando, nei primi anni novanta, l'Italia si imbarcò nell'Unione monetaria europea sottoscrivendo il Trattato di Maastricht che chiedeva ai membri del club dell'euro di far scendere rapidamente lo stock del debito pubblico al 60% del Pil. Quindici anni di tagli alla spesa, "riforma" delle pensioni, privatizzazioni, "federalismo" fiscale sembrano non aver lasciato traccia.
Si intrecciano qui aspetti strutturali - la nota fragilità della spesa - e necessità politiche: si può uscire dalla crisi soltanto con una spesa pubblica che sostenga redditi e domanda, redistribuisca risorse e favorisca una ristrutturazione verso produzioni di maggior qualità e sostenibilità ambientale. La storia delle crisi finanziarie ci insegna che il debito pubblico, una volta superata la crisi, risulta spesso raddoppiato rispetto agli anni precedenti. Come conciliare un intervento pubblico così forte con i problemi attuali della finanza pubblica?
La struttura della spesa pubblica italiana è segnata da un prelievo fiscale inadeguato (e da un'altissima evasione) sui redditi da capitale, sulle rendite finanziarie, sul lavoro autonomo e sui più ricchi; la spesa per il sostegno ai redditi, l'assistenza e la ricerca è lontanissima dalla media europea. Una fotografia di questi aspetti della spesa italiana è offerta dal volume, fresco di stampa, La finanza pubblica italiana, Rapporto 2009, a cura di Maria Cecilia Guerra e Alberto Zanardi (Il Mulino, 29 euro). Ma ci sono anche aspetti "positivi" da non trascurare. In Italia il debito pubblico ha sostituito il debito privato che ha fatto crollare il sistema finanziario negli Usa e in Gran Bretagna: gli effetti di redistribuzione della spesa pubblica - servizi scolastici e sanitari gratuiti o a basso costo e pensioni elevate - hanno sostenuto i livelli di vita dei cittadini che nei paesi del modello neoliberista hanno dovuto indebitarsi per ottenere gli stessi servizi.
Veniamo alle proposte fin qui avanzate. Da un lato la Relazione della Banca d'Italia (http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/relann/rel08), il rapporto Ocse sull'Italia (giugno 2009, http://www.oecd.org/document/48/0,3343,en_2649_33733_42987824_1_1_1_1,00.html) e la Commisisone europea insistono sulle ricette già praticate: tagli alla spesa, ulteriori liberalizzazioni e privatizzazioni (anche in scuola e sanità), riduzione delle pensioni. In altre parole: meno spesa per i cittadini mentre il governo finanzia banche e imprese con le misure anticrisi; una politica che aggraverebbe recessione, disuguaglianze e declino del paese.
L'alternativa c'è, e parte da Bruxelles. Si tratta di raccogliere i frutti dell'Unione monetaria e creare una divisione del lavoro (tipica dei sistemi federali) tra spesa sociale (lasciata agli stati) e politiche strutturali che potrebbero essere finanziate direttamente dall'Ue attraverso l'emissione di titoli europei, gli Union bonds, garantiti dal bilancio comunitario. La proposta riprende un'idea di Jacques Delors e si è fatta strada nel dibattito istituzionale; in Italia è stata più volte avanzata dal presidente dell'Isae Alberto Majocchi e viene rilanciata nel Rapporto Isae sullo stato dell'Unione Europea del gennaio 2009 (http://www.isae.it/rapporto_UE_gennaio_2009.pdf, a pag.200; altre analisi sul debito sono nella nota di marzo 2009: http://www.isae.it/nota_mensile_marzo_2009.pdf). Un'emissione di Union bonds pari all'1% del Pil Ue permetterebbe a Bruxelles di finanziare l'uscita dalla crisi; le risorse raccolte potrebbero essere destinate ai beni pubblici di cui ha bisogno l'Europa: infrastrutture, ricerca e istruzione superiore, politiche industriali nei settori avanzati, riconversione ecologica delle produzioni. Un buon programma per un'Europa capace di futuro.

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Commenti

Non aspettarsi miracoli dall'europa

L'articolo conclude con la proposta di dedicare l'1% del PIl ad investimenti nel campo delle infrastrutture, ambiente, istruzione superiore, ricerca e politica industriale nei settori avanzati. Al di là della sua fattibilità se si tiene conto del contesto politico europeo e della probabile conferma di Barroso, mi sembra che la proposta presenti le seguenti lacune:
considerare la spesa sociale una competenza esclusiva degli stati nazionali, che di solito la delegano alle regioni e agli enti locali, significa accettare politiche di welfare settoriali, non universalistiche, e trascurare l'importanza della coesione sociale a livello europeo. Basti pensare alle politiche per l'immigrazione, al tema degli ammortizzatori sociali, al sostegno degli anziani. Se vogliamo creare un cittadino europeo, non possiamo avere differenze significative nella struttura sociale tra i diversi paesi;
affidarsi alle politiche di investimento a livello europeo significa accettare la marginalizzazione di aree geografiche ( Mezzogiorno) ,di settori industriali ( che significa politiche industriali per i settori avanzati) e di strati della popolazione che hanno bisogno di una estesa e inclusiva istruzione primaria.
In conclusione, non possiamo affidarci a Santa Europa, ma dobbiamo essere noi italiani a risolvere i nostri problemi e forse in questo modo possiamo dare un contributo anche alle politiche europee.