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Agricoltura: la svendita dei terreni pubblici

08/02/2012

La nuova versione del pacchetto agroalimentare del governo Monti non affronta il nodo cruciale dell’agricoltura italiana: la concentrazione delle terre

In Italia il processo di concentrazione delle terre ha ripreso vigore negli ultimi 10 anni: l’1% delle aziende controlla il 30% delle terre agricole. Alla fine della seconda guerra mondiale le aziende agricole con una taglia di oltre 100 ettari, pur essendo lo 0,22 di tutte le aziende, controllavano un quarto di tutta la terra agricola del paese. Oggi circa 22.000 aziende si spartiscono oltre 6,5milioni di ettari di superficie agricola, e negli ultimi 10 anni c’è un crollo del numero delle aziende con una taglia sotto i 20 ettari. L’agricoltura familiare, quella con una taglia inferiore ai 20 ettari che è il cuore dell’agricoltura italiana, viene decimata. Il cosiddetto settore primario non appare mai quando il governo parla di “ripresa”, “sviluppo”, “occupazione”, come se quei 250-300 miliardi che vale la produzione agricola e le attività connesse, quel milione di occupati fossero invisibili ed un peso per il paese.

La nuova versione del pacchetto agroalimentare approvata dal governo Monti è migliorata rispetto a quella del dicembre scorso del governo Berlusconi ma non affronta i nodi cruciali della crisi dell’agricoltura italiana. Infatti non ci sono misure contro la concentrazione e a favore delle piccole aziende, che per poter resistere e sopravvivere alla crisi devono poter allargare la superficie coltivabile. Non serve vendere la terra per far cassa oggi, bisogna facilitare l'accesso alle risorse rendendole disponibile a “equo canone” creando così, attraverso l’affitto agrario, un flusso di risorse per la finanza pubblica. L’accesso alla terra attraverso il mercato fondiario non solo non favorisce l’ingresso dei giovani in agricoltura ma – considerando che di fatto quasi tutta la terra agricola è vicina ad insediamenti urbani – finisce per favorire la speculazione edilizia e il radicamento nell’economia legale di capitali di origine illegale o, comunque, non d’origine agricola.

Finora con le politiche agricole italiane e con la politica agricola comunitaria (PAC) europea è stata favorita l’agricoltura industriale di grande taglia, intensiva in capitali e scarsa utilizzatrice di manodopera; le piccole aziende familiari che hanno resistito - nonostante tutto - invece sono intensive in lavoro. E’ bene che i consumatori sappiano che, a differenza di qualunque altro settore produttivo, in agricoltura la qualità dei prodotti è direttamente legata alla qualità e alla quantità del lavoro umano impiegato e solo le piccole aziende agricole hanno la capacità di proteggere e mantenere alta la qualità delle produzioni, di operare una riconversione ecologicamente durevole dei sistemi agricoli del nostro paese, togliendoli dalla dipendenza del trasporto su gomma e quindi restituendo solidità ad un sistema distributivo reso fragile dalla concentrazione delle produzioni in ristretti ambiti territoriali. In mani sempre più ristrette. La concentrazione delle terre e del diritto a produrre è il risultato di politiche e non di una ineluttabile decadenza del settore agricolo. L’Italia, una delle 2 grandi agricolture europee, è oggi ostaggio delle proteste dei camionisti grazie alla innaturale concentrazione solo in alcune regioni delle produzioni agricole come latte, carne, frutta e verdura. E non è casuale se le mafie si impossessano del controllo del mercato dei prodotti ortofrutticoli, grazie, appunto, a questa fragilità e dipendenza da un mercato basato quasi esclusivamente sulle esigenze della GDO e quindi sul trasporto su lunghe distanze.

Per riprendere la via dello sviluppo e dell’occupazione, come i presidente del Consiglio continua a ripetere, si dovrebbe ripartire dalle aziende agricole medie, piccole e piccolissime – che sono un milione e costituiscono il cuore produttivo del cibo in Italia - sono loro che potrebbero reagire più rapidamente alla crisi con misure strutturali e legislative che non comportano maggiore spesa per lo Stato. Ad esempio, favorire l'affitto agrario a un equo canone, metti la priorità ai giovani e alle donne, solo a agricoltura familiare di piccola taglia, al di sotto di 30 ettari.

Garantire un accesso facilitato all’uso della terra per i contadini e proteggerne prioritariamente l’uso che questi ne fanno. Di questo abbiamo bisogno anche per dare un contributo alle crisi che attanagliano il paese, quella economica, quella finanziaria e quella ecologica. Un po’ di neve e torniamo indietro di un secolo. Le aziende contadine che sono scomparse non possono rinascere e la sofferenza di quei fallimenti non sarà compensata, ma almeno si può immaginare di consolidare le piccole aziende che sopravvivono e di crearne delle nuove per fermare il processo di desertificazione agraria che ai più sembra ormai inarrestabile. Per questo una piccola significativa prova di coraggio del governo Monti, segnale di sensibilità sarebbe il cambiamento del Articolo 66. (Dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola) del “pacchetto sviluppo” e scrivere, al posto di “alienare..”, da concedere in locazione ai sensi della legge 203 del 1982 e successive modifiche a cura dell’Agenzia del demanio mediante procedura negoziata senza pubblicazione del bando per gli immobili a canone annuo inferiore a 20 mila euro e mediante bando pubblico per quelli di canone annuo superiore, riservati a coltivatori diretti, con priorità a giovani singoli o associati ed ad iniziative di rilevanza sociale (agricoltura sociale)”. In fondo non una rivoluzione ma solo l’applicazione del dettame costituzionale. In particolare per quanto riguarda l’uso agricolo della terra, l’Articolo 44 dice: “Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà …”. Un buon programma di governo, presidente Monti.

 

Per ulteriori informazioni www.croceviaterra.it

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Commenti

Agricoltura: la svendita dei terreni pubblici.

ho molti amici piccoli agricoltori. Piccoli e testardi. Gli strumenti di sopravvivenza: vendita diretta nei mercatini, ai g.a.s., creazione di consorzi, associazioni di solidarietà, agricoltura di qualità, trasformazione in azienda, rapporto diretto con i compratori con il sistema della garanzia partecipata, finanziamenti tramite MAG.

Agricoltura: la svendita dei terreni pubblici.

Concordo sul giudizio negativo sulla politica agricola del governo attuale e di quelli degli ultimi decenni. Sui rimedi proposti dissento totalmente, in quanto non tengono conto delle cause della scomparsa delle piccole aziende familiari. Se una coppia contadina non trae dalla coltivazione del fondo quanto occorre per la vita familiare, non rimane che cambiare mestiere. Non serve incentivare la formazione di piccole aziende, se non ci sono le condizioni per la loro sopravvivenza. E' lapalissiano: l'unica condizione per la sopravvivenza è la possibilità di un reddito sufficente. Il reddito scaturisce dalla vendita dei prodotti: se i prezzi non sono adeguati, il reddito è inadeguato. E qual'è la causa dei prezzi inadeguati? E' il libero mercato su scala mondiale, che fa arrivare prodotti dagli antipodi, sottratti alla fame di popoli schiavizzati. Se non partiamo da qui, parliamo di sesso degli angeli.