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Una manovra senza coperture

07/11/2014

Fondo cassa/Aumenti delle tasse locali, tagli lineari a sanità e trasporti, fine delle agevolazioni per pensionati e lavoratori. E coperture incerte per gli 80 euro e il taglio dell’Irap, che spianano la strada a una batosta dell’Europa. Ecco cosa si nasconde dietro gli annunci di Renzi sulla Legge di stabilita

I mesi scorsi ci hanno abituati a quella che sembra una caratteristica di questo governo: un uso spregiudicato e spaccone della comunicazione, anche a costo di accentuare la distanza fra rappresentazione e realtà, e l'individuazione di controparti (il nemico) su cui scaricare le colpe di ritardi e insuccessi. La manovra di bilancio è in tal senso emblematica: viene rappresentata come espansiva e di rottura, ma è in realtà di portata limitata e formalmente restrittiva. Quanto alle responsabilità, esse vengono scaricate sull'Europa, troppo rigida nell'applicazione delle regole, e sulle regioni, che hanno ventilato aumenti delle imposte locali per compensare i tagli.

Dopo il timido rinvio, nel Def presentato lo scorso aprile, del pareggio di bilancio dal 2015 al 2016, l'aggiornamento del Def è apparentemente più aggressivo: prevede il congelamento, di fatto, del fiscal compact , rinvia ulteriormente il pareggio al 2017 e fissa il deficit programmatico al 3% nel 2014 e al 2,9% nel 2015. Addirittura, viene indicato un deficit tendenziale 2015 in forte calo (2,2%), col governo, però, che intenderebbe portarlo al 2,9%, utilizzando la differenza (11,5 miliardi) per rilanciare l'economia. Ma lo sforzo espansivo andrebbe anche oltre. Nella presentazione del Ddl di stabilità la manovra esplode a 36 miliardi: si aggiungono, fra l'altro, 15 miliardi di riduzione di spesa pubblica, 3,8 di lotta all'evasione fiscale, 3,6 di aumento della tassazione sulle rendite. Una massa così ingente di risorse (il 2,2% del Pil) verrebbe impiegata per rendere permanenti gli 80 euro al mese in busta paga per i dipendenti (senza però l'estensione ad altre categorie), per eliminare il costo del lavoro dall'imponibile Irap, per altri sgravi fiscali, fra cui la decontribuzione per i nuovi assunti, per ammortizzatori sociali e un piano straordinario di assunzioni nella scuola.

Anche lo sforzo aggiuntivo richiesto dalla Ue, ulteriori 4,5 miliardi di riduzione del deficit, viene stigmatizzato ma presentato come non in grado di alterare la natura espansiva dell'impostazione di bilancio. Lo studio della manovra fa emergere, tuttavia, alcune rilevanti perplessità.

Innanzitutto, la manovra è di segno restrittivo, non espansivo, e le sue dimensioni sono ben più ridotte di quanto dichiarato. Il deficit passerà dal 3% nel 2014 al 2,6% nel 2015, il ché configura una manovra di bilancio, pur moderatamente, restrittiva; non a caso il governo non ne ha ipotizzato un significativo effetto sul Pil. Vero che l'aggiornamento del Def indica un deficit tendenziale 2015 in calo al 2,2%, ma non considera poste di bilancio che sono rifinanziate annualmente e non possono essere azzerate, quantificate dallo stesso Ddl in almeno 6,9 miliardi. Se poi andiamo a spulciare la manovra, la dimensione degli interventi netti si riduce drasticamente: vanno tolti i 6,9 miliardi di cui sopra, i 4,5 destinati a ulteriore riduzione del deficit, i 3 che servono a compensare mancati risparmi, altri 3 già a suo tempo stanziati per il bonus 80 euro e i 2,1 già previsti per la riduzione dell'Irap. Così la manovra si riduce dal lato degli interventi a 6,5 miliardi di maggiore spesa per la conferma degli 80 euro, 4,5 miliardi di spesa aggiuntiva per l'eliminazione del costo del lavoro dalla base imponibile Irap e la decontribuzione sui nuovi assunti, 1,5 miliardi di ammortizzatori sociali (compreso la cassa in deroga) e poco altro.

La manovra, poi, preoccupa dal punto di vista delle coperture previste, fondamentalmente di due tipi: almeno 12 miliardi di ulteriori tagli alle spese, aggiuntivi rispetto a quelli già previsti dalla normativa, e almeno 4,5 miliardi di recupero aggiuntivo di imposte evase. Si tratta di somme ingenti e tutt'altro che sicure, soprattutto se si pensa che nello stesso Ddl di stabilità si sono dovuti accantonare 3 miliardi per il mancato conseguimento di previsti risparmi. Vengono poi scontate in bilancio privatizzazioni per 11,5 miliardi (0,7% del Pil), altro obiettivo, anche prescindendo da considerazioni di opportunità, di difficile realizzazione, stante che nel 2014 non arriveranno allo 0,3% del Pil. Inoltre, laddove nel 2014 il bilancio aveva potuto godere del bonus derivante dalla riduzione degli interessi sul debito pubblico, gli interessi previsti nel 2015 sono già bassi, mentre lo 0,6% previsto di crescita del Pil è, secondo alcuni, ancora troppo ottimistico. Così, se già il 2014 fotografa una situazione nella quale si è fatto fatica a tenere sotto controllo i conti (col deficit arrivato al 3%), il 2015 potrebbe rivelarsi ancora più problematico: troppo aleatorie le coperture, troppo ristretti i margini sul deficit e sulle singole componenti di spesa. Se poi nel 2016 dovessero scattare le clausole di salvaguardia (13-17 miliardi di aumenti Iva) gli effetti sul paese sarebbero letali.

L'intenzione di perseguire una politica di bilancio meno restrittiva, pur a livello di petizione di principio, sarebbe di per sé elemento positivo. Molti economisti a sinistra hanno evidenziato da tempo l'inconsistenza teorica e la pericolosità dell'approccio strutturalmente restrittivo alla politica fiscale dominante nella Ue. Ben farebbe l'Italia a contestare le regole europee ed operare per una loro radicale riforma. Tuttavia, il governo non si spinge fino a questo punto, preferendo rispettare il vincolo del 3% sul deficit e solo argomentare sulle circostanze eccezionali che, come da trattati, giustificherebbero il mancato rispetto della regola sul debito e del pareggio di bilancio. Anche il tipo di interventi di politica economica ventilati colpisce più per la continuità col passato che per il carattere innovativo: si continua a puntare principalmente su cuneo fiscale e costo del lavoro. Da questo punto di vista mancano nel Ddl di stabilità idee innovative, una politica industriale, la definizione di una strategia organica di rilancio. Stante il fallimento delle politiche passate, il rischio è che, per l'ennesima volta, l'Italia bruci risorse per ritrovarsi, alla fine, con un debito ancora più alto e un pugno di mosche in mano.

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Commenti

La comunicazione di Renzi e il cambio di strategia

Citazione: “I mesi scorsi ci hanno abituati a quella che sembra una caratteristica di questo governo: un uso spregiudicato e spaccone della comunicazione”.

Data l’importanza del rilievo, mi permetto di integrarlo con queste osservazioni.

1) “[…] Terza e quarta citazione: “prendersi cura degli altri vuol dire caricarsi addosso i loro problemi, afferma Renzi” e “Il luogo espressivo di Renzi è in un certo senso sempre un comizio”. La prima, soprattutto, e la seconda rappresentano bene l’essenza della tecnica comunicativa di Renzi, che è mutuata dalle tecniche di vendita diretta (cfr, “Comunicazione politica e vendita diretta” http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2760961.html ), con una miscela sapiente tra la tecnica basata sulla spietata - ma in guanto di velluto - manipolazione psicologica del potenziale cliente (in un solo incontro), in cui il discorso seduttivo non deve avere mai pause; l’altra che evidenzia invece l’importanza di sapere ascoltare il cliente per interpretarne i bisogni in funzione del prodotto che si vuole dargli, cercando di fare scaturire la decisione di acquisto dalla costruzione di un rapporto di fiducia protratto nel tempo; e, infine, l’altra ancora, che è quella colloquiale-recitativa-esplicativa dei corsi di formazione destinati ai candidati venditori.
Infine, la quinta ed ultima citazione: “Renzi deve apparire sempre sincero e ci riesce”. La sincerità è funzionale a rafforzare e rendere convincente ed efficace il lavoro di seduzione empatica del potenziale cliente oggetto della tecnica manipolatoria, ma essa è soltanto apparente, poiché il lavoro seduttivo è in buona parte basato sulla finzione, sulle bugie. E’ soltanto nella tecnica finalizzata a conquistare la fiducia del cliente protratta nel tempo che la sincerità è essenziale e le bugie sono bandite. E’ per questo che l’affidabilità di Renzi sta, a mio avviso, scemando rapidamente nel suo elettorato di sinistra, poiché vedo che fa l’errore di gestire un rapporto con l’elettorato, necessariamente protratto nel tempo, raccontando troppe bugie. Tecnica consentita nel caso di un leader di centrodestra, per l’inclinazione irresistibile dell’elettore di destra di bersi le bugie del proprio leader. Errore esiziale, invece, per un leader politico di centrosinistra, specularmente, per il motivo opposto”. (cfr. “La comunicazione di Matteo Renzi” http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2819792.html ).

2) Prescindendo dal peccato originale del suo premierato (l’”assassinio” di Letta, esempio eclatante di slealtà, che mutava profondamente una sua qualità sbandierata fino ad allora: appunto, la lealtà), va rimarcato che l’adozione della tecnica manipolatoria va in parallelo con il cambio repentino della strategia renziana.
“5. Metamorfosi del PD
Ma il dato sempre più evidente è che la comunicazione di Renzi, spostatasi nettamente verso la tecnica di vendita diretta manipolatoria [3] è funzionale ad uno snaturamento del PD, come partito di centrosinistra (1/3 di centro e 2/3 di sinistra), solo parzialmente contraddetta dalla scelta iniziale di Renzi dell’iscrizione del PD al PSE, dopo anni che se ne parlava senza mai realizzarla, e da alcune misure del governo (al di là della loro strumentalità elettorale e dei difetti, gli 80€/mese a 11 mln di percettori di redditi relativamente bassi, prendendo i soldi ai ricchi e ai benestanti, sono una misura redistributiva di sinistra). E’ indubbio che la strategia di Renzi sembra cambiata velocemente, sia all’interno, in termini di alleanze (privilegiando in maniera ostentata Marchionne e Confindustria e, per contro, emarginando i Sindacati dei lavoratori), e per il linguaggio di rottura e menzognero non solo della estremista Picierno, ma anche di moderati come Serracchiani, Taddei e Gozi (v. l’ultimo “Ballarò”) [7] o l’opportunista Fioroni; sia all’estero, in cui obtorto collo Renzi si è dovuto piegare ai veti della Merkel ed acconciarsi ad alleanze variabili a seconda della materia (il mediocre Hollande, contro l’austerità, o il filoatlantico Cameron, contro la burocrazia UE). E perciò, assieme al ministro Padoan, è stato costretto a contrabbandare la legge di Stabilità 2015 per espansiva, ma in effetti recessiva (il deficit diminuirà) e perciò del tutto inefficace a portarci fuori dalla depressione economica. E il destino politico di Renzi, sia per i poteri forti che per aliquote prevalenti di elettori di sinistra, refrattari alle balle, si giocherà soprattutto sul versante economico”. (Cfr. “PD, metamorfosi incipiente di un partito” http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2821607.html ).

3) Tale cambio repentino non è sfuggito a Ezio Mauro, che si poteva annoverare tra i “renziani”.
“Segnalo molto volentieri l’editoriale di oggi di Ezio Mauro “Il dramma del lavoro che spacca l'identità della sinistra” http://www.repubblica.it/politica/2014/11/05/news/il_dramma_del_lavoro_che_spacca_l_identit_della_sinistra-99781591/ .
Lo faccio volentieri sia perché, in esso, il "renziano" Ezio Mauro dimostra la sua intelligenza e che, nel giudicare, si attiene laicamente all'analisi dei fatti e delle scelte concrete (come suggerivo nella mia risposta del 3 novembre 2014 alle 20:57al logorroico e invadente walterstucco), sia perché riecheggia e sviluppa alcuni concetti (lo snaturamento del PD, la scelta di Renzi di aver sposato la causa dei forti contro il lavoro e i sindacati, l’assenza di un’imposta patrimoniale per finanziare il welfare, il rapporto con l'UE) da me espressi”. (Cfr. “Renzi, il “complotto” del lavoro e lo snaturamento del PD” http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2821878.html ).