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La lenta agonia dell’università pubblica
A causa dello stallo politico si procede per inerzia verso il baratro lungo cinque direzioni: una platea di abilitati che ingolferanno il sistema; il 90% della quota premiale distribuita in base ad una VQR “fai-da-te”; AVA fa chiudere corsi e costringe ad incrementare il numero di quelli a numero programmato; ulteriore sforbiciata dei dottorati già calati di un terzo in due anni; riduzione del sistema universitario pubblico a favore di corsi di Istruzione tecnica superiore. Che fare? Attivare subito le commissioni parlamentari e intervenire senza attendere il nuovo governo.
La pausa elettorale, l’impasse sul nuovo governo, la nomina dei 10 saggi da parte di Napolitano, in generale l’allungamento dei tempi di qualsiasi decisione politica e la conseguente idea che ci siano ben altre priorità da affrontare, stanno precipitando università e ricerca verso il baratro. Il governo Monti è operante per l’ordinaria amministrazione. Ciò significa, come scrive Andrea Manzella (Repubblica, 2 aprile 2012), che “non ci possono essere svolte politiche nell’indirizzo di governo, possono però essere compiuti legittimamente tutti gli atti consequenziali a premesse politiche già poste”.
Questo dal punto di vista di Università e ricerca significa una direzione inerziale molto ben delineata, che ROARS sperava vivamente venisse fermata dall’iniziativa di un nuovo governo. Nel caso di Università e ricerca la linea politica adottata prima da Gelmini e poi da Profumo è stata di trasferire gran parte del potere decisionale all’ANVUR e alla burocrazia ministeriale. In questa fase il movimento inerziale fa di ANVUR e burocrazia ministeriale lo snodo delle scelte politiche, opportunamente mascherate da provvedimenti tecnico-amministrativi, e sottratti di fatto al controllo parlamentare.