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L’insostenibile politica di Renzi e Padoan

25/07/2014

Per immaginare una crescita economica l’Italia deve intervenire sul motore della propria macchina senza fermarla, mentre le riforme strutturali si limitano a fare un tagliando alla macchina

Qualcosa non funziona nella politica economica europea ed in quella italiana in particolare. Errare è umano, ma perseverare è diabolico. Difficile capire se il governo italiano ci sia o ci faccia. L’insistenza sulle riforme strutturali e istituzionali cosa ci azzecca con le necessarie riforme di struttura che il Paese avrebbe bisogno? Riforme strutturali e riforme di struttura non sono sinonimi. Per immaginare una qualche crescita economica l’Italia deve intervenire sul motore della propria macchina senza fermarla, mentre le riforme strutturali si limitano a fare un tagliando alla macchina. La crisi italiana è tutta in questa metafora. Le riforme strutturali si sono susseguite nel tempo con effetti andati ben oltre le peggiori aspettative. Di riforme di struttura neppure un abbozzo. Quando mai si è discusso di politica industriale, di investimenti pubblici che anticipano la domanda, di ricerca pubblica per la nostra industria?

I mesi estivi sono “stressanti” per il governo. Tutti gli istituti di ricerca possono valutare l’effetto dei provvedimenti adottati e registrare le implicazioni macroeconomiche e finanziarie. Come un orologio, arrivano stime riviste al ribasso rispetto a scenari iniziali e si ripete la solita liturgia da sette anni: con le misure adottate, il prossimo anno il paese vedrà la luce in fondo al tunnel!

Il Ministro Padoan e il Presidente del Consiglio non la raccontano giusta: se credono a quello che dicono sono colpevoli, se ci fanno è tutta un'altra storia.

Andiamo con ordine. La prima cosa da sottolineare è la dinamica del Pil. Sapevamo che le previsioni del Governo erano oltre ogni ragionevolezza, +0,8% per il 2014, ma le ultime indicazioni di Istat, Banca d’Italia e FMI superano le nostre peggiori intuizioni. A fine anno la crescita economica potrebbe anche essere ancora negativa, o nelle migliori delle ipotesi di poco sopra lo zero. Una differenza di quasi 1 punto di Pil rispetto alle previsioni è pesantissima sugli equilibri di bilancio pubblico e, peggio ancora, sui livelli di occupazione. Abbiamo un grave problema di distribuzione del reddito, ma altrettanto grave e drammatica è la condizione di inoccupabilità di 6mln di persone, che tecnicamente consumano solo lo stretto necessario, nei migliori dei casi. O creiamo nuovo lavoro, oppure ci scordiamo qualsiasi crescita di reddito, occupazione, benessere.

Ma i problemi non si esauriscono qui. La manovra economica che verrà sarà in due tappe. La prima per correggere i conti pubblici relativamente alla dinamica del Pil per il 2014: una manovra correttiva non inferiore a 7mld. La seconda interesserà il 2015 per il raggiungimento del quasi pareggio di bilancio strutturale, con provvedimenti pari a 15-17mld, sempre che la crescita del Pil per il 2015 torni in territorio positivo. È certamente vero che il governo beneficerà di 2,5mld sul servizio del debito, con spread e tassi ai livelli attuali, ma i provvedimenti da adottare assomigliano tanto alla scalata del K2. Da un lato le spese indifferibili che non sono inferiori a 4-5mld, dall’altra la necessità di stabilizzare il bonus fiscale di 80 euro, altri 6mld, sempre che la platea di riferimento rimanga la stessa, a scapito delle promesse per pensionati e incapienti.

Non abbiamo la più pallida idea di come il governo intenda procedere. Si continua a rifiutare l’ipotesi di manovra correttiva, mentre ci si affida ad una ipotetica flessibilità per il pareggio di bilancio grazie ai provvedimenti strutturali intrapresi. L’Europa non sembra disposta a sostenere questa linea, contrariamente a quanto ritengono Renzi e Padoan. Al momento i documenti ufficiali europei dicono altro, mentre il neopresidente della Commissione continua a parlare di crescita nella stabilità. I 300mld annunciati da Juncker sono, in realtà, legati ai fondi strutturali e alla possibilità di rafforzare la BEI.

Servirebbe coraggio, ma non basta. Senza una sana consapevolezza dei problemi di struttura del Paese, si rischia di discutere di art.18 o di altre diavolerie simili, oppure di JobsAct e riforma della pubblica amministrazione, che nei fatti prevede una contrazione della stessa con un ridimensionamento del sindacato.

Ci aspetta un autunno difficile. Difficile perché il governo è del tutto inconsapevole di quello che attraversa il Paese. Non è il tempo delle tempeste in un bicchier d’acqua, piuttosto di provvedimenti appropriati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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Commenti

un approfondimento

http://www.economiaepolitica.it/politiche-fiscali-e-di-bilancio/linsostenibile-leggerezza-della-politica-economica-italiana/#.U931eWPznYQ

Occorre dire tutta la verità

Occorre dire tutta la verità. La crisi economica durerà almeno 15 anni. Nell'attuale situazione dei conti pubblici e con i vincoli UE, neppure Mandrake ce la potrebbe fare. I 300 mld “lordi” ventilati da Junker per tutta l’Eurozona sono un pannicello caldo. Anche i 150 mld promessi da Renzi sono teorici e insufficienti, sia perché non sono aggiuntivi ma – se ho capito bene - soltanto una rimodulazione dei fondi strutturali UE, sia perché comunque, se l’UE, come ha detto, non dà la deroga, vanno co-finanziati. Perciò delle due l'una:
a) o si vara una corposa imposta patrimoniale sui ricchi (5% delle famiglie, che detengono una ricchezza di 2.000 mld su un totale di 8.600) che, dopo il mastodontico, recessivo risanamento dei conti pubblici (330 mld nella scorsa legislatura, ma le misure strutturali dispiegano tuttora i loro effetti, 4/5 SB e 1/5 Monti) iniquamente addossati, soprattutto dal governo Berlusconi-Tremonti, in grandissima parte sui ceti medio e basso e perfino sui poveri (col taglio feroce della spesa sociale dei Comuni e delle Regioni), ad alta propensione al consumo; si sono ulteriormente arricchite e sono le sole ora ad avere i soldi;
b) o, in UE, si varano gli EuroUnionBond (proposta Prodi-Quadrio Curzio) per costituire un fondo di 1.000 mld garantito dall'oro e asset pubblici nazionali (per tranquillizzare la riottosa Germania, che pochi giorni fa, per salvare le sue banche, ha deciso un prelievo forzoso), per mobilitare un ammontare complessivo di 3.000 mld, parte da destinare alla riduzione del debito e parte alla crescita economica e dell’occupazione. Tertium non datur, pena il permanere della depressione economica e un lento declino.