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I Fondi Ue e l’Europa dei pannicelli caldi
Negli ultimi anni i fondi strutturali sono diventati una sorta di lascia passare rispetto a politiche pubbliche che diversamente Bruxelles avrebbe guardato con sospetto
Le politiche di coesione sono al passaggio del testimone. A fine anno scade il termine per l’ammissibilità della spesa rendicontabile per la programmazione 2007-2013, mentre sono finalmente in dirittura d’arrivo i programmi operativi della nuova programmazione 2014-2020. Purtroppo il passaggio sconta ritardi ai quali siamo stancamente abituati e politicamente distaccati, come se non fosse un problema. Entro dicembre 2015 vanno ancora rendicontati 12 miliardi (un terzo delle risorse complessive previste per il settennio) ma i dati diffusi dal Governo relativi allo stato di avanzamento della spesa certificata al 31 maggio 2015 dei Fondi Strutturali 2007-2013 sono tutt’altro che lusinghieri. I 52 Programmi dovevano certificare il 76,6% della dotazione complessiva (c.ca 35,7 mld di euro). Il risultato raggiunto, fonte DPS, è stato del 73,6% delle dotazioni, per un valore di spesa di 34,3 mld di euro.
Tradotto c’è una differenza di 3 punti percentuali tra target e risultato che corrisponde a circa 1,4 mld di euro che si sarebbero dovuti certificare entro la fine del mese di maggio 2015. Si tratta di un ritardo ancor più pesante in quanto la cifra degli 1,4 miliardi di euro che è mancata all’appello è una somma compensata dai risultati positivi di 23 Programmi che hanno raggiunto e superato, di oltre 800 milioni, i propri target previsti. I restanti 29 Programmi infatti non hanno raggiunto i propri target per un valore complessivo di 2,2 mld di euro. A contribuire maggiormente a tale gap sono i 369 mln di euro ascrivibili al PON Reti, i 330 mln del POR FESR Sicilia, i 277 mln del PON Ricerca e i 265 mln del POR FESR Calabria.
Tabella 1 Spesa certificata al 31 maggio 2015 dai Programmi Operativi dei Fondi strutturali 2007-2013
Programmi Operativi |
Dotazione totale (a) mld euro |
Spesa certificata (b) mld euro |
Risultato c=(b/a) | Target (d) | Differenza risultato-target | |
valori % (c-d) |
v.a. mld euro |
|||||
23 Programmi che hanno superato i target | 21,18 | 16,68 | 78,7% | 74,8% | 4,0% | 0,84 |
29 Programmi che non hanno raggiunto i target | 25,46 | 17,66 | 69,4% | 78,0% | -8,7% | -2,21 |
Totale 52 Programmi | 46,64 | 34,34 | 73,6% | 76,6% | -3,0% | -1,37 |
Fonte: elaborazione IFEL-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati OpenCoesione aggiornati al 31 maggio 2015
Se da un punto di vista strettamente finanziario questo ritardo potrebbe apparire al momento anche trascurabile, del resto c’è tempo fino a marzo 2017 per certificare la spesa, ancora una volta dovremmo forse analizzare meglio il settennio appena concluso e provare a imparare qualcosa dall’esperienza fatta. E allora ci accorgeremmo che, al di là degli artifici contabili, di fatto tollerati da Bruxelles e rintracciabili in Regolamenti e note interpretative varie, che verranno messi in campo dal 1° gennaio 2016 per scongiurare il disimpegno, ci avviamo a settembre verso la ennesima riprogrammazione. Ora, anche all’osservatore più distaccato non sfuggirà che ricorrere ad una nuova pesante riprogrammazione a tre mesi dalla fine del vecchio ciclo (quindi dopo 9 anni), e ad un passo dall’avvio del nuovo, sottende che qualcosa non ha funzionato. E purtroppo ciò che non ha funzionato, e non funziona, è proprio l’impianto dei fondi strutturali; ovvero la constatazione che per dare attuazione ad una politica redistributiva sia necessaria una “giostra” fatta di tecnostrutture costrette a rincorrere la spesa e tecnoburocrati impegnati a riprogrammarla ogni sei mesi. Il tutto senza mai avere chiaro quale è l’impatto reale di questa politica.
A titolo di esempio, certamente non esaustivo ma emblematico, basti ricordare che, dopo il progetto di completamento della linea 1 della metropolitana di Napoli (573 mln di euro di costi rendicontabili, senz’altro con un impatto per i cittadini di tipo strutturale), il secondo progetto più corposo della programmazione 2007-2013 è un fondo di garanzia per le imprese, in capo ad Unicredit Mediocredito Centrale Spa, per un valore di 550 milioni e che il progetto con l’assegnazione finanziaria più significativa all’interno del Fondo Sociale Europeo 2007-2013 è un intervento di 70 milioni di euro relativo al credito d’imposta, che vede come soggetto attuatore l’Agenzia delle Entrate. Ora è innegabile che in termini di politiche di coesione si tratta certamente di progetti coerenti, ma è legittimo chiedersi se uno Stato sovrano debba procedere con una sorta di “riciclaggio” di risorse proprie per attuare politiche ordinarie che ben poco hanno di strutturale.
In questo modo, negli anni, i fondi strutturali sono diventati una sorta di lascia passare anche rispetto a politiche pubbliche che diversamente Bruxelles avrebbe quantomeno guardato con sospetto. Ma sospetto di cosa? L’impressione che se ne trae è che le stesse istituzioni comunitarie abbiano un po’ perso di vista le finalità stesse della politica di coesione. Per cui quando serve vengono invocate come panacea contro la crisi, oppure come le misure più appropriate per complementare quelle di austerity fino ad arrivare a considerarle la testa di ponte per riequilibrare gap strutturali che però continuano a persistere in molti Paesi, almeno in Italia! La verità è che si tratta di pannicelli caldi; misure che fanno molto rumore per nulla anche per il prossimo periodo di programmazione 2014-2020. Poco più di 350 miliardi di euro per i prossimi sette anni per 28 Paesi. Certo la crescita e lo sviluppo non sono solo una questione di soldi ma è difficile pensare che questa Europa possa continuare a fare appello a questo impianto delle politiche di coesione pensato oltre venticinque anni fa e che a molti appare inadeguato, prima ancora che per l’entità delle risorse, per il modello di funzionamento e per la teoria economica che sottende. É su queste che andrebbe concentrata l’attenzione reinventando non le regole del gioco ma il gioco stesso.
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