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L’inefficienza della disuguaglianza
Al pari dell’analisi su aid-effectiveness, sviluppatasi negli ultimi anni in economia dello sviluppo, sulla cosiddetta efficacia degli aiuti internazionali, anche in economia politica e in politica economica sta riemergendo uno storico dibattito circa l’impatto delle disuguaglianze sul funzionamento del sistema-paese, sia termini economici che politici.All’interno di questo fiorente dibattito si inserisce il recente saggio del giovane Emanuele Ferragina, edito da Rizzoli, Chi troppo, chi niente, 2013. Attraverso una lente essenzialmente sociologica, Ferragina analizza le disuguaglianze in Italia declinandole su tre livelli: disuguaglianze del trattamento, delle opportunità e delle condizioni; e per farlo sceglie alcuni canali di trasmissione quali gli ordini professionali, il sistema pensionistico e quello di welfare. Il tutto per dimostrare che i diversi tipi di disuguaglianza minano la coesione sociale e riducono l’efficienza del sistema paese, rendendo necessario un intervento di policy redistributivo. Si tratta di una redistribuzione delle risorse, ma soprattutto delle opportunità, finalizzata a superare l’impasse attuale di bassa domanda aggregata e debiti pubblici elevati.
Ripartendo da un noto esempio di fallimento del mercato, descritto nella teoria economica attraverso il “dilemma del prigioniero”, Ferragina ricorda la positività dell’atteggiamento cooperativistico piuttosto che individualistico ai fini dell’outcome finale. Anche l’Italia vive un gigantesco dilemma del prigioniero, in cui “se tutti ci impegnassimo a ridurre l’incidenza delle disuguaglianze, il sistema ne guadagnerebbe a livello complessivo” (Ferragina, 2013, p. 25). Sulla scia di un’ampia letteratura sull’argomento,[1] anche Ferragina sottolinea come la disuguaglianza, prima che ingiusta, sia inefficiente.