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Un brutto accordo non migliora il clima

13/12/2008

 

Il documento del Consiglio europeo, i 27 capi di stato e di governo, al punto 23° recita così: «la Commissione presenterà al Consiglio europeo nel marzo 2010 una analisi dettagliata della conferenza di Copenaghen, in particolare per ciò che riguarda il passaggio di una riduzione dal 20% al 30%. Il Consiglio europeo procederà, su questa base a valutare la situazione, compresi gli effetti sulla competitività ....». Il punto 24° insiste: «Nel contesto di questo accordo e del piano di rilancio economico, è imperativo intensificare le azioni per migliorare l’efficacia energetica delle costruzioni e le infrastrutture energetiche, promuovere i “prodotti verdi” e sostenere gli sforzi dell’industria dell’auto volti a produrre veicoli più rispettosi dell’ambiente».

 

Nel primo dei punti citati si immagina un rapporto tra gli organi europei simile, anzi più autoritario ancora, rispetto a quello attuale. Ma la Commissione, nel 2010, non sarà stata votata dal futuro Parlamento e non dovrà rispondere in primo luogo a esso? Il veto nel consiglio, tanto per dirne una, sarà abolito, con buona pace di alcuni leader alla Berlusconi. E si sa bene che Parlamento e Commissione hanno un atteggiamento molto più responsabile in termini ambientali. E questo è davvero un fatto importante, anche se troppo spesso persone responsabili, come la cancelliera tedesca Angela Merkel, fanno finta di dimenticarsene.

 

Gli scienziati assicurano che vi è un pericolo incombente di riscaldamento globale. Sarà forse possibile sventarlo con un atteggiamento rigoroso, facendo decadere molto rapidamente la produzione di CO2. I prossimi dieci anni saranno decisivi. Però il Consiglio che rappresenta i nostri governi europei immagina e spera che alla Conferenza di Copenaghen si intavoli una trattativa globale sul clima, confrontando e mettendo sul bilancino le convenienze e i costi. Dovrebbe piuttosto augurarsi che l’obiettivo generale sia quello di ridurre le emissioni, tutti insieme, e dovrebbe darsi da fare, il Consiglio, perché tutti gli umani cooperino, aiutandosi per il bene e la sopravvivenza comuni. Utilizzando tutto quello che c’è: denaro, tecniche, braccia, esistenti sul pianeta.

 

Al punto 24°, il secondo dei punti presi in considerazione, c’è un’affermazione forte, inequivocabile. «E’ imperativo intensificare le azioni per migliorare l’efficienza energetica delle costruzioni...». Il nostro paese aveva cominciato, in ritardo rispetto ad altri, a fare qualcosa in materia. Era un provvedimento fiscale, un abbattimento delle tasse pari al 55% della spesa che aveva conseguenze sulla manutenzione complessiva, sull’industria del ramo, sull’attività economica, sulla stessa volontà dei singoli di pagare le imposte. Un semplice tratto di penna l’ha tolto di mezzo.

 

Poi il governo ha balbettato qualcosa: quello che si è capito è che vi era il sospetto di chissà quali inganni e connivenze tra artigiani e inquilini. Altri sospetta che prevalesse la preoccupazione inversa: che cioè, rattoppando i buchi, si sarebbe ridotto e di molto il fabbisogno di energia per scaldare o raffreddare gli ambienti. E la quantità di energia in Italia, in assenza di un piano nazionale, è nel dominio pieno di Enel, Eni e pochi altri.

 

Altri paesi hanno fatto un tratto di strada nell’imparare l’arte di ridurre le emissioni. Ora sono forti abbastanza per venderla a chi è rimasto indietro. Peccato; poteva essere il nostro business ambientale.

Tratto da il manifesto