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Se l'Istat non vede rosa

03/06/2014

La fotografia del paese che ci presenta l’Istat nel suo rapporto annuale è drammatica ma non particolarmente nuova: è l’immagine di un paese impoverito, con un Prodotto interno lordo che continua a cadere ancora nel 2013, trascinato dalla caduta di tutte le componenti interne della domanda, consumi privati, consumi collettivi e investimenti; con un potere d’acquisto delle famiglie che si è ridotto del 10,4% tra il 2008 e il 2013 e una perdita complessiva di un milione di occupati (-973 mila uomini e -11 mila donne), pari al 4,2 per cento del totale, di cui ben 478 mila solo nell’ultimo anno, segnalando una preoccupante accelerazione.
I dati sull’evoluzione del mercato del lavoro negli anni della crisi (capitolo 3) confermano le dinamiche, i divari, i problemi che già conosciamo: il dramma della disoccupazione giovanile, il dilagare della precarietà anche al difuori delle fasce più vulnerabili, l’acuirsi degli squilibri territoriali, le differenze di genere. Rispetto a quest’ultimo aspetto, il rapporto ribadisce che, sebbene con l’aggravarsi del quadro recessivo nel 2013 si registri una diminuzione dell’occupazione anche per le donne (-128 mila unità, pari a -1,4 per cento rispetto al 2012), il calo dell’occupazione è ancora quasi esclusivamente maschile. Nel complesso dei cinque anni della crisi, l’occupazione degli uomini si è ridotta del 6,9 per cento, a fronte di un calo dello 0,1 per cento per le donne. In questo, l’Italia si avvicina di più alla dinamica dei paesi dell’Europa centro-settentrionale, che hanno visto una riduzione dell’occupazione maschile e una sostanziale tenuta di quella femminile, discostandosi dall’esperienza degli altri paesi Mediterranei, che hanno condiviso con noi una pesante crisi fiscale e misure di austerità, e che registrano invece perdite consistenti anche nell’occupazione femminile (1).

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Tratto da ingenere.it