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La corruzione, superproblema d’Italia

08/10/2012

Lavoro inflessibile? Salari eccessivi? Per le multinazionali straniere il problema numero uno dell’Italia è la corruzione. Inizia a occuparsene l’Europa, controllando le misure anti-corruzione degli stati. Ma la politica italiana fa finta di niente.

Nella primavera di quest’anno, il Presidente del Consiglio Mario Monti incontrava una serie di potenziali investitori stranieri per convincerli a guardare all’Italia come un paese nuovo, riformato, appetibile per gli investimenti esteri. Forte delle sue riforme appena approvate (pensioni) o presentate (lavoro), si sentì rispondere con vari apprezzamenti per il cammino intrapreso, ma con altrettanta franchezza riguardo i veri problemi che frenano chiunque, straniero o no, voglia investire nel nostro paese: malfunzionamento della pubblica amministrazione, illegalità diffusa, e soprattutto corruzione.

È stato stimato che il costo della corruzione nell’Unione europea si aggira intorno ai 120 miliardi di euro l’anno, cioè una cifra equivalente a tutto il budget dell’UE. Secondo la Corte dei Conti italiana la corruzione nel nostro paese ci costa 60 miliardi l’anno. Molteplici iniziative internazionali di contrasto alla corruzione, con accordi intergovernativi e convenzioni promosse da organismi internazionali, hanno affrontato il problema. Dal Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) promosso dal Consiglio d’Europa, alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, allo specifico gruppo di lavoro dell’OCSE, tutti svolgono un lavoro di definizione degli standard più appropriati da usare come metro di valutazione per gli stati. Tuttavia l’applicazione di misure specifiche di contrasto alla corruzione rimane molto diseguale fra i vari paesi.

Per questo motivo la Commissione europea ha lanciato la sua iniziativa anti-corruzione, che svilupperà un sistema di sorveglianza e valutazione continua delle misure messe in atto dagli stati membri dell’UE in quest’ambito. La Banca Mondiale pubblica da tempo una serie di indicatori di buon governo, che mirano a misurare i livelli di legalità, trasparenza, stabilità politica, ed efficienza della pubblica amministrazione. In tutti questi esercizi di misurazione della qualità del governo l’Italia perde continuamente posizioni, da più di un decennio ormai.

L’importanza del contrasto alla corruzione, come fattore decisivo nell’applicazione delle politiche pubbliche, è ormai ampiamente riconosciuta. I primi studi quantitativi sulla nuova strategia di sviluppo dell’Unione europea “Europa 2020” dimostrano come le differenze fra gli stati membri, nella capacità di raggiungere gli obiettivi fissati dalla strategia, non dipendano tanto da differenze nei livelli di reddito, o di crescita, e nemmeno dalla sostenibilità delle finanze pubbliche. Ciò che realmente fa la differenza e spiega il diverso grado di successo è il livello di corruzione, qualunque sia l’indicatore scelto per misurarlo.

Ulteriori studi sull’efficacia degli investimenti realizzati a livello regionale attraverso i fondi strutturali europei suggeriscono che anche in questo caso i livelli di corruzione sono l’elemento che fa la differenza fra uno stesso programma correttamente realizzato e che genera risultati positivi e ritorni su un territorio, rispetto a casi di fallimento, che ben conosciamo, in altri territori. Queste analisi suggeriscono che la tradizionale e storica diatriba fra economisti keynesiani e monetaristi, riguardo il famoso moltiplicatore della spesa pubblica, la capacità cioè degli investimenti pubblici di restituire un valore maggiore (secondo i keynesiani) o minore (secondo i monetaristi) rispetto all’investimento iniziale, possa essere risolta guardando alla qualità del sistema di governo che canalizza tali investimenti, piuttosto che alla decisione in sé di aumentare o diminuire la spesa pubblica.

Il livello di legalità, il funzionamento efficace ed efficiente della pubblica amministrazione, il contrasto alla corruzione sono i veri fattori critici di successo per lo sviluppo economico. Essi determinano la qualità dei canali attraverso cui passa la spesa pubblica, sono l’infrastruttura principale sulla quale si appoggiano le politiche pubbliche.

Oggi è piuttosto in voga parlare di governance, di good governance, ma già nel XIV secolo un italiano, Ambrogio Lorenzetti, raffigurava l'Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo nel Palazzo Pubblico di Siena per ispirare il comportamento dei governatori della città. Sette secoli più tardi l’Italia è uno dei paesi più corrotti del mondo occidentale, secondo tutti gli indicatori di buon governo disponibili a livello internazionale.

Può un paese in queste condizioni permettersi di non avere ancora regole serie ed efficaci di contrasto alla corruzione? Possiamo permetterci il lusso di sprecare l’occasione di dotarci di una legge anti-corruzione, con una proposta di compromesso, timida ed annacquata?

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