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Italia, dov’è finita la protesta?

19/09/2012

Di fronte alla crisi e alle politiche di austerità, sembra che l’Italia non risponda più con grandi manifestazioni di protesta. Il rapporto con la politica si allontana e cambiano le dinamiche dei movimenti sociali nel nostro paese

Di fronte alle dure politiche di austerity che, già da tempo ma oggi con maggiore vigore, colpiscono ampie fasce di popolazione (“nove su dieci”, dimostra Mario Pianta), una delle domande spesso rivolte agli studiosi di movimenti sociali (così come ai loro attivisti) è: perché a fronte di una sfida così grande, la mobilitazione si mantiene limitata? Perché – diversamente da Spagna, Grecia e Stati Uniti, ma anche dall’Islanda prima di loro – c’è apparentemente così poca protesta?

Occorre innanzitutto osservare che la protesta c’è, cresce e si focalizza sui temi dei diritti sociali intrecciate con domande di democrazia reale. Una ricerca che abbiamo condotto (con Lorenzo Mosca e Louisa Parks) sulle proteste riportate su un quotidiano nazionale nel 2011, dimostra una mobilitazione non solo elevata, ma anche concentrata su temi sociali. Quasi la metà degli eventi di protesta riportati coinvolge lavoratori (in condizioni occupazionali stabili), oltre la metà se si aggiungono i precari (tabella 1). Più di un quinto coinvolgono studenti. Inoltre, se i sindacati sono ben presenti nella mobilitazione, attori importanti della protesta sono anche gruppi informali di movimenti sociali, centri sociali occupati e associazioni di vario tipo (tabella 2). Non a caso, le statistiche sugli scioperi segnalano un aumento del 25% nell’ultimo anno.

Tabella 1. Tipo di gruppo sociale coinvolto nell’evento di protesta (risposte multiple, percentuale di casi)

Gruppo sociale %
Lavoratori 47,3
Studenti 21,8
Cittadini (in generale) 13,6
Donne 10,9
Lavoratori precari 10,0
Immigrati o minoranze etniche 10,0
Intellettuali/artisti/giornalisti 10,0
Altri 10,0
Totale (N) 147

 

Tabella 2. Tipo di organizzazione coinvolte nell’evento di protesta (risposte multiple, percentuale di casi)

Tipo di organizzazione %
Gruppi di base 39,4
Sindacati 36,7
Partiti politici 33,9
Donne 15,6
Centri sociali 10,1
Attori istituzionali 5,5
Altri 3,7
Totale (N) 158

 

Se gli episodi di mobilitazione anti-austerity sono numerosi, è però vero che, negli ultimi mesi, sono mancate le grandi manifestazioni che avevano contribuito alla caduta del governo Berlusconi, segnalando tra l’altro che politiche neoliberiste non potevano essere imposte efficacemente da un capo di governo libertino, e variamente delegittimato. Il passaggio da Berlusconi a Monti non ha segnalato un mutamento di indirizzo delle politiche pubbliche, ma l’acquisto (a prezzi modici, a dire il vero) del sostegno ad esse di quella che era stata l’opposizione politica. Se il 15 ottobre 2011, con una grande capacità di mobilitazione, ha rappresentato un’eccezione, la sua evoluzione non ha facilitato la ripresa di un processo di aggregazione nella protesta – tutt’altro.

Una prima ragione della difficoltà nel mettere in rete le mobilitazioni esistenti può essere individuata nella crisi stessa. Ripetutamente, la ricerca sui movimenti sociali ha sottolineato che non è quando c’è più privazione (né assoluta, ne relativa) che la protesta aumenta, ma piuttosto quando maggiori risorse sono disponibili per chi vuole contestare le decisioni di chi governa. Già gli studi sul movimento operaio hanno rilevato che gli scioperi crescono con la piena occupazione, non quando aumenta la disoccupazione. Se l’insicurezza scoraggia l’azione collettiva, l’effetto depressivo della crisi non può che essere accentuato dal nuovo tipo di mercato del lavoro, e per le nuove figure produttive meno protette sul mercato del lavoro e sul luogo di lavoro. Chi è precario ha, certamente, più difficoltà a mobilitarsi in difesa dei suoi diritti, perché è più ricattabile, ha meno tempo libero, e spesso mancano gli stessi luoghi fisici di aggregazione che erano stati così importanti per il movimento operaio.

Se questo tipo di spiegazione, diciamo strutturale, ha qualche granello di verità, non ci aiuta però a capire perché in Spagna, Grecia, o negli Stati Uniti (ma anche in Italia in altri momenti) i gruppi più colpiti dalla crisi economica e dalle crescenti diseguaglianze prodotte dalle politiche neoliberiste (peraltro responsabili di quella stessa crisi) si sono mobilitati in momenti di protesta ampia e visibile (dagli Indignados a Occupy). I precari hanno, tra l’altro, in Italia protestato in maniera ampia e visibile, in particolare nella prima metà dello scorso decennio.

La ricerca sui movimenti sociali ci offre un’altra spiegazione, più specificamente applicabile al caso italiano. La protesta, per crescere, ha bisogno di alcune opportunità politiche. Fra di esse, fondamentale per i movimenti di sinistra è la posizione di potenziali alleati come partiti e sindacati, che sono importanti per estendere la mobilitazione, sia per le risorse logistiche che possono offrire sia, soprattutto, per la possibilità di accrescere l’influenza politica di chi protesta. È contro governi di centro-destra che la protesta di massa è stata più consistente è visibile, quando ha trovato il sostegno di partiti e sindacati. Ciò è tanto più vero in Italia dove, nonostante reciproche critiche, i rapporti tra movimenti e partiti di sinistra (quando c’erano) erano sempre stati intensi.

Se questi alleati c’erano contro Berlusconi, un governo di grande coalizione come il governo Monti ha drasticamente ridotto le opportunità di alleanze politiche. Non solo partiti che votano per il governo neoliberista e le sue politiche sarebbero alleati poco credibili per chi a quelle politiche si oppone, ma il governo in carica è anche riuscito a propagare efficacemente la sua auto-immagine di “governo tecnico”.

Che questa auto-rappresentazione abbia pochi appigli nella realtà è evidente, tra l’altro guardando alle carriere della maggior parte dei ministri all’interno di istituzioni non certo neutrali rispetto alle scelte politiche, così come nelle politiche di deregolamentazione, privatizzazione, e riduzione della volontà e capacità dello stato di intervenire a ridurre le diseguaglianze prodotte dal mercato.

Ma è anche evidente che l’autorappresentazione come governo tecnico abbia attecchito sulla stampa e oltre. Non solo i principali giornali nazionali inneggiano acriticamente al “super Mario”, ma istituzioni come quelle accademiche, che avevano in passato gelosamente custodito un’immagine di neutralità politica, offrono oggi, spesso e volentieri, un palcoscenico politico al capo di un governo che si autodefinisce tecnico, palcoscenico utilizzato poi per fare discorsi prettamente politici e ideologicamente neoliberisti.

Questa anomalia italiana contribuisce certamente a spiegare la difficoltà di mettere in rete i tanti rivoli della protesta – che pur, appunto, ci sono. Questa resistenza diffusa potrebbe comunque contribuire a una aggregazione e politicizzazione delle mobilitazioni, non solo attraverso la contestazione di specifiche politiche, ma anche sottolineando la natura – politica e neoliberista – di questo governo.

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Commenti

Il futuro sarà migliore

Il futuro sarà migliore

crisi movimenti

Credo sia dovuto al rito mai tramontato degli scontri. Analizzare quelli di Roma (i famosi indignati in realtà espressione dell'area antagonista) per capire come si seppelliscono i movimenti. Prendere atto di questo. Negli Usa ad esempio un movimento estraneo agli antagonismi ideologici ha avuto un successo e una simpatia planetaria. Noi stiamo ancora al passamontagna.

Italia, dov’è finita la protesta?

Non saprei che dire; se dovessimo guardare a Grecia e Spagna, ne dovremmo dedurre che forse gli italiani sono o più smaliziati, o più intelligenti. Cosa hanno cambiato le proteste in Grecia e Spagna? Hanno introdotto un nuovo percorso per uscire da questa crisi? Hanno agevolato la costituzione di un governo alternativo al liberismo nazionale ed europeo?
Se non è successo, perché?
Ma poi: esiste concretamente oggi una sinistra maggioritaria nella popolazione e in grado di arrivare al governo della società e governare “contro”il pensiero unico economico, sociale, politico, culturale? Insomma, esiste una egemonia di sinistra capace di diventare governo? E questo vale per la la Grecia, l'Italia e la Spagna. (E' ovvio che non mi interessano le nicchie di intellettuali che hanno capito molto, ma parlano nel deserto. Senza trascurare i molti intellettuali di sinistra desolatamente inutili).

la protesta va fatta dove si decide

certo che lo stanco rituale della protesta, il piccolo corteo in prefettura, in tante prefetture, e poi il grande, poco o tanto, corteo romano sempre più fiappo e ripetitivo non interessa più nessuno perchè i potenziali partecipanti han capito prima dei burocratici organizzatori che non c'è alcun potere nè nelle prefetture nè a Roma: i problemi, da quando c'è l'euro non si possono risolvere come si è sempre fatto, stampando della moneta, e a Roma non c'è il coraggio e neanche la capacità di tagliare delle spese o mettere altre imposte. La difesa del posto di lavoro non si può più fare a Roma: forse, si può fare a Bruxelles, magari insieme ad altri sindacati di altre nazioni, per chiedere che si usino tutti gli strumenti politici e giuridici che la UE ha per bloccare il dumping sociale, che vuole ridurre retribuzioni e pensioni e welfare al livello minimo della concorrenza, in Europa e fuori. Contro il dumping e gli aiuto dello stato le lobby industriali sanno come agire in Europa:; lo sanno anche le organizzazioni dei contadini. Quelle dei lavoratori no, non ci hanno neanche provato. E credete che le decine di migliaia di ragazzi che hanno fatto l'Erasmus queste cose in famiglia non le abbiano dette? e che il dubbio di avere degli organizzatori ideologi e citrulli non sia ormai molto diffuso?

PROTESTE

Uno stormo di uccelli improvvisamente si leva nel cielo e come una nuvola nera, velocemente si compatta e poi si flette, si allunga, si ricompatta, componendo sempre nuove fantastiche figure per poi scomparire chissà dove.
I fenomeni umani, sociali, a volte fanno pensare a questo spettacolo della natura che poi anche gli umani sono natura.........Penso al movimento popolo viola, nell'arco di un mattino ha raccolto una imponente dimostrazione e poi?
Tra le tante ragioni che scoraggiano le proteste ci metterei anche la rete. Strumento che fino a pochi anni fa era inimmaginabile, ora è una potenza a doppia validità: una comunicazione eccezionale contro un proliferare di iniziative, sistemi ridondanti, dispersione di comunicazioni. Sembra che la possibilità globale di comunicazione costituisca il raggiungimento della condizione ideale. Lo è teoricamente. È evidente che se tutti scrivono è impossibile che tutti leggano ciò che tutti hanno scritto. Quante associazioni, circoli, blog ecc. sono in rete? Senza interferire sulla legittima libertà di ciascuno di leggere e scrivere, se si desidera un risultato, occorre un metodo. Qualcuno deve escogitate un metodo per allacciare tra di loro tutte le attività in rete in modo di poter creare la condivisione di un argomento, una battaglia per volta. Quanti hanno tempo per aggirarsi tra i fumi dei socialnetworks? Naturalmente esistono molte altre motivazioni, tra le specificatamente politiche ci sarebbe il problema della credibilità politica. Questa si può ottenere solo con una revisione rigorosa delle regole: decimazione dei compensi, nessun privilegio e pene raddoppiate per i reati connessi alle cariche pubbliche. Scapperebbero coloro che intendono la politica solo un mezzo di arricchimento e si farebbero avanti nuove leve.