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Da Prandini a Bertolaso, vent'anni di opere
La deroga diventa la regola, gli appalti finiscono in tangenti, le grandi opere affondano nella corruzione. Cos'è successo dalla prima alla seconda Repubblica? Come e perché siamo tornati al punto di partenza? Diagnosi di un male che può curare con buone regole, ma anche buone opere
Le dilaganti inchieste sulle opere ed eventi della Protezione civile e sulla corruzione ripropongono il tema delle attuali regole che governano il settore degli appalti e l’applicazione poi concreta che ne deriva. Dal nord al sud, opere grandi e piccole, varianti urbanistiche e concessioni, piscine e forniture nella sanità, servizi di catering, consulenze, progetti, collaudi ed arbitrati: ogni intervento, secondo quanto è emerso, si presta a manipolazioni e pressioni indebite. Sono almeno quattro i fattori essenziali da affrontare per contrastare il fenomeno: un sistema di regole attualmente non capace di controllare a monte in modo efficace le procedure; la totale perdita di etica e senso dello Stato da parte di numerosi funzionari pubblici; la disattenzione dell’opinione pubblica e dell’informazione in nome del “fare presto”; il rapporto deformato e sovrapposto tra imprenditori e politica, con il reciproco sostegno economico ed elettorale.
Sarebbe un errore fare una critica indistinta, mentre serve ricostruire l’evoluzione del quadro di regole che ha sistematicamente ridimensionato procedure più rigorose, in nome della “politica del fare presto” che ha imposto il governo Berlusconi ma che ha influenzato anche il centrosinistra in molte occasioni.
Anche ai tempi dell’inchiesta Tangentopoli nel 1992 emerse chiaramente che gli eventi speciali e le ordinanze della protezione civile per giustificare interventi urgenti ed affidati a trattativa privata, erano stati uno dei volani formidabili di corruzione. Basti pensare agli interventi per il terremoto dell’Irpinia, agli interventi per il disastro in Valtellina, ai Mondiali del 1990, alle Colombiadi del 1992, i piani di ricostruzione eterni di Longarini - dove migliaia di miliardi di vecchie lire non si trasformarono in interventi bensì in tangenti, come ha accertato la magistratura.
Negli stessi giorni della grande inchiesta sulla Protezione civile, sui giornali è apparsa con minor rilievo la notizia che la Corte dei Conti ha condannato definitivamente Gianni Prandini, potente ministro democristiano ai Lavori pubblici tra il 1989 ed 1992, ad un risarcimento allo Stato di 5 milioni per danno erariale. Colpa di ben 449 appalti affidati dal ministro a trattativa privata e che hanno causato un maggior esborso per lo Stato di 320 milioni di lire. Come dire che siamo ritornati alla stessa storia di 20 anni fa ...
Dopo il ciclone che travolse nel 1992 la prima repubblica su appalti e tangenti, il parlamento approvò nel 1994 la nuova legge in materia di appalti pubblici, su proposta del ministro Merloni. Conteneva regole molto stringenti sui limiti della trattativa privata e sulle ordinanze del protezione civile, sulle varianti in corso d’opera e sui lavori complementari, separava progettazione ed esecuzione delle opere (altrimenti i progetti lievitano nell’interesse del costruttore), sostituiva il vecchio Albo dei Costruttori con la Soa - un sistema di certificazione controllato delle imprese di costruzione -, istituiva l’Autorità di Vigilanza sui lavori pubblici. Si fece la riforma dell’Anas, eliminando lo stretto cordone ombelicale con il ministro e si misero in campo le delibere per adottare la riforma delle concessioni autostradali. Non si riuscì invece a semplificare il numero delle stazioni appaltanti in un numero stringato e controllabile, lasciando l’attuale "babele".
Uno dei primi atti che assunse il governo Berlusconi al suo primo debutto nel 1994 fu di sospendere gli effetti della legge Merloni. Si dovettero aspettare diversi anni e il governo Prodi perché tornasse - se pur rivista in diverse parti - la nuova norma in materia di appalti e concessioni. E' in questo clima che si svolsero i lavori per le Olimpiadi invernali di Torino ed i lavori del Giubileo a Roma, eventi speciali ma che comunque sono stati realizzati con regole e vigilanza pubblica.
Lentamente cominciò l’attuazione della legge Merloni: anche se a più riprese, emendamenti mirati riuscirono a strapparle dei pezzi, invocando l’eliminazione dei “lacci e lacciuoli” che impedivano la realizzazione delle opere ed allungavano i tempi: un ritornello che ci ha inondato per anni e da cui certo non si è sottratto, tranne le solite lodevoli eccezioni, il sistema dell’informazione.
Nel 2001 la legge Merloni, con il secondo governo Berlusconi, subì un affondo frontale: con la "legge obiettivo" è tornato l’appalto integrato di progettazione ed esecuzione, si è semplificata la valutazione ambientale ed i progetti sono tornati ad essere di pessima qualità. Si è tentato anche di sopprimere l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici: tentativo fallito, ma l'Autorità non ha mai avuto le migliori condizioni per svolgere il proprio lavoro in termini di risorse e di poteri efficaci. Nel settembre 2001 un decreto legge ha ricondotto la Protezione civile sotto la Presidenza del consiglio, e nella conversione parlamentare ha poi allargato, su prposta del governo, la sua competenza della Protezione civile ai “grandi eventi”. Inutile ricordare che il piccolo drappello di Verdi allora presente in parlamento ben si accorse dell’impatto della norma e, benché intervenne con ostinazione per segnalare la gravità della cosa, rimase naturalmente abbastanza inascoltato, anche a sinistra.
Il risultato di che cosa significhi definire qualsiasi cosa un “grande evento” ed evitare in questo modo di affidare appalti e servizi con gara di evidenza pubblica, lo abbiamo visto tutti.
Infine nel 2006, a pochi giorni dalla nuova tornata elettorale, il governo Berlusconi ha emanato il nuovo codice appalti elaborato da Pasquale De Lise, presidente del Tar del Lazio, che partendo dal necessario recepimento di due direttive europee, riassume in un codice unico degli appalti, in cui si allentano ulteriormente alcune misure, tutte le norme del settore. Se da un lato è vero che le norme europee dovendo tener conto di regimi giuridici e sistemi imprenditoriali diversi, hanno maglie molto larghe e contengono anche forti innovazioni, è pur vero che esse sono state sempre utilizzate per allentare ulteriormente il sistema di regole italiane.
Nei due anni di Governo Prodi vengono corrette le norme più devastanti, si adottano riforme stringenti delle concessioni autostradali, si rimettono a gara le tratte non iniziate dell’alta velocità ferroviaria ma, certo, non si è frenata la logica dei "grandi eventi" affidati alla Protezione civile, nè si è corretta la Legge obiettivo per le grandi opere, perché spesso anche nel centrosinistra la cultura del "fare presto" è sembrata inconciliabile conregole e procedure di controllo.
Con il ritorno del terzo governo Berlusconi, i grandi eventi e le ordinanze della Protezione civile diventano la regola, si cancella la riforma delle concessionarie autostradali, che tornano a realizzare il 60% dei lavori direttamente con le proprie imprese, si restituiscono ai vecchi consorzi 15 miliardi di lavori a trattativa privata per l’alta velocità ferroviaria ( Milano-Genova, Milano-Verona-Padova). Si ripropone il piano carceri da realizzare in fretta con grandi deroghe in materia di appalti ed affidamenti, si consente alle opere pubbliche dell’Expo 2015 di Milano con una apposita delibera del gennaio 2010 di derogare dal Codice Appalti sulle varianti, sui collaudi, sul subappalto, sulla direzione lavori e le procedure autorizzative.
Infine tornano i lotti costruttivi e non funzionali delle grandi opere che vengono introdotti con un emendamento in legge finanziaria 2010 per inaugurare pezzi di opere che si sa quando cominciano e non si sa quando finiscono! Ed è ancora di questi giorni il dibattito in consiglio dei ministri per mettere un freno alle parcelle degli arbitrati e ai collaudi affidati ai soli noti, che spesso fanno parte di istituzioni che dovrebbero vigilare in modo imparziale sul buon andamento dei lavori.
Sono stati ripristinati anche i commissari per le grandi opere, con l’unico scopo di attribuire poteri speciali ed alleggerire le procedure già straordinarie come quelle della legge obiettivo: basti pensare a Pietro Ciucci, uno e trino, che è Presidente di Anas, Amministratore Delegato della Società Stretto di Messina (di cui Anas è socia all’82%) e commissario straordinario per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.
Con questo quadro di regole in cui la deroga è tornata la regola, inutile stupirsi dei risultati che le inchieste della magistratura hanno scoperchiato ed il sistema di informazione amplificato.
Anche la Corte dei Conti nella sua relazione annuale ha sottolineato come i casi di corruzione e concussione nel 2009 siano triplicati rispetto al 2008, mentre sono stati ridimensionati con norma i poteri della stessa Corte di Conti di intervento. Del resto la proposta di trasformare la Protezione Civile in SpA, poi bocciata per lo scoppio delle inchieste, aveva come scopo principale quella di ridurre i controlli della Corte dei Conti.
C’è un sistema politico ed imprenditoriale deformato, che cerca di evitare ad ogni passo l’affidamento mediante gara ma, anche quando si procede con gara di evidenza pubblica, il sistema di regole non è sufficientemente efficace. Semplificare il numero delle stazioni appaltanti (per consentire controlli efficaci), rafforzare l’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici anche sul piano delle risorse e dei poteri, eliminare gli eventi e l’estensione dei poteri legati alle ordinanze della Protezione civile, sono misure essenziali per superare questa debolezza strutturale del sistema di regole.
Ma per accorciare i tempi servirebbe anche selezionare pochi e finanziati cantieri utili (e non la solita e sterminata lista delle grandi opere) ed elaborare progetti di qualità, per ridurre varianti, contenziosi ed impatti ambientali. Questi sono gli strumenti necessari per "fare presto" le opere e non le scorciatoie che deformano il sistema, premiando i meno innovativi ed i più permeabili alla corruzione e che, inoltre, non riducono affatto i tempi come si vuol far credere.
Adesso il sistema dell’informazione sembra essersi svegliato ma non è ammissibile che l’attenzione sia a corrente alternata o legata al momento politico, perché se c’è una cosa che il sistema teme più delle regole (chi si possono sempre aggirare elegantemente….) è il fare luce sugli affari e le reti indecenti di protezione. Anche la reazione indignata dei cittadini è una buona premessa ed una speranza perché non vengano premiati “gli affaristi” e la “buona” politica del fare abbia la meglio. Oltre alle regole, al cambiamento servono anche informazione ed indignazione.
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