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Fatti e valori, scienza ed economia

19/05/2008

Il passaggio dal XX al XXI secolo è segnato da profonde trasformazioni che stanno già cambiando - e ancor più lo faranno nel prossimo futuro - il volto della società globale. Due sono le sfere dell'attività umana che subiscono una svolta epocale: quella degli strumenti di conoscenza della realtà e quella della produzione dei beni necessari alla vita dei sette miliardi di individui della nostra specie.

La prima svolta investe la scienza. Nel 900 l’uomo ha instaurato il suo pieno dominio sulla materia inerte mentre il nuovo secolo sarà il secolo del dominio dell'uomo sulla materia vivente e del controllo sui fenomeni mentali e sulla coscienza. Questa svolta comporta lo sgretolamento di due steccati che tradizionalmente separavano la scienza dalle altre attività sociali. Uno la separava (in quanto conoscenza disinteressata della natura ottenuta attraverso la scoperta) dalla tecnica frutto della pratica empirica e dalla tecnologia (in quanto utilizzazione del risultati della prima realizzata attraverso l'invenzione). L'altro steccato separava le attività che si occupano di fatti da quelle che si occupano dei valori che stanno alla base delle norme (etiche e giuridiche) intese a regolare le finalità e i comportamenti degli individui nei loro rapporti privati e nelle loro azioni sociali.

Comincio dunque dall'intreccio fra fatti e valori. La sua origine è chiara. Una cosa è manipolare, controllare, forgiare un oggetto fatto di materia inerte e altra cosa è compiere le stesse operazioni su un organismo vivente o addirittura sull'uomo. Nel primo caso il lecito può coincidere con l'utile, nel secondo il lecito dovrebbe per lo meno dipendere anche da una valutazione di natura etica: diventa dunque sempre più difficile decontaminare i fatti dai valori ed estirpare gli interessi dalla conoscenza.

Si riapre dunque la contesa per 1'egemonia nella società fra chi pretende di essere depositario e amministratore dei valori che dovrebbero stare alla base di ogni aspetto dei comportamenti umani e chi ritiene che soltanto attraverso il dominio razionale sui fatti sia possibile affrontare i problemi della vita umana e della convivenza sociale. Sono entrambe pretese pericolose. Da un lato abbiamo le tesi di papa Ratzinger, che la sinistra deve contrastare con grande fermezza. Egli rivendica per la religione cattolica uno statuto di "conoscenza razionale" della stessa natura di quella delle scienze, che dovrebbero dunque esserle subordinate in quanto limitate per definizione ad ambiti parziali.

Dall'altro lato abbiamo le posizioni di chi ritiene che il problema non esiste perché la scienza dovrebbe continuare ad occuparsi soltanto dei fatti e non dei valori. A parte la contraddizione in termini che questa tesi rappresenta, perché rifiuta il fatto evidente che la ricerca sui fatti della vita e della mente inevitabilmente comporta giudizi di valore sulle azioni da intraprendere e sull'uso dei suoi risultati, questa tesi getta discredito sulla scienza stessa perché lascia senza risposta le domande che ogni giorno nascono da una società sempre più insicura e disorientata

Si pone dunque con urgenza per una sinistra del XXI secolo il compito di suscitare dal basso l'adozione di comportamenti e pratiche sociali fondati su un’etica condivisa ‑ che preferirei chiamare umanistica, piuttosto che "laica" ‑ in grado di lasciare alle persone libertà di giudizio e di scelta.

La seconda svolta a cui ho accennato all'inizio investe 1'economia. Essa è rappresentata dalla tendenza, suffragata da fatti sotto gli occhi di tutti, a fondare sempre più la formazione del profitto nel processo di accumulazione del capitale sulla produzione di merci non tangibili (conoscenza, informazione, saperi, comunicazioni, formazione, intrattenimento, cultura). Il punto è che questa tendenza trascura la differenza sostanziale tra la natura di questi beni e quella dei beni materiali. La proprietà fondamentale dei beni immateriali è che la fruizione da parte di un "consumatore" non ne impedisce la fruizione da parte di altri. Se due persone hanno ognuna una mela e se le scambiano restano ciascuna con una mela, ma se ognuno ha una buona idea e se le scambiano, alla fine ognuno ne avrà due.

La riduzione di questi beni immateriali a merce, destinata a essere acquistata e fruita individualmente e in esclusiva, è dunque una appropriazione privata di un bene che, se è da un lato frutto della creatività di singoli individui, è anche, dall'altro sempre fondato sulla conoscenza comune prodotta in passato da altri individui, che è diventata patrimonio comune della società. Brevetti e i diritti di proprietà intellettuale, lungi dal rappresentare la giusta ricompensa all'ingegno e alla creatività degli autori, sono per la maggior parte rendite estorte in un mercato artificiosamente costruito per rendere scarso un bene che scarso non è.

Colgo l’occasione per accennare a un altro settore fondamentale nel quale occorre contrapporre, come reazione alla dilagante mercificazione di tutti i beni non tangibili, nuovi saperi e nuovi valori. E' il settore delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Lo scontro che ormai da qualche anno ha contrapposto i sostenitori delle pratiche che vanno sotto il nome di open source (sorgente aperta) e di free software (software libero) alla filosofia di Bill Gates è diventato un conflitto mondiale tra opposte visioni del processo di produzione e di condivisione della conoscenza. Spero che qualcuno più autorevole e competente di me dell'associazione Net-Left (http://net-left.org), alla quale appartengo da tempo, abbia modo di illustrare meglio i suoi scopi e la sua attività.

Chiudendo il cerchio con quanto dicevo all'inizio, sempre più numerose e disparate sono le evidenze dello sgretolamento della barriera tra scienza e tecnologia che hanno cominciato ad accumularsi negli ultimi decenni del secolo scorso. La prima evidenza è che la corsa all'appropriazione privata delle nuove conoscenze si associa all'appropriazione (e anzi si fonda su di essa) di quelle che i diversi popoli della terra hanno ereditato dalle proprie culture millenarie, e soprattutto di quell'immenso bene comune costituito dalle infinite risorse dell'ecosistema terrestre.

La seconda evidenza è che la rincorsa al massimo profitto nel più breve tempo possibile esclude il finanziamento della ricerca scientifica necessaria a produrre conoscenze a medio e a lungo termine non remunerative nell'immediato, e in particolare quelle utili per far vivere meglio i miliardi di poveri che non sono in grado di acquistarle. La terza evidenza, infine, è che la crescente disuguaglianza fra chi dispone di nuovi saperi e chi non può accedervi crea ulteriori disuguaglianze fra chi nuota nella ricchezza e chi muore di fame; tra chi può guarire delle malattie più rare e chi muore ancora di malaria e di dissenteria; fra chi trae lucro dagli eventi naturali o artificiali catastrofici sempre più estesi e frequenti e chi ne rimane vittima perdendo gli scarsi beni che possiede e la vita stessa.

Per concludere. Penso che la sinistra abbia abbastanza cose da fare. Temo che dovremo stare a lungo all'opposizione. E stare all'opposizione significa cogliere nel vivere quotidiano lo spunto per suscitare risposte collettive contro le infinite cose che non possiamo accettare. Una di queste cose, che, come tutti sapete, mi ha coinvolto personalmente, è stata l’iniziativa presa dal rettore della Sapienza, in cerca di notorietà mediatica, di invitare il Papa all'inaugurazione dell'Anno accademico, con la caccia alle streghe che ne è seguita, scatenata contro coloro che ne avevano criticato il fine e le modalità.

Il nodo della questione era, come avrebbe dovuto essere chiaro a tutti, la contraddizione insita nell'avere affidato alla più alta Autorità religiosa dell'occidente il ruolo centrale e conclusivo della cerimonia laica più importante di una università pubblica in una repubblica non confessionale. I fatti assumono, infatti, significati diversi in contesti diversi. Un invito al Papa a visitare la Sapienza sganciato da ogni altra manifestazione avrebbe acquistato il valore di un omaggio all'autorità del visitatore e si sarebbe svolta in un clima di rispettoso ascolto delle sue parole, pronunciate, per cosi dire, dalla cattedra di Pietro. Ma questa non può essere confusa con una cattedra universitaria. Le due cattedre hanno ovviamente, dignità e funzioni molto diverse, che non possono essere confuse tra loro come avrebbe invece preteso di fare il professor Ratzinger.

Occorre tuttavia domandarsi, per trarre insegnamento da questa lezione: qual è il retroterra della spregiudicata escalation della Chiesa cattolica contro l'autonomia dello stato repubblicano alla quale assistiamo ogni giorno? Provo a fare due brevi considerazioni in proposito. La prima riguarda la crisi della cultura della modernità. Ne do per scontate le cause e le manifestazioni. Mi limito a constatare che a questa crisi non corrisponde la crescita di una cultura fondata su nuovi valori che consentano alla società di non farsi travolgere dalla mercificazione totale di ogni aspetto della vita individuale e collettiva, e di opporsi alle sue drammatiche conseguenze.

La seconda osservazione, strettamente legata alla prima, riguarda la svolta che investe la scienza, di cui ho parlato all’inizio. Nell’ambito del vuoto valoriale che si è creato assistiamo anche al riavvicinamento di alcuni settori della cultura dell'occidente alle tradizioni e ai sentimenti religiosi e alle istituzioni che ne detengono la rappresentanza. Ma proprio per questo mi sembra miope e autolesionista che, in particolare nel nostro paese, gli eredi della cultura democratica e socialista si precipitino ad assecondare questa tendenza con atti di sottomissione nel confronti di una Chiesa cattolica che, come diceva Eugenio Scalfari, sta sempre più abbandonando il sacro per impegnarsi nel profano.

E' una grande battaglia che ci attende. Non certo contro la religione - dio ce ne guardi, viene da dire con una battuta - ma contro 1'espropriazione, che è da respingere, della sfera del sacro immanente nella profondità dei sentimenti e delle emozioni di ogni essere umano da parte di una istituzione che rivendica il monopolio della mediazione fra l'umano e il divino. Si tratta di una appropriazione che ignora e svilisce le innumerevoli differenti forme storiche e geografiche di questa sfera cosi intima e delicata, senza rispetto per la dignità personale e l’integrità morale di ogni individuo, credente, agnostico o ateo che sia.

 

* Marcello Cini è professore emerito di Fisica teorica all'Università La Sapienza di Roma.

Tratto da nuvole.it