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Più imposte sui ricchi per dare ai poveri

08/06/2010

La crisi riapre la questione della distribuzione. Le ragioni a favore della via più ovvia e dimenticata: ridurre i redditi di chi ha di più, per sostenere gli altri

La crisi economica attuale riapre inevitabilmente la questione della redistribuzione del reddito. Se il prodotto lordo diminuisce, qualcuno in patria deve vedere ridotti i suoi redditi. Chi? In questo articolo si farà una proposta precisa: devono essere ridotti i redditi dei ricchi, onde sostenere quelli dei poveri. Può sembrare ovvio, e infatti lo è. Se il mondo della politica fosse governato dal buon senso potrei fermarmi qui, anzi non avrei avuto alcun motivo di scrivere questo articolo. C'è la crisi, i ricchi devono aiutare i poveri. Ma a quanto pare la perdita di cultura della sinistra è tale che è purtroppo necessario dimostrare che (a) i ricchi hanno abbastanza soldi per pagare la crisi e (b) che il far pagare la crisi ai ricchi non è affatto in contrasto con la teoria economica - anzi. Il prossimo paragrafo sarà dedicato al punto (a), e quello successivo al punto (b). Un breve paragrafo ulteriore aggiungerà alcune considerazioni di carattere sociale e politico. L'ultimo contiene una proposta.

Quanti sono i ricchi, e quanto sono ricchi?

L'Istat svolge periodicamente un'indagine campionaria sulla distribuzione del reddito netto famigliare. La pubblicazione dei dati è un po' strana; fino al 2008 (con i dati relativi al 2006) comparivano in forma tabellare, ma nel 2009 compare solo un grafico. Essi comunque consentono una stima approssimativa ma attendibile di quanti sono i ricchi, e anche di quanto sono ricchi.

E' bene dire due parole sui calcoli effettuati per ottenerla. Ho considerato ricche, in modo inevitabilmente arbitrario, le famiglie che hanno un reddito netto di almeno 60.000 euro all'anno (circa 66.000 se si considerano gli affitti imputati). Questa soglia può sembrare bassa, ma è quella che assumo rendere assai poco dolorosa l'aliquota che verrà proposta. Le famiglie che superano i 60.000 euro di reddito annuo netto erano circa 3.100.000, con un reddito medio di circa 80.000 euro per famiglia.

Assumo come scenario che i ricchi, come sopra definiti, vengano sottoposti a un'imposta straordinaria di solidarietà del 5% del reddito netto. Si tratta palesemente di una cifra sostenibile. E' appena il caso di sottolineare che è una riduzione molto minore di quella che subiscono le famiglie dei lavoratori in cassa integrazione o disoccupati. In effetti, non esiste nessuna ragione di equità che impedisca un'aliquota superiore, diciamo il 10; ce ne sono anzi parecchie che la favoriscono. Come che sia, un'aliquota del 5% consente già di incamerare circa 13,6 miliardi di euro. Fin qui abbiamo parlato di tassazione dei redditi, ma se guardiamo alla ricchezza otteniamo dei dati ancora più suggestivi. Secondo i dati forniti dall'Associazione Italiana Private Banking, in Italia c'erano alla fine del 2008 594.000 "super ricchi", vale a dire soggetti con un patrimonio finanziario (quindi esclusi terreni ed edifici) superiore a 500.000 euro; 18.000 circa, i "super-super-ricchi", superavano i 5 milioni di euro. Il valore complessivo del patrimonio finanziario dei ricchi era di circa 780 miliardi (più o meno la metà del Pil italiano di un anno), e quello del patrimonio dei superricchi di circa 195 miliardi, con una media per questi ultimi di 10.833.000 euro. Credo che ben pochi potrebbero opporsi a una tassazione dell'1% all'anno per qualche anno (cioè fin che dura l'emergenza) su questi importi. Si tratta di una manovra molto mite, certo non da "comunisti feroci nemici della proprietà privata"; eppure basterebbe a produrre quasi 8 miliardi di euro. L'aggiunta di un'aliquota poco più alta sui redditi più alti (ed eventualmente di una più bassa su redditi elevati ma inferiori a 60.000 euro) e la tassazione della ricchezza dei super-superricchi per un'aliquota aggiuntiva più alta (ed eventualmente anche di quella dei quasi-superricchi) consente agevolmente di arrivare a 25 miliardi di euro all’anno. Una valida indicazione della sua portata è questa: 25 miliardi di euro consentirebbero di assegnare circa 240 euro al mese a ciascuna di quel (lo sottolineo) venti per cento circa delle famiglie che hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese (dati Istat).

A cosa servono i ricchi?

E' possibile, tuttavia, che tassare i ricchi sia dannoso per la società nel suo complesso. E' ovvio che non è così, ma come dicevo è bene spiegare perché non lo è. Ci sono quattro ragioni per cui tassare i ricchi potrebbe essere inutile o controproducente. Due sono ovvie, e le abbiamo già confutate. La prima è che i ricchi possono essere troppo pochi perché tassarli sia risolutivo: abbiamo visto che non è così. La seconda è che la "punizione" dei ricchi può togliere la voglia di diventare ricchi, e quindi danneggiare il sistema di incentivi su cui si basa l'economia. A parte altre considerazioni, abbiamo visto che la tassazione dei ricchi può essere molto proficua anche con aliquote non punitive.

Le altre due ragioni sono più sottili, e più legate alla teoria economica. La prima è che i ricchi consumano in proporzione meno dei poveri, e quindi investono di più. La seconda è che la retribuzione dei ricchi corrisponde a quanto essi conferiscono alla società, quindi se li si pagasse di meno la società non ci guadagnerebbe. Entrambi gli argomenti sono palesemente falsi, perlomeno nel caso specifico. E' vero che la riduzione di reddito causata dalla tassazione qui suggerita andrebbe perlopiù a scapito del risparmio. Un po' di calcoli consentono però di stimare che la disponibilità di capitale calerebbe del 6 per mille circa. E' molto difficile immaginare che questa cifra possa avere effetti significativi sui tassi di interesse del debito pubblico o privato e sulla disponibilità di capitale per le imprese private. E comunque è molto probabile che l'iniezione di 25 miliardi di domanda stimolerebbe gli investimenti molto più di quanto la riduzione di risparmio corrispondente li farebbe diminuire. Il secondo argomento è ancora meno credibile. Esso implica che se il reddito di Marchionne passasse dai 4,87 milioni di euro annunciati dai giornali a (poniamo) 3 milioni di euro, la Fiat ci perderebbe 1,87 milioni di euro. Se preferite, che Marchionne non avrebbe accettato di lavorare alla Fiat per, poniamo, "solo" 3 milioni di euro. E più in generale, che se riduciamo del 5% il reddito di un ricco, il valore della sua produzione diminuirebbe del 5%. Tutto ciò è palesemente falso; e il motivo è che il ragionamento teorico che sta alla base di queste conclusioni vale solo per un'economia di concorrenza perfetta. E' assolutamente evidente che una buona parte dei redditi dei ricchi di cui stiamo parlando dipende proprio dal fatto che non c'è concorrenza perfetta, e spesso nemmeno imperfetta. Non varrebbe la pena in effetti occuparsi di queste argomentazioni, se non per un interessante corollario: la stessa teoria che ci dice che in concorrenza perfetta un ricco guadagna ciò che egli contribuisce alla società, ci dice anche che quando ciò non avviene il suo guadagno è eccessivo rispetto alle esigenze della società. Se la società può impiegare meglio dei ricchi stessi il loro guadagno in eccesso, non esistono ragioni di efficienza (e ovviamente tanto meno di equità) che impediscono di portarglielo via.

Brevissime considerazioni sociali e politiche

Oltre a quelle economiche, ci sono alcune ovvie considerazioni sociali che suffragano la validità della manovra qui suggerita. E ci sono anche degli aspetti politici: li riassumo ricordando lo splendido studio di B. Ehrenreich sulla povertà negli Stati Uniti, che si chiude con l'osservazione che i poveri non possono essere cittadini di uno stato democratico, perché per loro la democrazia è come se non ci fosse (B. Ehrenreich, Una paga da fame, Feltrinelli, 2001). Quindi, oggi come ieri, redistribuire dai ricchi ai poveri è necessario anche per difendere, e possibilmente sviluppare, la democrazia. Ma c'è anche un altro aspetto, altrettanto importante e meno ovvio. La manovra qui proposta implica che si metta l'accento sulla solidarietà: c'è la crisi, chi può aiuti chi non può. Purtroppo, affermare oggi questo principio, sopratutto in Italia, non è affatto scontato. E potrebbe essere un momento importante di una rivoluzione culturale assolutamente necessaria, che porti appunto ad instaurare un'etica della solidarietà al posto di quella della furberia.

Una proposta

Nel paragrafo due abbiamo visto che i ricchi hanno abbastanza soldi, e nel paragrafo tre che non esistano requisiti di efficienza che impediscano di portargliene via un po'. Giungiamo allora alla conclusione inevitabile che la sinistra può e deve mettere al centro della sua politica la proposta "togliamo ai ricchi per dare ai poveri" (a scanso di equivoci, questa proposta non è alternativa a quella che deve essere la principale battaglia per la redistribuzione, e cioè la lotta all'evasione fiscale. Dal momento che la maggior parte degli evasori significativi sono anche ricchi, questo articolo vale anzi come smentita dell'ipotesi, piuttosto diffusa, che la lotta all'evasione "distrugga" l'economia).

Bisogna avere chiaro che questa proposta è conflittuale. Ma da che mondo è mondo la questione della redistribuzione del reddito è sempre stata conflittuale, tranne che in quei non auspicabili casi in cui il saccheggio di qualcun altro offriva risorse per tutti. Questo conflitto va quindi organizzato e gestito. In particolare, occorre definire anche tecnicamente le forme in cui la tassazione va implementata. E' evidente per esempio che le dichiarazioni Irpef non sono sufficienti. Tassare i ricchi è complicato, anche se sicuramente non impossibile; non basta volerlo fare. Però volerlo fare è sicuramente il primo e imprescindibile passo. Il lavoro di studio ed elaborazione, assolutamente necessario, non può nemmeno essere iniziato se non è inserito in una proposta politica chiara e, appunto, chiaramente conflittuale.

Mi permetto di fare una proposta di questo tipo. La lotta che sta nascendo intorno al referendum sulla privatizzazione dell'acqua sta insegnando due cose: che esiste una enorme massa di gruppi locali, radicati sul territorio sui più disparati argomenti, disposti a impegnarsi in una lotta su temi generali; e che questa lotta può essere condotta senza che i gruppi abbandonino la loro specificità di collocazione territoriale e di settore di impegno. Il modello di questa lotta potrebbe essere utilizzato anche sul tema della redistribuzione. Per esempio, in vista delle elezioni del 2013 si potrebbe organizzare una raccolta nazionale di firme di elettori che si impegnano a votare solo per quei candidati che abbiano pubblicamente sottoscritto un documento non equivoco che impegna il Parlamento ad elaborare una legge per togliere ai ricchi e dare ai poveri

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La ricchezza, se concentrata in poche mani, porta il sistema al debito

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La ricchezza, se concentrata in poche mani, porta il sistema al debito!

l'utilità marginale della ricchezza è decrescente

Premesso che mi sembrano più interessanti e pertinenti i commenti all'articolo che non l'articolo in sè, resta comunque il merito all'autore di esseresi avvicinato, e di molto, al vero tema. L'unico vero tema della crisi e della società contemporanea: la creazione prima, e la distribuzione poi, del valore.

Premesso che prima occorre, come già osservato da un commentatore, attuare una lotta efficace e trasparente all'evasione fiscale (non foss'altro per metter in luce le vere ricchezze, che sono molte, ma molte di più di quelle censite e di certo si attestano ben al di sopra da quelle accumulate grazie ad un reddito di 60.000€ netti l'anno.

Importante non dimenticare che la soluzione ce la fornisce il mercato, quando premia chi merita e quando si mortifica sotto il peso delle eredità non guadagnate. Il reddito, e la ricchezza, non possono che seguire il merito.

E' il naturale meccanismo di crezione prima, e distribuzione poi, del valore che va rivisto: l'assistenzialismo, così come l'elemosina, non hanno mai risolto la struttura del problema.

Sosteniamo (ex ante) un processo di creazione della ricchezza ispirato ai principi di utilità, scaristà e merito, al fine di favorire il raggiungimento (ex post) di una più efficace (equa) distribuzione ricchezza. Come? Lasciando che sia il mercato (regolato e presidiato) a farlo:

1) Guidi il merito per la velocità di crescita dei singoli redditi;
2) Il livello di utilità effettiva ci dirà fin dove poter arrivare nella remunerazione delle capacità;
3) Una tassazione leggera sui patrimoni e sui redditi bassi, una tassazione pesante sui redditi e sui patrimoni eccessivi, quelli non goduti insomma, dai quali non può essere tratta alcuna utilità (e dunque consumo), bensì solo superbia. (le aliquote fiscali previste dalla legge delega 825/71 mi sembrano interessanti).
4) Possibilità per i redditi, le eredità ed i patrimoni eccessivi, di essere sottratti dalla base imponibile se re-investiti in attività produttive, ricerca e sviluppo, con relativa creazione di posti di lavoro;


Viceversa avremo solo la mortificazione di questo capitalismo di consumo, dove l'utilità marginale della ricchezza è decrescente e pochi ricchi non bastano a compensare i mancati consumi dei tanti poveri.

Non faccio commenti sul nesso risparmio/investimento in quanto, molto opportunamente, il commentatore che mi ha preceduto ha già puntualizzato che "la relazione va dall’investimento al risparmio e non dal risparmio all’investimento".

ARTICOLO DI GUIDO ORTONA

Sono d'accordo per l'obbiettivo di uno STATO SOCIALE universale.
Per ottenere questo obbiettivo occorre rovesciare come un calzino l'attuale sistema tributario.
Per avere la progressività del sistema tributario nel suo complesso (art.53 Costituzione) occorre applicare le aliquote fiscali previste dalla legge delega 825/71 che sono 32 e partono dal 3% ed arrivano fino al 72%.
Inoltre occorre spostare il carico fiscale dai redditi fissi certificati al 100% dei loro importi ai redditi indipendenti sottoposti ad una tassazione ridotta ed irrisoria nei loro importi determinati dagli studi di settore.
Per fare tutto questo occorre riconoscere la seguente equazione: tutte le SPESE EFFETTIVE formano tutti i REDDITI EFFETTIVI, cioè passare dal sistema induttivo/forfetario al sistema analitico/deduttivo/sistematico. Solo questo sistema potrà fare emergere i 120 miliardi di evasione fiscale e 40 miliardi di evasione contributiva
Quindi tutti i redditi lordi globali comprensivi di tutti i tipi di rendite e tutte le spese, documentate dai relativi documenti fiscali, devono figurare nelle denunce dei redditi ed essere tassati sulla loro differenza ed ai relativi importi applicare le aliquote, sopra citate, della legge delega 825/71.
Solo proponendo questo sistema potremo trovare un alleanza fra lavoratori dipendenti, pensionati e lavoratori autonomi che non arrivano al reddito minimo concordato per avere un vero governo riformista che attui lo stato sociale universale.
torelli.roberto@alice.it
associazione articolo 53 Salvatore Scoca - Meuccio Ruini
visitate il nostro blog: articolo53.blogspot.com

Una Robin Hood tax non è la soluzione

Alcune osservazioni sull'articolo di Guido Ortona:
1) Non sarebbe più semplice e più equo auspicare un’imposta fortemente progressiva sul reddito, anziché proporre una soglia?
2) Tenendo conto dell’altissimo tasso di evasione in ogni caso sarebbe necessario iniziare con una capillare lotta all’evasione per evitare che i beneficiari del bonus per i poveri siano semplicemente evasori.
3) Con il contributo di solidarietà proposto in questo articolo molto probabilmente molte famiglie uscirebbero dalla fascia della povertà perdendo il diritto al contributo ma vi tornerebbero nel momento in cui il contributo non viene più erogato. L’ovvio risultato sarebbe una continua entrata/uscita dalla fascia della povertà di un numero crescente di individui.
4) Soprattutto non condivido l’idea dell’imposta di solidarietà.L’idea di togliere ai ricchi per dare ai poveri mi sembra più una controrivoluzione che una rivoluzione culturale in quanto implica assistenzialismo anziché stato sociale e potrebbe condurre in questa situazione addirittura a un ridimensionamento del welfare.
Il processo auspicabile a mio parere, è un’uscita generalizzata dalla povertà realizzabile attraverso uno stato sociale universale, nonché politiche per l’occupazione e industriali di cui non è possibile parlare in questa sede per motivi di spazio. Non una politica non di assistenzialismo dunque, come è implicito in questa proposta, bensì un welfare universale. Molte proposte sono state fatte per reperire i fondi necessari per il rilancio dell’economia e per l’estensione dello stato sociale. Oltre al già citato aumento della progressività nell’imposizione fiscale cito alcune misure a mio parere necessarie: è opportuno spostare i carico fiscale dal lavoro alle rendite e ai grandi patrimoni, introdurre tasse ambientali, reintrodurre l’Ici sulla prima casa e sui beni ecclesiastici, tagliare i finanziamenti alle scuole private, la spesa militare, ecc. La campagna di Sbilanciamoci ad esempio ha presentato un ricco ventaglio di proposte per un nuovo modello di sviluppo. Credo invece che di una Robin Hood tax proprio non si senta il bisogno.
E infine una nota tecnica: la teoria economica che viene contestata nell’articolo mi pare ormai superata. Perfino Barro, che certamente non può essere considerato un economista di sinistra, mostra con verifiche econometriche che la relazione va dall’investimento al risparmio e non dal risparmio all’investimento.