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Avanti. Sì, ma verso dove?

12/09/2010

Il Presidente Berlusconi, scansando con un segno della mano tutti i dissensi che dividono la sua maggioranza, ha detto che occorre andare “avanti”. Ma avanti dove? Verso il processo breve ed altre leggi ad personam e attacco ai diritti dei lavoratori o verso le riforme volte a garantire un nuovo sviluppo del Paese, maggiore eguaglianza, maggiore benessere?

Chi non ha lasciato incertezze e dubbi è stato l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, che ha indicato come meta la fine (per legge?) della lotta di classe e il passaggio ad una nuova era di collaborazione tra lavoratori e padroni indicando la stessa prospettiva che nel 1944 fu formulata dalla destra DC riprendendo tematiche avanzate dalla Curia romana nel periodo fascista e che assunse vesti accademiche con il prof. De Vito.

Fortunatamente la socializzazione della politica posta da Palmiro Togliatti come obiettivo primario del PCI, la saggezza di Alcide de Gasperi (cui la curia romana di Pio XII contrappose Luigi Gedda), la forza dell’organizzazione sindacale unitaria guidata da Di Vittorio, Grandi e Buozzi, il dissenso di alcuni qualificati esponenti del capitalismo italiano (Mattioli, Menichella, Olivetti, Saraceno, Vanoni, lo stesso Costa) fecero allora rapidamente tramontare posizioni che, in nome del “partecipazione agli utili” della classe operaia, tendevano a salvare l’essenziale del corporativismo fascista: la quieta subordinazione della classe operaia alle scelte dei padroni. E trionfò anche in Italia quel fondamentale diritto dei cittadini a dissentire, associarsi, definire obiettivi comuni, manifestarli ed aprire per essi un “conflitto”. Al fine, indubbiamente, di raggiungere un compromesso, ma un compromesso più avanzato del precedente.

 

Ci ha recentemente ricordato Gilberto Seravalli che l’innovazione non nasce dal compromesso, ma dal conflitto. Concordo pienamente vuoi per ciò che riguarda la ricerca, vuoi per ciò che riguarda la libertà, lo sviluppo e il benessere dell’umanità. Non esiste tuttavia un momento magico in cui il conflitto risolve tutti i problemi, – la classe operaia lo ha imparato sulla propria pelle – ma esistono tanti momenti fatti dal succedersi di conflitto-innovazione e compromesso. Tra le varie fasi alcune assumono particolare rilievo per l’importanza dell’innovazione. Così, ad esempio, ha assunto particolare rilievo in Italia lo “Statuto dei diritti dei lavoratori” firmato, poco prima della morte, dal socialista Giacomo Brodolini, ministro del lavoro. Ma sono proprio conquiste come queste che oggi, sfruttando la divisione dei sindacati e il compiaciuto consenso della CISL di Bonanni, il cittadino svizzero Sergio Marchionne mette in discussione, aprendo lui un conflitto di cui sarebbe errato sottovalutare la portata. Ma come si fa a proclamare la fine dello scontro di classe proprio nel momento in cui l’imprenditoria italiana sta scaricando sui lavoratori tutto il peso di una drammatica crisi? Sono del 30 agosto i dati ISTAT che dicono che a luglio 2010 l’occupazione è diminuita di 172 mila unità rispetto allo stesso mese del 2009 e il numero delle persone inattive è salito a 14 milioni 968 mila. Un giovane su quattro è privo di lavoro. I lavoratori in cassa integrazione sono 650.000 e non superano gli 850 euro al mese. Come si fa a parlare di partecipazione paritaria nel momento in cui la risposta data alla crisi sta drammaticamente aggravando tutte le disuguaglianze?

 

La maggioranza dei lavoratori – operai, tecnici, laureati – faticano ad arrivare a fine mese e il loro stipendio si aggira attorno ai 15.000 euro annui (il reddito medio degli italiani è di 18.873 euro). A fronte di questa cifra non può non colpire il fatto che lo stipendio complessivo (comprensivo di benefit e stock options) del sig. Sergio Marchionne, quale risulta dal bilancio Fiat del 2010, sia salito non ostante la crisi, a 4,7 milioni di euro l’anno. 4,7 milioni annui significano uno stipendio che pesa più di 250 volte quello di un tecnico della Fiat. Nessuno nega il cumulo di responsabilità che pesano sull’ amministratore delegato di un gruppo come la Fiat. Ma che il lavoro di Marchionne giustifichi l’abisso che separa il reddito di un giovane ingegnere dal suo è veramente difficile pensarlo. Perché prima di avanzare teorie sulla fine della lotta di classe non si può fare il gesto di abbassare il moltiplicatore a 100, stabilendo che in nessun gruppo industriale, bancario, finanziario la divergenza tra stipendio massimo (benefit compresi) e stipendio minimo dell’ultimo dipendente non possa superare le 100 volte? Il problema che l’etica e la giustizia pongono non sarebbe certo risolto, ma guadagnare 100 volte lo stipendio di un operaio invece che 250 ridurrebbe la lacerazione.

 

Conosciamo l’obiezione. L’operazione di stabilire che, all’interno di un gruppo industriale, finanziario bancario, il rapporto tra lo stipendio e salario minimo e quello massimo non possa superare un tot sarebbe disastrosa perché il “mercato” indurrebbe i vari Marchionne a trasferirsi negli Stati Uniti o in un paese di oligarchi. L’obiezione è fondata. Nell’ambito di un mercato globalizzato senza regole concordate, accadrebbe esattamente quello che oggi avviene con i camerieri che da Milano emigrano in Svizzera o con gli operai che dalla Romania emigrano in Italia o in Francia. E che già avveniva nel medioevo con i soldati degli eserciti di ventura. Ci si arruolava dove la paga era più forte.

 

Ma il fatto che l’obiezione sia fondata nella realtà non significa che essa sia fondata sulla morale e sui principi di giustizia. Pensare di valere 250 volte un’altro essere umano è tale atto di presunzione che fa francamente impressione e un’impressione non piacevole. Se ne meraviglierebbe perfino Vittorio Valletta, che ai suoi tempi guidava la cinquecento e girava senza scorta. E’ vero che anche 100 volte non sono una zolletta di zucchero, ma accettare un limite, invece che trincerarsi con gli altri oligarchi dell’oro in una torre da cui sparare quote di disoccupazione, precariato, inflazione ai cittadini normali, può aprire una fase di rapporti più serena e utile alla ricerca delle vie per uscire in modo durevole dalla crisi che tormenta il 95% dei cittadini. Anche l’organo della Confindustria ha lanciato un preoccupato monito: “L’autunno si presenta più grigio del passato…le linee di faglia dell’economia del pianeta sono minacciose quanto prima.” E le minacce non si sventano tributando onori imperiali al colonnello Gheddafi e alle sue giovani amazzoni o occupandosi dei propri personali affari, invece che del governo della crisi..