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Cala l'occupazione, aumenta l'inattività
L’indagine sulle forze di lavoro relativa al primo trimestre di quest’anno è la prima fotografia precisa degli effetti della crisi finanziaria sulle condizioni di vita delle cosiddette persone comuni. Sgombera il campo da tante rassicurazioni superficiali sul fatto che l’Italia era relativamente protetta. Al contrario, offre una prima conferma, specie se ci si continuerà nelle politiche di piccolo cabotaggio, all’ipotesi OCSE di un ritorno della disoccupazione italiana a tassi a due cifre nel 2010. I dati segnalano, infatti, che non solo, dopo quattordici anni, l’occupazione cala, ma che il fenomeno riguarda anche i gruppi e le zone finora più protette.
Cala tra gli italiani, in particolare maschi. Cala anche al Centro-Nord, senza per questo rallentare la diminuzione al Sud. Gli unici non toccati sembrano gli ultra-cinquantenni, il cui numero tra gli occupati invece aumenta. E’ l’esito delle varie manovre effettuate sull’età alla pensione e sulle varie "finestre" che consentono di andare in pensione, effettuate lo scorso anno. Esse hanno, positivamente, rallentato il flusso di pensionamenti anticipati, come testimoniato anche in queste settimane dai dati INPS. A ciò si aggiunga che molti ultracinquantenni che magari avrebbero desiderato anticipare la pensione ora non ci pensano neanche, visto che devono pensare a mantenere a lungo figli spiazzati dalla crisi. Sono infatti i giovani di ambo i sessi sotto i 34 anni, con contratti a termine o co.co.pro., gli involontari protagonisti della riduzione della occupazione. Viceversa gli immigrati, uomini e donne, continuano a mantenere una dinamica occupazionale positiva. Non già perché portano via il lavoro agli autoctoni, ma perché fanno quei lavori che gli autoctoni non sono più disposti a fare e che spesso sono sottopagati e pochissimo qualificati, nell’edilizia (unico comparto produttivo che mostra un segno positivo), in agricoltura e nei servizi domestici. Ma anche per gli immigrati la dinamica positiva sta dando segni di rallentamento e potrebbe presto invertirsi, senza che ciò apra per altro occasioni per gli italiani. Semplicemente, la domanda per quei tipi di lavoro può diminuire per mancanza delle risorse necessarie a sostenerla.
Accanto alla diminuzione della occupazione, va segnalato l’aumento del numero di occupati che nel periodo dell’indagine non era al lavoro: non perché improvvisamente siano aumentati coloro che si ammalano o vanno in vacanza nel primo trimestre dell’anno, ma perché, come sappiamo, è enormemente aumentata la cassa integrazione.
Se i dati sulla disoccupazione, pur in aumento (7,9% a fronte del 7,1% di un anno prima) appaiono meno drammatici di quanto non ci si aspetterebbe a fronte di questo quadro, è perché il tasso di attività continua ad essere basso nel nostro paese, e, a seguito della crisi, rischia di ridursi ancora di più. Nel Mezzogiorno, che ha già i tassi di attività, specie femminili, più bassi, aumenta infatti il numero degli inattivi e non più solo tra le donne, ma anche tra gli uomini. Scoraggiati da inutili attese nel mercato del lavoro, non sono più in ricerca attiva di lavoro. Forse faranno qualche lavoretto nella economia informale, senza alcun tipo di garanzie, alimentando anche i rischi di incidenti e morti sul lavoro. Ma in molti casi sono totalmente al di fuori del circuito del mercato del lavoro, senza speranza e senza accesso ad un reddito proprio.
Come aveva già segnalato il Governatore della Banca d’Italia, è un quadro che deve destare molta preoccupazione e interventi non casuali, frammentari o addirittura solo linguistici. Siamo di fronte a pezzi importanti delle generazioni più giovani che, dopo essersi sentiti dire che dovevano abbandonare il sogno del posto fisso, ora sperimentano la perdita della possibilità tout court di avere un lavoro. Si ritarda così ulteriormente per molti di loro la possibilità di autonomia economica e di formare una propria famiglia, con buona pace delle grottesche rassicurazioni dei vari rappresentanti governativi circa l’adeguatezza del nostro sistema di protezione sociale che non lascerebbe nessuno scoperto. A ciò si aggiunga che, nonostante la riduzione del tasso di inflazione – unica nota positiva in questo quadro – tra diminuzione, quando non perdita, delle entrate da lavoro, riduzione delle prestazione dei servizi (dalla scuola ai trasporti) e aumento del loro costo, molti bilanci famigliari sono sotto forte tensione senza avere sempre risorse di scorta. Per quanto possa funzionare ed essere generosa la microsolidarietà familiare, non ci possiamo aspettare l’impossibile. Rischiamo che si inneschi, o sia già innescato, un circolo vizioso di deterioramento delle risorse individuali e sociali che, se non tempestivamente contrastato, sarà poi difficile rompere.
C’è anche il rischio che un prezioso strumento di monitoraggio in tempo reale della situazione quale è l’Indagine sulle forze di lavoro si inceppi, almeno temporaneamente. Perché si regge su un pool di intervistatori il cui contratto non può più essere rinnovato, senza che sia stata tempestivamente messa a punto dall’Istituto una alternativa – per loro come lavoratori precari e per l’indagine.