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Macro e micro. Le vie dell’intervento pubblico
La rotta d'Italia. Un’Europa meno depressiva, una moneta più liquida, il rilancio della domanda, banche pubbliche, politiche per l’energia e i rifiuti. Modeste proposte per un governo di centro sinistra
Il dibattito sulla “Rotta d’Italia” ha raccolto molti interventi sulle nuove politiche che servono al paese. Affrontiamo qui un insieme di questioni – macroeconomiche, di politica industriale e ambientale – che si ricollegano agli interventi di Claudio Gnesutta e Mario Pianta (1) sulle alternative per l’Unione Europea e di Gianni Silvestrini (2) e Sergio Andreis (3) per la riconversione ecologica dell’economia.
1. L’integrazione europea sta andando avanti, ma nel modo sbagliato. Il trattato sulla stabilità europea, il cosiddetto Fiscal Compact che sancisce l’obbligo del pareggio di bilancio, è un atto che non ha alcuna validità giuridica perché viola i precedenti Trattati dell’Unione. Il Fiscal Compact è un trattato di diritto internazionale incompatibile con il Trattato di Lisbona del 2009, che recepisce alla lettera il Trattato di Maastricht secondo cui è consentito un rapporto tra deficit e Pil pari al 3%. Proprio perché il Fiscal Compact è un trattato di diritto internazionale, per garantirne l’applicazione è stata necessaria una frettolosa modifica della Costituzione, in Italia come in altri paesi europei. Ma in questo modo non sarà possibile attuare quelle politiche economiche espansive che oggi sono necessarie per avviare un nuovo ciclo di crescita.
La Germania è il paese più intransigente sulle politiche di risanamento delle finanze statali, ma dovrebbe ricordarsi che la spettacolare ripresa economica tra il 1933 e il 1936 fu possibile grazie ad una politica di lavori pubblici associata ad una decisa espansione monetaria. Hjalmar Schacht, ministro dell’Economia e Presidente della Banca Centrale del Terzo Reich, lanciò le obbligazioni MEFO, mezzi di pagamento tra le imprese a circolazione interna, emessi da una compagnia statale concepita per finanziare la ripresa economica senza gravare sul bilancio pubblico e senza stampare moneta. Così in soli quattro anni il Terzo Reich riuscì a trasformare un’economia in bancarotta, gravata da rovinosi obblighi di risarcimento postbellico e da zero prospettive per il credito e gli investimenti stranieri, nell’economia più forte d’Europa.
Oggi una misura equivalente a quella messa in atto negli anni ’30 è rappresentata dall’emissione degli Eurobond per finanziare un grande piano di rilancio dell’economia europea. Su questo punto sarebbe opportuno che si costituisca un’alleanza per fare pressione sulla Germania: il risanamento dei bilanci sarà possibile solo se si rimette in moto l’economia.
2. Il vuoto di domanda che ha prodotto la caduta della produzione, degli investimenti delle imprese e dell’occupazione è causato anche da una carenza di moneta nell’economia reale. Per questi motivi sono particolarmente interessanti gli esperimenti sulle monete complementari, come quello condotto a Nantes da Massimo Amato e Luca Fantacci.
Accanto all’utilizzo di una moneta complementare elettronica in contesti territoriali, è da tener presente la possibilità di usare i titoli del debito pubblico (BOT) come strumenti di pagamento per finanziare l’economia nazionale. La possibilità che i titoli pubblici possano essere utilizzati negli scambi e negli investimenti sostituendo la moneta non sembra che sia stato compreso appieno sul piano teorico; sul piano pratico invece si era capito molto bene visto che con i titoli pubblici si pagavano anche le tangenti.
Per attuare una strategia di questo tipo sarebbe essenziale la trasformazione del debito estero in debito interno, poiché se i titoli sono accumulati all’estero essi non circolano e di conseguenza perdono la loro funzione monetaria. Inoltre, si eviterebbero operazioni di natura speculativa da parte delle grandi banche d’affari stabilizzando il valore dei titoli pubblici, come accade in Giappone – un paese che ha un rapporto tra debito pubblico e Pil doppio rispetto all’Italia ma non ha il problema dello spread – in cui è prevista l’emissione di particolari certificati del Tesoro, con rendimenti sicuri e ancorati all’inflazione, da riservare al risparmio delle famiglie.
Si potrebbe allora “nazionalizzare” una parte consistente dei BOT e bisognerebbe costruire un sistema di compensazione fra imprese per far funzionare i BOT non come riserva di valore, ma come moneta complementare. Così i titoli pubblici potrebbero circolare ed essere usati nel mercato interno come strumenti di pagamento alternativi alla moneta ufficiale.
3. Accanto alle banche private dovrebbero coesistere banche pubbliche, le quali dovrebbero perseguire obiettivi diversi da quelli privati. Come sappiamo l’obiettivo primario delle imprese private è costituito dalla massimizzazione dei profitti di breve periodo e dalla distribuzione di dividendi agli azionisti. Al contrario, le banche pubbliche, nel rispetto del pareggio di bilancio, dovrebbero avere come obiettivi prioritari quelli di spingere verso il basso il prezzo del denaro e di garantire il credito alle famiglie e alle imprese in misura ben maggiore di quanto avviene oggi.
Invece di continuare a parlare di fantomatiche liberalizzazioni, bisognerebbe finalmente prendere coscienza che le grandi banche private stabiliscono i tassi sui prestiti e regolano l’offerta di credito influenzando i comportamenti delle banche minori, le quali tenderanno a seguirne le decisioni secondo un meccanismo imitativo. In più, esistono intrecci azionari che portano le banche ad essere legate a filo doppio le une alle altre. In questo quadro, i principi fondamentali della concorrenza, come la rivalità e la segretezza delle strategie, vengono clamorosamente a mancare.
Le grandi banche pubbliche potrebbero condizionare gli equilibri tra le grandi banche private, equilibri che spesso si basano su patti di pacifica convivenza e di spartizione del mercato, e potrebbero influenzarne le strategie di finanziamento e le politiche sui tassi alla clientela. La coesistenza tra banche pubbliche e private costituisce dunque una strada per permettere alle imprese e alle famiglie di avere una maggiore libertà nella scelta tra operatori di diversa natura, cioè per garantire una vera concorrenza.
È innegabile che vi siano vari ostacoli a procedere su questa strada. In primo luogo bisogna evitare che le banche pubbliche siano controllate dai partiti politici che generano corruzione. Per future banche pubbliche si potrebbe pensare di far nominare i vertici dalla Banca d’Italia, che rappresenta un’istituzione autorevole e indipendente, sulla falsariga di quanto accade nella magistratura che è indipendente dal potere politico. Il secondo ostacolo è costituito dalle difficoltà del nostro bilancio pubblico.
4. Poiché oggi è molto difficile aumentare la spesa pubblica e diminuire le tasse, per rilanciare lo sviluppo dell’economia italiana dobbiamo sfruttare i pochi strumenti alternativi che lo Stato ha a disposizione: le grandi imprese come ENI, ENEL e Finmeccanica, i centri di ricerca pubblici e le università.
Per prima cosa noi dobbiamo attivare le due grandi imprese energetiche: ENI ed ENEL. Queste aziende devono tornare ad essere uno strumento di politica economica, industriale ed energetica, cioè devono tornare al servizio del Paese e sono in grado di farlo perché realizzano dei profitti altissimi. Con queste aziende si può intervenire sui prezzi dell’elettricità, del gas, della benzina e dell’olio combustibile, poiché esse sono imprese price leader: quando variano i prezzi di vendita dell’energia le altre imprese faranno altrettanto.
Abbassare il costo dell’energia alle famiglie a basso reddito e alle piccole imprese rappresenta una delle poche strade che abbiamo a disposizione visti gli esigui margini di manovra sul fronte fiscale. Inoltre, le aziende ancora sotto il controllo pubblico possono aumentare notevolmente le spese in ricerca e gli investimenti nelle nuove tecnologie, in particolar modo nel Mezzogiorno, aggregando i centri di ricerca, le università e le piccole e medie imprese su grandi progetti d’innovazione.
Non bisogna aver paura dell’impatto che una nuova politica dei prezzi dell’energia e degli investimenti può avere sulle quotazioni azionarie di queste imprese, perché se l’economia italiana riprende a crescere i valori delle azioni aumenteranno. Oggi la maggior parte delle grandi aziende è assolutamente sottovalutata poiché sconta il “rischio Italia” rappresentato dalla bassa crescita e dall’alto debito pubblico.
Infine, è arrivato il momento di creare un’industria nazionale dei rifiuti, che abbia la capacità di selezionare, di trattare e di riciclare tutti i tipi di materiali. I rifiuti devono trasformarsi da un costo per i cittadini e un danno per l’ambiente ad una fonte di ricchezza: si tratta di un problema che non può essere più rinviato e deve essere affrontato a livello nazionale. In questo ambito entra in gioco un discorso di impiantistica industriale e di sviluppo tecnologico che si affianca all’esigenza di potenziare la raccolta differenziata, un settore ad alta intensità di lavoro.
Su tutti questi fronti è quindi necessario rilanciare l’intervento pubblico per far uscire l’Italia dalle sabbie mobili in cui sta affondando da venti anni a questa parte.
(1) old.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/L-Italia-nella-rotta-d-Europa-16315
(2) old.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/Un-Pil-al-verde.-Che-fare-per-l-ambiente-16368
(3) old.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/Altre-energie-per-cambiare-clima-16372
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