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I prigionieri delle fabbriche

28/10/2014

Il 21 maggio del 2014 Maria Baratto, operaia di 47 anni, si uccide nel piccolo appartamento in cui vive da sola ad Acerra, colpendosi più volte con un coltello all’addome. Il suo corpo rimane riverso sul pavimento per quattro giorni. Nessuno la cerca, nessuno la chiama. Sono i vicini a dare l’allarme, insospettiti dall’odore sempre più acre che proviene dall’abitazione.

Maria Baratto è in cassa integrazione da sei anni, vive con 800 euro al mese. Ma non è una cassintegrata qualunque. Maria è una dei 316 lavoratori spediti dalla Fiat nel reparto confino dell’interporto di Nola, un capannone desolato a venti chilometri dallo stabilimento di Pomigliano d’Arco, totalmente slegato dal cuore della produzione. A partire dalla fine del 2008, qui sono stati trasferiti tutti quegli operai che per militanza sindacale o per “ridotte capacità lavorative” (cioè anche quando malati) non reggevano o non volevano reggere i ritmi della innovazione tecnologica.

continua