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Il merito che premia il clientelismo

08/05/2015

La buona educazione/Non si garantiscono gli investimenti necessari a livello centrale e si lega tutto alla capacità di ogni singola scuola di rendersi appetibile agli interessi dei privati

In questi ultimi mesi il Premier Matteo Renzi ha girato il Paese evocando la rivoluzione che il Governo avrebbe operato sulla scuola. Chi ha provato a porre delle critiche alle linee guida è stato celermente tacciato come conservatore, “squadrista”, ancorato ad una vecchia idea di scuola prigioniera delle corporazioni. Di primo acchito le piazze studentesche autunnali e poi quelle primaverili, come quella del 12 marzo, sembrava non fossero riuscite ad ampliare l'arco del dissenso. Poi è arrivato il Ddl, ben peggiore delle 136 pagine di proposte in carta patinata messe a consultazione. Un ddl scritto male, tutto improntato ad una riorganizzazione in chiave competitiva e premiale. Le piazze e l'adesione massiccia allo sciopero generale del 5 maggio hanno palesato finalmente la riuscita di un difficile processo di disvelamento del progetto neoliberale che ha guidato le intenzioni del Governo. Quest'ultimo ha subito provato ad aprire alle modifiche al ddl, ma leggendo gli ultimi emendamenti approvati in VII commissione si rimane sbalorditi di fronte al tentativo dei parlamentari PD di depotenziare il dissenso con degli emendamenti di forma e poco o nulla di sostanza. Permane un impianto fondato sulla valutazione e sul merito utilizzati come strumenti di feroce selezione, un potenziamento del ruolo manageriale su più fronti del Dirigente favorendo di fatto i clientelismi, la centralità del territorio e dei redditi delle famiglie nella determinazione della qualità di ogni singola scuola. Non si garantiscono gli investimenti necessari a livello centrale e si lega tutto alla capacità di ogni singola scuola di rendersi appetibile agli interessi dei privati e alle esigenze delle aziende della porta accanto. Sarà legittimato pienamente un sistema binario diviso tra scuole di qualità e scuole “parcheggio” o di serie B. Sul fronte lavorativo si supera definitivamente ogni margine di contrattazione a favore della chiamata diretta, mentre sul fronte della democrazia interna si rischia l’annientamento di ogni forma di potere, anche consultivo, di tutte le componenti della scuola. Evidentemente lo sciopero del 5 maggio non è bastato e risulta stucchevole la falsa apertura messa in campo dal Pd in queste ultime ore. La strategia ancora una volta si conferma quella di dividere il fronte dell'opposizione, ascoltando magari qualche rivendicazione studentesca sull'alternanza scuola lavoro e sul diritto allo studio, procedendo però con forza sul mantenimento dei poteri dei dirigenti a sfavore della dignità del corpo docente. Dopo la contestazione colorata dell'UdS, della Rete della Conoscenza e di Link di fronte alla sede nazionale del Pd, in tanti si sono affrettati a rimarcare la sostanziale apertura del processo. “Diteci quali emendamenti inserire per dar voce alle vostre rivendicazioni”, così ha esordito il Pd nel corso dell'incontro con le associazioni studentesche nel giorno successivo allo sciopero generale. Fortunatamente in pochi oggi si son dimenticati della pessima gestione democratica della riforma messa in campo negli ultimi mesi. Non si può ragionare su qualche “aggiustamento”, non si può legittimare la visione corporativista che si accontenta del dito senza scorgere la luna. O si blocca il ddl, riaprendo il dibattito democratico attorno ai nodi cruciali, o pensare che il movimento studentesco si possa arrestare in cambio di qualche briciola risulta l'errore più grave che ora si potrebbe compiere. Il 12 maggio studenti e docenti bloccheranno nuovamente le scuole per boicottare gli Invalsi e costruire una nuova giornata di dissenso e proposta alternativa a partire dalle proposte contenute ne l'Altra Scuola.

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Commenti

Scuola: valutazione e merito

A Vincesko
Generalmente apprezzo i suoi interventi, ma questa volta mi trova in disaccordo. Pur non avendo mai fatto l'insegnante, per ragioni varie ho avuto molto spesso a che fare con insegnanti, soprattutto di scuola superiore.
Nessuno di loro è contrario, tout court, alla valutazione, ma al modo con cui essa viene fatta. Basti pensare alle prove Invalsi, enorme baggianata docimologica attraverso cui, nel pretendere di valutare le competenze di uno studente con un quiz, si vuole arrivare in realtà a valutare la scuola e, quindi, a determinare le risorse economiche di cui la scuola di appartenenza potrà godere. E, allora, giù ad insegnare agli studenti come "passare" i test Invalsi, e dunque a perder tempo appresso ad una baggianata.
Per capire come complesso sia il tema della valutazione, basti riflettere su un caso come questo: ha più "merito" (odio questa parola!) l'insegnante che riesce a far progredire, anche solo magari ad un livello di sufficienza, uno studente proveniente da una famiglia modesta e con basso livello di istruzione (ed è ormai evidente anche agli asini che il risultato scolastico è fortemente correlato con istruzione e collocazione sociale della famiglia di provenienza) o, al contrario, un insegnante che faccia progredire molto uno studente con buoni livelli di partenza? Non mi risponda, per favore, "un insegnante che faccia entrambe le cose" poichè non è possibile, a meno di non fare aule differenziali (cosa che con la contro-riforma renziana sarà possibile).
Infine un aneddoto personale: ai tempi del liceo, la mia insegnante di scienze, a chiunque facesse domande, non rispondeva personalmente ma faceva aprire il libro di testo nella parte in cui poteva trovarsi la risposta o invitava a prendere in prestito un libro alla biblioteca ecc. Allora a molti compagni (e soprattutto ai loro genitori) questa insegnante pareva pigra e svogliata: al contrario, a distanza di anni, non posso che continuare a ringraziarla per aver insegnato il "metodo della ricerca". Lei aveva capito davvero la differenza tra conoscenza e competenza! Quanti, oggi, valuterebbero male il "merito" di quella insegnante invece straordinaria?

Scuola: valutazione e merito

Tutto si può valutare, anche il lavoro degli insegnanti. Dicono che non si fidano dei valutatori, in particolare se si tratti del dirigente d’Istituto, poiché non sarebbe all’altezza e sarebbe influenzato da fattori diciamo familistici e troppo discrezionali, generalizzando ed estremizzando casi sicuramente presenti, ma che, per evitare il circolo vizioso del cane che si morde la coda, andrebbero risolti sottoponendo anche i dirigenti ad una selezione severa.
E' che in Italia, Paese cattolico, mammone e a-meritocratico, siamo in generale refrattari al controllo e a premiare il merito e tiriamo fuori un sacco di scuse quando dobbiamo essere oggetto del primo o riconoscere anche economicamente il secondo. Gli insegnanti di scuola, che hanno per mestiere il compito di giudicare, sono particolarmente refrattari ad essere valutati, il che, secondo me, la dice lunga sul livello qualitativo e di autostima degli insegnanti stessi. Rendendo la scuola - che è, dopo la famiglia, la fucina culturale in senso antropologico più importante - un fattore potente di conservazione dell’intera società. Trovo, pertanto, che la loro sia una posizione inaccettabile e dannosa, non soltanto per la scuola, ma per tutto il Paese.