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Come dare una pensione ai giovani non garantiti

10/06/2011

Dal Rapporto sullo stato sociale, due proposte per evitare una vecchiaia da fame ai giovani lavoratori: integrazione garantita, e l'aumento dei contributi per i parasubordinati

Il Rapporto sullo stato sociale per il 2011 è dedicato a “Questione giovanile, crisi e welfare state”. Pubblichiamo qui alcuni stralci dell'introduzione di Felice Roberto Pizzuti, ossia la parte contenente le proposte sulle nuove pensioni e le conclusioni.

A seguito delle riforme iniziate negli anni '90, la dinamica della spesa previdenziale, un tempo molto più accentuata, si è allineata a quella del Pil già dal 2006.

Nel biennio 2008-2009 la forbice si è riaperta, ma essenzialmente a causa del forte calo del Pil indotto dalla crisi globale.

Per il futuro, le proiezioni effettuate con il modello realizzato nel nostro dipartimento indicano che il rapporto tra la spesa pensionistica IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti, ndr) e il Pil, dopo l’aumento dal 14,3% del 2008 al 15,4% del 2010 (collegato al calo del denominatore), avrà un andamento piatto fino al 2020. Successivamente, è atteso prima un leggero aumento fino al 15,8% nel 2028 e poi la diminuzione continua fino al 13,8% nel 2050 .

Tuttavia, già a partire dal 2025, la pensione media perderà terreno rispetto al reddito medio degli occupati; il rapporto calerà ininterrottamente fino a ridursi del 20% alla metà del secolo cioè quando andranno in pensione i giovani che oggi stanno entrando nel mondo del lavoro.

Il calo della copertura pensionistica offerta dal sistema pubblico sarà naturalmente maggiore per i non pochi lavoratori cui si prospetta la combinazione di una carriera lavorativa discontinua, lunghi periodi di contratti con basse aliquote contributive e retribuzioni salariali modeste.

In effetti, l’evoluzione assunta dal mondo del lavoro successivamente all’introduzione del sistema contributivo sta determinando un problema di copertura pensionistica di notevoli dimensioni che manifesterà maggiormente il suo impatto economico e sociale solo tra 15-20 anni, ma è già adesso che richiede di essere affrontato con modifiche dell'assetto normativo vigente.

Quelle che seguono sono alcune proposte presenti nel Rapporto.

1. Sarebbe auspicabile che le sperequazioni previdenziali generate dalle segmentazioni del mondo del lavoro fossero rimosse alla radice.

Un passo in tal senso sarebbe l’equiparazione al 33% delle aliquote contributive dei lavoratori parasubordinati; in tal modo, oltre a migliorare la copertura pensionistica di questi lavoratori, si eliminerebbe una differenziazione del costo del lavoro economicamente e socialmente distorsiva che incentiva i rapporti di lavoro instabili e i settori produttivi meno innovativi.

Questa misura avrebbe anche il non trascurabile effetto di migliorare da subito e stabilmente il bilancio pubblico di un ammontare pari allo 0,7% del Pil.

2. Nell’ambito del necessario potenziamento del nostro sistema di ammortizzatori sociali, andrebbero previste contribuzioni figurative per i periodi di disoccupazione.

3. Anche in omaggio all’equità attuariale, nel calcolo della pensione si dovrebbe tener conto che le attività lavorative più usuranti riducono la durata di vita: i coefficienti di trasformazione dovrebbero essere corrispondentemente aumentati.

4. In attesa che misure come quelle sopra accennate possano essere decise e avere effetto, occorrerebbe pensare a coloro che, pur essendo entrati nel mondo del lavoro anche da oltre un decennio, hanno accumulato una contribuzione così bassa da aver già compromesso la possibilità di maturare una pensione adeguata.

In primo luogo per costoro, ma per chiunque venisse a trovarsi in queste condizioni, andrebbe introdotto un meccanismo di integrazione pensionistica rispetto alla prestazione calcolata nell’assetto vigente.

Il livello massimo della pensione da garantire dovrebbe essere definito applicando un adeguato tasso di sostituzione alla retribuzione salariale media corrente.

Tuttavia, per disincentivare comportamenti opportunistici, la pensione da garantire a ciascun lavoratore dovrebbe variare proporzionalmente sia alla lunghezza del suo periodo di presenza accertata nel mercato del lavoro (inclusi i periodi di disoccupazione) sia alla sua età al momento del pensionamento.

Anche per limitare l’onere del suo finanziamento, che comunque sarebbe parzialmente bilanciato dalla riduzione dei vigenti assegni sociali, l’integrazione potrebbe essere concessa solo a partire dall’età del pensionamento di vecchiaia e solo a chi ha redditi complessivi inferiori ad un dato limite.

La previdenza complementare

Le adesioni dei lavoratori alla previdenza complementare, che il governo contava di portare al 40% sono arrivate solo al 23%, testimoniando una scarsa propensione dei lavoratori, specialmente i più giovani, a spostare verso i mercati finanziari i loro risparmi.

D'altra parte, a causa dello scarso spessore dei nostri mercati finanziari e della bassa propensione delle nostre imprese a quotarsi in Borsa, soltanto una parte irrisoria di questo risparmio torna a sostenere le nostre aziende come investimento in titoli di capitale; lo 0,9% da parte dei fondi negoziali e il 3,3% da quelli aperti. Anche l’investimento in titoli di debito viene diretto per circa i due terzi all’estero.

5. Per favorire un maggior impiego del nostro risparmio previdenziale nel nostro sistema produttivo e, allo stesso tempo, per offrire ai fondi pensioni nuove forme d’investimento con rendimenti più stabili e costi minori, potrebbero essere pensati nuovi titoli del nostro debito pubblico emessi espressamente per il finanziamento di infrastrutture economico-sociali e per l’innovazione del nostro sistema produttivo.

L'acquisto di questi titoli potrebbe essere effettuato anche direttamente dai fondi pensione, risparmiando i costi dei gestori.

Ma per tutti gli altri impieghi va ribadito il principio della separatezza di funzioni tra gli amministratori dei fondi cui competono le scelte degli indirizzi strategici e la responsabilità professionale dei gestori cui è affidata la puntuale allocazione delle risorse tra i vari titoli finanziari. Questa separazione è indispensabile per garantire la competenza delle scelte allocative e per evitare conflitti d’interesse che in altri sistemi hanno avuto effetti distruttivi del risparmio previdenziale.

6. Il numero complessivo degli iscritti ai fondi della previdenza complementare nell’ultimo anno ha registrato un aumento del 4,3%, che, tuttavia, è la media di una riduzione dell’1,4% nei fondi negoziali e di aumenti del 3,4% nei fondi aperti e di quasi il 30% nei nuovi PIP. Questi andamenti appaiono del tutto irrazionali se si pensa che i fondi negoziali sostengono costi di gestione 6 o 7 volte inferiori rispetto ai fondi aperti e ai PIP e che solo l’adesione ai primi consente ai lavoratori di usufruire dei contributi aggiuntivi dei datori di lavoro.

Evidentemente c'è quanto meno un deficit informativo tra i lavoratori.

Nelle simulazioni delle prestazioni attese a distanza di trenta o quarant’anni che i fondi sono obbligati ad offrire ai loro iscritti sarebbe opportuno sottolineare ulteriormente l’estrema aleatorietà di previsioni riferite a periodi così lunghi. A tal fine, gli scenari adottati dai fondi per le simulazioni dovrebbero essere compresi in una varietà estesa e omogenea che sia stabilita e periodicamente aggiornata dalle autorità di controllo. Attualmente, invece, il prospetto esemplificativo si fonda su un solo scenario e molto ottimistico che, dunque, rischia di ingenerare aspettative di pensioni difficilmente realizzabili.

7. In una organizzazione ottimale del complessivo sistema pensionistico, i fondi pensione privati e a capitalizzazione dovrebbero svolgere un ruolo aggiuntivo, non sostitutivo, rispetto a quello del sistema pubblico, obbligatorio e a ripartizione. A quest’ultimo, per le sue intrinseche caratteristiche di avere costi minori e offrire prestazioni più stabili e meglio allineate alle tendenze economico-demografiche del paese, dovrebbe essere affidato l’obiettivo previdenziale di garantire una adeguata continuità di reddito dopo il ritiro dal lavoro e comunque di erogare pensioni sufficienti alla sussistenza.

La possibilità di estendere sopra questi livelli la copertura pensionistica è certamente auspicabile; ma per come realizzarla, a ciascun individuo dovrebbe essere lasciata la scelta libera e reversibile tra tutti i canali esistenti.

Diversamente da quanto è previsto dall'assetto normativo attuale, ad ogni lavoratore, oltre che iscriversi ad un qualsiasi fondo privato, dovrebbe essere concessa anche la scelta di aumentare la propria contribuzione al sistema pubblico, nella misura e per il tempo voluto.

Questa innovazione produrrebbe diversi effetti positivi.

Considerando i versamenti per il TFR e la contribuzione delle imprese private e dei loro dipendenti, questi lavoratori hanno una potenzialità di contribuzione aggiuntiva a fini previdenziali pari a circa il 10% del costo del lavoro.

Se il 72 % dei lavoratori dipendenti del settore privato che non aderisce ai fondi pensione versasse solo poco più della metà di quella potenzialità contributiva al sistema pensionistico pubblico, andando in pensione a 65 anni, maturerebbero un aumento del tasso di sostituzione di circa sette punti. Allo stesso tempo, per il bilancio pubblico ci sarebbe da subito un miglioramento stabile pari all'1,4% del Pil.

 

8. In ogni caso, tutte le scelte possibili per incrementare la copertura pensionistica dovrebbero essere trattate in modo fiscalmente omogeneo e comunque nel rispetto del criterio dell’imposizione progressiva, eliminando dunque gli elementi di regressività che attualmente caratterizzano l’adesione alla previdenza privata.

 

Conclusioni

L’analisi della condizione dei giovani e delle loro prospettive mostra l’esistenza di una vera e propria questione giovanile.

L'indebolimento economico-sociale generato dalle tendenze e dalle politiche affermatesi negli ultimi tre decenni, la conseguente crisi globale e le attuali incerte prospettive penalizzano in maggiori misura i giovani poiché è in questo contesto deteriorato che essi stanno passando all’età adulta.

Sarebbe fuorviante e controproducente attribuire tale esito a un più accentuato conflitto intergenerazionale determinato da comportamenti egoistici dei "padri" verso i "figli"; piuttosto il peggioramento della condizione giovanile è il risultato congiunto di un mutamento strutturale degli equilibri complessivi che nella sua essenza non discrimina tanto in base all'età delle persone, quanto in rapporto alla loro appartenenza a classi sociali, settori produttivi, famiglie e territori d'appartenenza più o meno favoriti o penalizzati dai nuovi assetti economici, sociali e politici.

Per affrontare la questione giovanile vanno intraprese anche politiche specificamente rivolte ad alleviare la condizione della generazione dei giovani d'oggi.

Ma sarebbe illusorio pensare di risolvere questi problemi senza affrontare quelli più complessivi del modello di crescita e di sviluppo venuti al pettine con la crisi globale.

La natura e la dimensione dei problemi, inclusi quelli particolari dei giovani, hanno anche una specificità nazionale.

L'Italia, come altri paesi europei dell'area mediterranea, mostra particolari difficoltà che affondano le loro origini nella maturità del sistema produttivo, nel mercato del lavoro segmentato che genera una selezione avversa delle iniziative imprenditoriali a danno di quelle più innovative, in alcune specifiche inadeguatezze del sistema di welfare e in una progressiva deresponsabilizzazione delle istituzioni che, sotto il vincolo di bilancio, tendono a scaricare problemi tipicamente collettivi sulle famiglie e sugli individui.

Nel Rapporto sono presentate alcune proposte che tendono a disinnescare la bomba previdenziale che sta inesorabilmente maturando nel nostro paese ma, allo stesso tempo, puntano a ridurre le distorsive disomogeneità esistenti nel mercato del lavoro e, non da ultimo, a migliorare il bilancio pubblico.

I problemi dei giovani sono aumentati con la crisi globale la quale si sta manifestando con modalità più eclatanti nel nostro continente perché s'intreccia negativamente con le contraddizioni del processo unitario europeo.

Il superamento di queste contraddizioni favorirebbe la possibilità e l'efficacia di misure comuni necessarie a rilanciare la crescita complessiva e, contemporaneamente, la riduzione degli squilibri regionali.

Il potenziamento e la riqualificazione del cosiddetto Modello Sociale Europeo fondato sui sistemi di welfare pubblici potrebbe giocare un significativo ruolo propulsivo.

Purtroppo, il dibattito sul nuovo Patto di Stabilità non autorizza a pensare che si stia andando in questa direzione.

Tuttavia, i margini per politiche di progresso economico e sociale perseguite autonomamente a livello nazionale sono sempre più ristretti per tutti i paesi membri, anche i più grandi.

Se la consapevolezza di questa circostanza guiderà le scelte degli adulti che oggi hanno maggiori responsabilità decisionali e se essi avranno la capacità d’invertire le tendenze economiche, sociali e politiche sfociate nella crisi globale, la condizione presente e futura delle attuali giovani generazioni di cittadini europei potrà avvantaggiarsene.

Rapporto sullo stato sociale 2011, a cura di Felice Roberto Pizzuti,Simone editore (40 euro)

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
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Commenti

pensione giovani disoccupati

ormai i giovani cominciano a lavorare sempre più in la con l'età. E per tale motivo non riescono a costituirsi una situazione previdenziale adeguata. Quando andranno in pensione non avranno abbastanza anni di contribuzione per avere un reddito adeguato a vivere la restante parte della vita. E allora perché non pensano i nostri governanti ad un sistema che permetta di versare contributi previdenziali già dai 18 - 20 anni presso l'INPS. Bisogna proprio lavorare per poter versare i contributi? Non però con la previdenza integrativa privata, di questa forma previdenziale mi pare che non ci si possa fidare: ci sono troppi "furbetti del quartierino" in Italia. Come ci si potrebbe fidare dei ... tanzi ... banditi che vanno in giro? Quindi versamenti si ma nel sistema pubblico. In questo modo i giovani disoccupati potrebbero essere aiutati dai genitori e magari da un contributo statale da riborsare adeguatamente dal momento che si inizia a lavorare. Se non rimborsi non avrai il beneficio corrispondente. Sarebbe a costo zero per la collettività in quanto il finanziamento statale sarebbe pienamente rimborsato.
Si arriverebbe ai 66 anni previsti attualmente con già 46 anni di contribuzione.
Si può fare !!!
Saluti

Le partite IVA NON pagano il 16%

Gentile sig. Raitano, solo una precisazione alla sua risposta di poco fa a Francesca Pesce. Lei scrive:

"la pletora delle partite IVA (troppo spesso involontarie) iscritte alla Gestione Separata e gravate attualmente da un'aliquota del 16%."

La pletora delle partite IVA, volontarie E involontarie, iscritte alla Gestione Separata, è attualmente gravata da un'aliquota del 26.72%, NON del 16%. (Vuole che non lo sappia? Ci pensa il commercialista a ricordarmelo...)

Il 16%, come giustamente scrive Francesca, è l'aliquota dei pensionati in gestione separata.
E sottoscrivo quanto ha scritto ancora Francesca: veramente si pensa che una P. IVA monocommittente faccia comunque pagare i 2/3 della propria INPS al datore di lavoro? Con un contratto cocopro senza p. IVA forse, ma una volta che apri la P. IVA non credo proprio ci sia monocommittente che paghi alcunché.

Professionisti autonomi, anzi no, dipendenti, anzi no, aziende

A parte il fatto di considerarci di volta in volta professionisti, dipendendi o aziende a seconda delle convenienze fiscali e di welfare, perché paghiamo ancora l'IRAP come un'azienda, vogliono portare la nostra aliquota contributiva al 33% dei dipendenti, ma i diritti tutelati sono fermi a quelli tutelati per i professionisti ordinistici (il cui prelievo contributivo è sempre molto inferiore anche con gli aumenti paventati) - direi che la formulazione della proposta è sbagliata - che si è fatta come al solito confusione fra parasubordinati, false partite IVA (monocommittenti) e partite IVA autentiche. Sono convinta di questo, perché non possono chiedere a noi, che paghiamo tutta la aliquota fiscale di tasca nostra, di vivere con il 30% del nostro reddito da lavoro - e sì, perché succederebbe proprio questo, se questa proposta venisse confermata. Avete presente come sarebbe intascare 1000 e poter utilizzare per vivere 300 in questo periodo di forti venti di crisi? Anche da solo, anche senza famiglia da mantenere, uno non riuscirebbe a viverci, ritengo.

Pensioni e privati

Ho letto che si è parlato anche di un'altra proposta, quella di permettere versamenti integrativi volontari all'Inps: forse potrebbe aiutare, per capire cosa fare in futuro. Ma secondo quello che dice il Corriere i sindacati non vogliono, sennò perdono i loro fondi pensione: http://archiviostorico.corriere.it/2011/giugno/12/Inps_fondi_pensione_Goldman_Sachs_co_9_110612044.shtml

Previdenze schizzate

No. Grazie. Abbiamo già dato, sto dando... ancora darò...

Aliquote GS

Mi correggo sul refuso dell'aliquota sulle partite IVA, comunque ribadisco che l'omogeneizzazione dell'aliquota deve riguardare soltanto i collaboratori (non partita IVA) per i quali è più facile pensare a modalità che evitino la traslazione dei contributi in minore retribuzione. Ad ogni modo bisogna evitare che il lavoro atipico costi di meno e sia meno tutelato e l'innalzamento contributivo si muove in questa direzione. L'inadeguatezza delle pensioni future potrebbe poi essere un fatto generalizzato (che aggrava chi è iscritto alla GS a causa della minor aliquota e dell'assenza di contributi figurativi per il non lavoro) che dipende dalle caratteristiche dello schema e, soprattutto, dalla bassa crescita del PIL.

Aliquote della gestione separata: tutte uguali se non si è pensionati

Michele Raitano: la pletora della partite IVA iscritte alla gestione separata paga attualmente la stessa aliquota di quelli che chiami collaboratori esclusivi: siamo tutti al 26,72% (lo 0,72% va per la maternità).

Forse ti sbagli con l'aliquota di chi è già in pensione, non so. Ma nessuno di noi - collaboratore, esclusivo o meno, professionista, cocopro, cococo, etc. paga il 16%. Una vita fa... forse. E quando da un anno all'altro aumentarono di 5 punti percentuali i contributi, nessuno si è minimamente preoccupato dell'immediato impoverimento che provocava.

Pensi che se pagavamo il 16% stavamo qui - o altrove - a lamentarci? A lamentarci del fatto che, seppur pagando aliquote molto elevate, e anche con redditi elevati, finiremo per prendere pensioni vergognose.





Purtroppo è così

Meno contributi = pensioni più basse
è il contributivo, bellezza

collaboratori parasubordinati e non partita IVA

Va precisato (sono il coautore delle proposte di cui si discute) che l'innalzamento delle aliquote al 33% (e quindi l'omogeneizzazione con le coperture dei dipendenti) riguarderebbe gli attuali collaboratori "esclusivi" che attualmente versano il 26% (e che sono spesso un semplice puro sostituto a minor costo del lavoro dipendente) e non la pletora delle partite IVA (troppo spesso involontarie) iscritte alla Gestione Separata e gravate attualmente da un'aliquota del 16%. E' ovvio infatti che, ceteris paribus, per le partite IVA un aumento della contribuzione finirebbe per essere interamente traslato in minor reddito al netto dei contributi; la loro tutela previdenziale richiede dunque strategie ben più complesse del mero innalzamento contributivo.

RENDIMENTI PENSIONI PRIVATE

Non è esatto quanto scritto nel commento precedente.
Le pensioni derivanti da assicurazioni private non sono calcolate con il metodo contributivo, ma sulla base dei rendimenti finanziari derivanti dagli investimenti.
I contributi versati presso i fondi pensionistici obbligatori sono rivalutati ogni anno secondo la media di rivalutazione del PIL nominale (al lordo dell'inflazione) dei 5 anni precedenti.
Se consideriamo il periodo che va dal marzo 1999 (mese di inizio dell'attività dei fondi complementari) alla fine del 2010 i rendimenti di questi fondi sono stati in media del 43,9% (dati COVIP), mentre la rivalutazione secondo il PIL nominale dei contributi pensionistici obbligatori è stata del 59,7%. Poichè ogni anno si applica una media quinquennale anche nel 2010, anno che subisce l'influenza del crollo del PIL derivante dalla crisi, la rivalutazione è stata positiva e pari al 1,7%
Come si può vedere se fosse possibile versare il proprio TFR nel fondo pensioni obbligatorio questo non sarebbe solo giusto, ma anche conveniente per il singolo lavoratore.
Quanto ai vantaggi fiscali, questi dipendono dalle scelte politiche e bisognerebbe chiedersi perchè lo stato incentiva la previdenza privata a scapito di quella pubblica. Questa stessa domanda se la pone anche la Corte dei Conti in una sua relazione.

Piombo ai piedi di chi sta già affondando

I giovani non trovano di meglio che un lavoro precario e voi proponete di fargli pagare più contributi: bella soluzione. Il sistema è iniquo? E noi te lo facciamo pagare di più. Anziché proporre una revisione del sistema previdenziale, che preveda soluzioni di tipo universalistico che riescano a superare gli interessi egoistici delle singole categorie, corporazioni, classi, etc. , dite agli ultimi arrivati: "Paga di più oggi, paga più di noi in cambio di meno diritti, così poi un giorno, forse, avrai una pensione meno da fame."

"Non hai la copertura sanitaria? Se ti ammali, quindi, sei nei guai? Se vuoi l'assegno di maternità devi rischiare di perdere i tuoi clienti? Cavoli, però, non ti rendi conto di quanto tu sia fortunato, perché fra 40 anni, ti daremo una qualche pensione. E al limite, se sarà troppo da fame, ti paghiamo un'integrazione che la porti almeno all'assegno sociale."

Inoltre, anziché trovare il modo di stanare i datori di lavoro che sfruttano le "false partite IVA", vi inventate che, aumentando i contributi al 33%, si disincentiva il ricorso al lavoro precario attraverso l'incremento del costo del lavoro. Bufale! Per il datore di lavoro non aumenta un bel niente. Quale lavoratore precario oserà mai mettere a carico del datore di lavoro quel 33%??? Se lo pagherà il lavoratore, finta partita IVA. Cornuto e mazziato.

Infine, per quanto riguarda l'altra affermazione – "Questa misura avrebbe anche il non trascurabile effetto di migliorare da subito e stabilmente il bilancio pubblico di un ammontare pari allo 0,7% del Pil" – mi collego al commento di Silvestro per fare presente che se si inventa un sistema previdenziale iniquo e poco remunerativo, chi può ne fugge. E quel +0,7% di PIL resta sulla carta. Già ora chi può uscire dalla gestione separata lo sta facendo, in qualsiasi modo. Proprio per i motivi che ci vanno ripetendo da anni tutte queste belle teste pensanti: dobbiamo pensare al nostro futuro e anche a quello pensionistico. Il mondo della finanza ce lo ha insegnato: se hai fatto un investimento sbagliato, non continuare a versarci i soldi, non continuare a buttare denaro nel pozzo per recuperare quello perso. Analogamente, chiedere ai giovani e ai meno giovani di continuare a buttare i loro soldi in un sistema poco competitivo, poco remunerativo e per di più anche iniquo è da matti.

Se non si riforma il sistema, la gestione separata diventerà sempre più quella di chi non può esimersi, un fondo marginale per i precari, i giovani, i provvisori, una specie di tassa sul lavoro da pagare per 4-5 anni finché il singolo lavoratore non si sarà trovato una soluzione intelligente.
- E anche lo strumento in mano al governo di turno per fare cassa, aumentando le aliquote quando non sa dove altro attingere.
- La soluzione di tipo NIMBY (not in my back yard, in questo caso non nel mio portafoglio), che piace tanto a chi guarda gli altri dall'alto e non ritiene che questi siano suoi problemi personali.
- Infine, la bacchetta magica degli economisti senza fantasia per trovare la quadratura del cerchio nelle loro analisi, che evita che si debbano troppo affaticare per fare proposte strutturalmente serie, eque, durature.

Proposta di innalzamento dei contributi al 33%

Purtroppo la proposta è fatta solo alla luce delle esigenze di equilibrio dei conti del sistema pensionistico, senza alcuna
considerazione relativa alla penalizzazione imposta agli iscritti al sistema della gestione separata, dove tali contributi confluirebbero.
Facciamo un paragone con un fondo assicurativo privato, che funziona esattamente come la gestione separata, perché le pensioni erogate da entrambi sono calcolate con il metodo contributivo.
Ebbene nelle prime non solo i rendimenti sono in genere più alti ma, in fase di erogazione, la rivalutazione è tassata come rendita finanziaria (12,5%) mentre la rivalutazione nella gestione separata è tassata almeno al 23%.
Inoltre le deduzioni fiscali di 5164,57 all'anno euro concesse alle prime saranno tassate in fase di erogazione a un'aliquota che può decrescere dal 15% al 9% mentre il percipiente di una pensione della gestione separata non ha questo beneficio.
Non parliamo poi delle finestre. Gli iscritti alla gestione separata devono aspettare 18 mesi prima di ricevere i soldi che hanno versato, i percipienti delle pensioni erogate dal fondo privato no.
Pensiamoci bene prima di fare proposte del genere.