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L'ateneo privato non si taglia

12/07/2012

Per qualcuno la "spending review" ha il segno più. Nello stesso provvedimento che ha tagliato con l'accetta i soldi ai ricercatori del bosone e a quasi tutti gli istituti di ricerca pubblici, spunta un saldo positivo, piccolo ma significativo: i beneficiari sono infatti le università private.
La buona notizia per gli atenei non pubblici arriva al comma tre dell'articolo 23, ben nascosta tra i 400 milioni all'autotrasporto e provvidenze varie, dalle calamità naturali alle missioni internazionali. Sono dieci i milioni per le finalità della legge 243 del 1991: che, per i non addetti ai lavori, è proprio quella che regola i contributi pubblici alle università non statali.
A beneficiarne saranno la Bocconi di Monti, la Cattolica del ministro Ornaghi, la Luiss confindustriale, così come altre università meno blasonate, dalla Jean Monnet di Bari alla selva delle università telematiche spuntate come funghi nell'era gelminiana, tra cui l'E-Campus di quell'onorevole Polidori che salvò il Governo Berlusconi.
Altri tempi, altri conflitti di interesse. Quelli di oggi sono più discreti. Anche se giuridicamente un po' spregiudicati: infilare una spesa (sia pure ove fosse già stata prevista) in un provvedimento taglia-spese non è il massimo dell'eleganza, fanno notare dalle parti dell'università pubblica, alla quale invece la stessa spending review lega le mani impedendo anche agli atenei più virtuosi nuove assunzioni oltre il 20% del turn-over.
È vero che i dieci milioni arrivati con la manna della spending review non sono tanti, ma si vanno ad aggiungere a un altro bel colpo piazzato dagli atenei privati: un colpo da 67 milioni, più o meno.

 

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