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Sicurezza ed equità. A chi ha sarà dato?

09/12/2011

I parte. Si parla sempre di previdenza, ma quanti hanno letto il bilancio dell'Inps? Un intervento sulle pensioni, tra giustizia e ragione, si riflette su qualche numero

L'Inps, insieme con l'Inpdap, che assicura i pubblici dipendenti, è il fondamento della sicurezza sociale in Italia. È vero che ci sono le assicurazioni private, destinate nelle intenzioni di molti, a costituire il nuovo pilastro assicurativo, ossia gli investitori istituzionali la cui mancanza azzoppava il capitalismo italiano, ma non sono mai diventate veramente importanti. Per fortuna, dato che non è vero che i soldi lievitano da sé, come insegnano Freddie Mac e Fannie Mae, le società Usa che finanziano i mutui abitativi.

Sono le assicurazioni pubbliche obbligatorie, base della sicurezza dei lavoratori e del reddito dei pensionati. Ma quante sono le pensioni in Italia? Le statistiche storiche dell'Istat, reperibili sul sito, ci informano che nel 1950 c'erano 78 pensioni ogni mille abitanti. Cinquant'anni dopo, a fine secolo, ce n'erano 400, rimaste stabili fino ad oggi, anche per le leggi apposite contro il cumulo e i ritardi al pensionamento. Se, anziché riferirsi agli abitanti, ci si riferisse ai cittadini, la percentuale salirebbe di parecchio, perché gli stranieri che vivono e lavorano qui, pagano le tasse e i contributi, non hanno pensioni sociali, hanno pochissime pensioni di reversibilità e sono troppo giovani per avere pensioni di anzianità o di vecchiaia. Forse il 45% dei cittadini italiani ha una pensione. Siamo una nazione di rentier, spesso vecchi, spesso poveri; qualche volta ricchi o molto ricchi. Secondo il bilancio di previsione dell'Inps per il 2011 i pagamenti previsti sono 287 miliardi e 53 milioni di euro, di cui 186 miliardi e 183 milioni per pensioni, versate a 10 milioni 186 mila 848 pensionati, poco meno della metà di tutte le pensioni in essere. È di lì che bisogna partire.

Bella scoperta! - direte voi.

Alcuni aspetti quasi ignorati del bilancio dell'Inps

Sicuro di questa ovvietà ho passato parecchie ore, in vari giorni, su e giù per le centinaia di pagine dei due tomi del bilancio di previsione 2011 disponibili in rete. Da non professionista di contabilità attuariale ho impiegato del tempo ad orientarmi e posso avere preso degli abbagli.

Di alcune cose però sono certo; e mi ha stupito vedere che alcuni aspetti vistosissimi non entrano nel dibattito pubblico, né a destra né a sinistra. Sono ignorati sia da chi sostiene il tracollo imminente sia da chi sostiene il sostanziale equilibrio, se ci si limita alle voci assicurative e si escludono quelle assistenziali, che all'Inps non competono e sono coperte dal Tesoro con una sostanziale partita di giro.

La più importante, mi sembra, è che, a consuntivo 2009, l'ultimo riportato, i crediti contributivi, cioè i contributi contabilizzati ma non versati dalle imprese, ammontavano a più di 56 miliardi. La previsione al 2011 è di quasi 69 miliardi, cui fa fronte un fondo svalutazione crediti di 27 miliardi. Si sa come vanno queste cose; lo sa anche il non esperto che abbia una vita lavorativa lunga, in aziende piccole. Per finanziarsi a costi mediamente più bassi del mercato, dato che le multe sono state storicamente più basse, qualche volta molto più basse, del costo del denaro, conviene non pagare e ricoprire la singola posizione assicurativa quando il dipendente sta per andare in pensione. L'interessato non lo saprà mai. Che male c'è? Se lo Stato volesse evitare di fare da Banca a prezzi scontati aumenterebbe le multe, come saltuariamente ha fatto. Tutto, del resto, funziona così. Le Banche prestano alle piccole aziende a fronte del deposito di un pari ammontare di Bot o Btp, determinando una ovvia elusione fiscale, almeno quando Bot e Btp danno un reddito; i prestiti veri li fanno solo ai giganti, soprattutto se entrano nella proprietà, o sono Pubbliche amministrazioni potenti o sono politicamente importanti. Se l'Inps ritiene adeguato il fondo di svalutazione possiamo dormire sonni tranquilli. Se ci sono problemi di Cassa, li copre un'anticipazione del Tesoro, che infatti c'è, per una quarantina di miliardi.

Però, se il transatlantico finisce su un iceberg, se i Bot e i Btp diventano zavorra per le banche anziché casse di galleggiamento, se le aziende falliscono molto più del solito e perciò il debito all'Inps lo pagano molto meno del previsto, se la cessione dei crediti a Equitalia dà problemi, tanto da sollecitare più di una nota critica del Civ (scritta a bilancio, cui rispondono promesse di rimediare del presidente Mastrapasqua) allora il non esperto, che può aver attraversato qualche disavventura delle aziende grandi e piccole per cui ha lavorato, si allarma. Secondo me farebbe bene ad allarmarsi anche la pubblica opinione.

La seconda cosa, di cui si parla di più ma senza che forze politiche, commentatori, Governo – fino ad ora – ne traggano le conseguenze, è l'origine dei passivi dell'Inps, le gestioni dei fondi dei trasporti, degli elettrici, dei dirigenti (Inpdai, istituto nazionale previdenza dirigenti aziende industriali) e dei telefonici, e l'assistenza.

Il fondo dei lavoratori dipendenti è in equilibrio; fa bene a ricordarlo Luciano Gallino. I fondi delle prestazioni temporanee e dei parasubordinati sono in enorme attivo; e coprono i 16 miliardi di passivo dei trasporti; i 22 miliardi degli elettrici; i 20 miliardi dei dirigenti. La voce di gran lunga più importante della differenza tra pagamenti e incassi – 287 miliardi meno 194, pari a 93 miliardi – è la gestione della Cassa integrazione, cui si aggiunge il finanziamento delle pensioni agli invalidi civili. La Cassa integrazione è una necessità. In assenza di un sussidio di disoccupazione vero, o di un reddito di sussistenza, senza Cassa saremmo veramente alla tragedia. Ma è stato saggio, da parte del Governo e dei Sindacati, continuare a puntare sulla Cassa integrazione in deroga, anno dopo anno, come se la crisi fosse un disturbo passeggero? Semplicemente parlando con i figli di amici e vicini si scoprono casi clamorosi di aziende, anche molto note, che hanno chiuso settori ma mantengono la Cassa in deroga, finché c'è, per fare un favore ai dipendenti – non sono mica soldi loro! I dipendenti fanno fatica a rifiutare – non hanno alternative stabili – ma hanno problemi fiscali, perché, non essendo ciechi, vedono benissimo che il loro lavoro in quell'azienda è proprio finito, si sono procurati cottimi e lavoretti, ma non potrebbero averli. Giustamente Gallino, che fa sempre piacere citare, ha scritto per sostenere la fine della Cassa in deroga e il reddito di sussistenza.

Queste però sono scelte complessive, importanti, da sostenere, ma che non discendono dalla lettura di un bilancio. Discende invece dalla lettura del bilancio e da una rapida occhiata a qualche intervento in rete la necessità di intervenire sui fondi speciali, prima di qualsiasi altro taglio, se si violano i diritti acquisiti per tutti. In particolare su quello dei dirigenti, forse su quello degli elettrici, perché il loro passivo non dipende dalla scomparsa di una particolare categoria di lavoratori, come i ferrovieri. Se la gestione di fatto delle ferrovie, con subappalti e tagli, e dismissioni di quasi tutta la rete, salvo l'alta velocità, come sta accadendo, fa crollare il numero dei contribuenti, è fisiologico, nel sistema a ripartizione, in vigore fino alla riforma, che le altre categorie subentrino. Ma se un fondo, come di sicuro l'Inpdai, ma forse anche quello degli elettrici, è intrinsecamente, assurdamente sbilanciato, per il sistema di calcolo ereditato dalla gestione separata, perché il buco lo devono ripianare i manovali e i precari? La inclusione dell'Inpdai nell'Inps, dopo il fallimento di una proposta di privatizzazione, che avrebbe richiesto nuovi versamenti ingenti per costituire un fondo di garanzia, è avvenuto nel 2001, senza mutamento delle condizioni e senza contribuzioni aggiuntive. La rivista “Il dirigente” riporta il commento di Giuliano Cazzola, che in quell'anno faceva parte della maggioranza di governo, che si era trattato “o di Governo estremamente debole o di categoria estremamente forte”. E' possibile, secondo i giornali, che a tutte le pensioni non si applichi più la rivalutazione per l'inflazione. Perché sia tollerabile ci deve essere anche il ricalcolo delle pensioni Inpdai, che erano e sono insostenibili. Altrimenti risiamo ai tagli lineari.

La terza, ovvia, e brevissima, considerazione sui bilanci. Le spese dell'Inps si aggirano sull'1%. Forse i funzionari e i dirigenti sono pagati troppo. Forse gonfiano le trasferte. E' una considerazione gratuita, da vecchio malfidato, senza nessuna giustificazione. Ma a voi viene in mente una compagnia di assicurazione profit che, spese a parte – anche i funzionari e i dirigenti privati si fanno pagare e vanno in trasferta – faccia un ricarico dell'1%?

C’è una osservazione di segno opposto, un po’ fuori tema. Il debito contributivo delle aziende è solo una parte della evasione contributiva; che è solo una parte della evasione fiscale. Sarà ancora vero che la rilevazione trimestrale delle forze di lavoro su cui si fonda il calcolo del Pil rileva la parte più importante del lavoro nero e consente perciò di contabilizzare anche la produzione irregolare? Sarà ancora vero che la produttività del lavoro nero è bassa? E le intermediazioni in nero sono rilevate? Forse il Pil è più alto di quanto non si dica. (fine della I parte)

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Commenti

Le pensioni dei dirigenti

P.S.:
Lo riallego (se non esce, termina con 'pdf''):

http://www.manageritalia.it/content/download/Informazione/Giornale/Dicembre2002/pag28.pdf

Le pensioni dei dirigenti

Effettivamente, il nostro Bel Paese è pieno di ingiustizie. Per evidenziare quella, macroscopica, pertinente all’argomento: le pensioni dei dirigenti sono tra le più alte erogate dall’INPS (alcune migliaia di € pro-capite al mese).
La gestione dei dirigenti, ex INPDAI, confluì nell’INPS a causa del deficit di gestione, dovuto a (cfr. pagg. 33-34 dell’allegato di ManagerItalia
“L’avventurosa storia dell’istituto di previdenza dei dirigenti industriali, fino all’ultimo colpo di scena: il passaggio sotto le ali dell’Inps”
( http://www.manageritalia.it/content/download/Informazione/Giornale/Dicembre2002/pag28.pdf ):
“a) aliquote contributive più basse – fino al 31/12/1996 (vedi tab. 1 e grafico);
b) aliquote di rendimento più elevate, anche se è da ricordare che, con decorrenza dall’1/1/1995, è stata ridotta al livello di quella del regime generale l’aliquota relativa alla prima fascia di retribuzione pensionabile (dal 2,66 al 2%);
c) fasce di retribuzione pensionabile più elevate (tab. 2);
d) calcolo in trentesimi anziché in quarantesimi per le anzianità contributive fino al 31/12/1994;
e) progressivo peggioramento del rapporto iscritti/pensionati (tabb. 3 e 4), ridottosi ormai addirittura a una percentuale inferiore all’unità (0,94 nel 2001; 0,93 per il 2002)”.

Allego anche: “I lavoratori pagano le pensioni al clero (e ai dirigenti)”
http://www.dazebao.org/news/index.php?option=com_content&view=article&id=4499:i-lavoratori-pagano-le-pensioni-al-clero-lesperto-risponde&catid=125:informa-pensioni&Itemid=336