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Pisapia, le tasse e la “nuova politica”
La nuova giunta di Milano introduce per la prima volta l'addizionale comunale Irpef dello 0,2%. Una mossa che può essere lo spunto per ripensare il rapporto tra fisco e cittadini
La decisione della giunta di Milano di introdurre, per la prima volta nel capoluogo lombardo, l’addizionale comunale dello 0,2 per cento ha originato le prevedibili polemiche da parte del centrodestra sulla sinistra che non sa far altro che alzare le tasse. Il fatto che l’onere richiesto sia contenuto sia in senso relativo sia in senso assoluto non ha tolto dall’imbarazzo molti esponenti della maggioranza, che sono corsi a cercare giustificazioni di ogni tipo. Fra queste la principale, difficilmente controvertibile visto che emerge dalla semplice lettura degli atti di bilancio, è la condizione semidisastrosa in cui si trovano le finanze comunali, che, per di più, saranno ulteriormente falcidiate dalla manovra appena varata dal governo con il decreto legge 98/2011. Governo che, va ricordato, ha previsto che l’addizionale comunale potesse essere aumentata o introdotta proprio per compensare i tagli dei trasferimenti che dovrebbero caratterizzare il cosiddetto federalismo municipale. Molto ci sarebbe da dire su quanto poco di federalista ci sia in un simile disegno, ma non è questo l’argomento che qui si vuole discutere.
In effetti, mi interessa proporre un rovesciamento pressoché completo della prospettiva. Leggendo commenti e reazioni di diverse parti e opinioni pubbliche, la manovra di Pisapia sembra essere una falsa partenza perché ripropone la vecchia sinistra ed è quindi incompatibile con quell’immagine “nuova” che ha prevalso in campagna elettorale. A me sembra che sia vero il contrario. Esistono ottime ragioni per ricorrere all’addizionale comunale. E queste ragioni esistevano, ed erano facilmente individuabili, anche in campagna elettorale. Proviamo ad elencarle. Primo, come già detto, le condizioni pessime del bilancio del comune e i tagli governativi. Secondo, il fatto che l’addizionale comunale esiste in tutte le grandi città italiane. Terzo, il fatto che questo tipo di decisione è la conseguenza necessaria di un’altra decisione, quella di non puntare sugli oneri di urbanizzazione che avrebbero garantito le colate di cemento del Pgt o di non finanziarsi attraverso un ulteriore taglio ai servizi. Mi sembrano tutte buone ragioni, sufficientemente logiche e non così ammuffite dalla loro natura di politiche tradizionali o vecchie che dir si voglia. Ragioni che, lo ripeto, erano ampiamente prevedibili e degne fin dalla campagna elettorale. Spiace invece ricordare che, durante la campagna per le primarie, di fronte ad uno dei quattro candidati che aveva onestamente ammesso che non esistevano alternative all’addizionale, Pisapia (come lo stesso Boeri) aveva invece voluto evitare l’argomento. Addirittura, sul suo programma si leggeva che non desiderava “mettere le mani nelle tasche dei cittadini” e che, anzi, questo lo aveva fatto la Moratti con l’IMU (cosa tra l’altro falsa, visto che l’IMU l’ha stabilita il governo ed entrerà in vigore nel 2014). Quando in campagna elettorale si parlava di aspetti finanziari, Pisapia aveva buon gioco a parlare dei tagli alle consulenze e agli sprechi, ma si rifiutava di parlare di questo argomento. Eppure, non mancavano certo gli elementi e le competenze per comprendere che questo tipo di manovra sarebbe stata necessaria.
Quello che importa è che la vittoria di Pisapia è avvenuta all’insegna della “nuova politica”, di una straordinaria mobilitazione e partecipazione popolare e, in particolare, giovanile. Sarebbe grave scambiare l’atteggiamento reticente che Pisapia ha avuto (e che in un certo senso continua ad avere, unitamente alla sua giunta e alla sua maggioranza) sulla questione fiscale come un elemento di questa nuova politica. Aumentare le imposte attraverso un prelievo modesto, di natura in sé non progressiva ma che si innesta sulla struttura di un’imposta progressiva, non è una cosa di cui vergognarsi. E’ una manovra che può avere pieno diritto di cittadinanza se fatta per uno scopo e nell’ambito di un disegno di governo altro della città. Certo, se fosse stata pianificata (anziché subita e organizzata in fretta e furia come sembra sia avvenuto) avrebbe potuto essere disegnata meglio, magari differenziando la soglia di esenzione a seconda della tipologia dei redditi. Inoltre, una simile iniziativa avrebbe consentito di discutere in modo trasparente dell’entità e delle possibili destinazioni della manovra, sconfiggendo l’odiosa retorica delle “mani nelle tasche” che, invece, qualche consigliere improvvido di Pisapia ha infilato nel suo programma. Questa onestà intellettuale fa, a buon diritto, parte della nuova politica di cui c’è bisogno. Se poi c’è qualcuno che pensa che questo tipo di onestà avrebbe impedito a Pisapia di vincere le elezioni, ebbene, a mio modesto avviso, non ha capito nulla di quanto accaduto a Milano, dove gli argomenti della più odiosa retorica populista sono stati utilizzati dal centrodestra senza alcun successo.
Ovviamente è necessario che questo tipo di manovra abbia un senso e che questo senso sia reso comprensibile ai cittadini di Milano. Il taglio dei costi impropri e delle consulenze non necessarie, la razionalizzazione delle strutture di governo municipale, i risparmi a carico degli stessi membri della giunta (magari un po’ più corposi di quelli già varati) sono vieppiù necessari. Così come lo è una politica di gestione dei servizi dove si renda visibile lo sforzo per inseguire la qualità insieme con l’equilibrio di bilancio. E, sul fronte fiscale, non guasterebbe un po’ di fantasia. Perché, nel pur confuso panorama legislativo del federalismo municipale, non mancano alcune possibilità. Ne voglio citare solamente due.
Primo, da 3 anni è prevista, nell’ambito della partecipazione dei comuni al contrasto dell’evasione fiscale, la partecipazione degli stessi comuni all’elaborazione degli studi di settore. Finora, questa norma è rimasta sostanzialmente sulla carta, anche perché i comuni non ne hanno intuito la potenzialità, tecnica e politica. Sarebbe interessante vedere che cosa potrebbe accadere se il comune di Milano avanzasse la propria candidatura per sperimentare una partecipazione diretta e fattiva all’elaborazione degli studi nei settori dove l’economia milanese è significativa, dalle costruzioni all’artigianato, dalle professioni ai servizi per le imprese. La valorizzazione dell’elemento territoriale per una città ricca come Milano ha interessanti prospettive di gettito rispetto ad uno strumento come gli studi, che, con tutte le sue sofisticazioni, si basa sulle situazioni medie dei diversi territori. Secondo, nel decreto sul federalismo municipale è prevista la possibilità di realizzare imposte di scopo, anche connesse al patrimonio immobiliare, che potrebbero essere fonti interessanti ed eque per il finanziamento di opere specifiche, ad esempio per le linee della metropolitana.
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