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Il segreto della Nutella

14/09/2010

Michele Ferrero ha superato persino Berlusconi nella top ten di Forbes sui più ricchi d'Italia. Viaggio nei conti della sua società, multinazionale di famiglia con sede in Lussemburgo, distributrice di ricchissimi dividendi. Una storia per molti aspetti misteriosa e piena di paradisi fiscali

La Ferrero è una società che tende ad essere gestita in modo molto appartato e riservato; ciononostante è salita in tempi relativamente recenti, sicuramente contro la volontà dei suoi responsabili, all’onore delle cronache finanziarie per almeno tre volte: intanto le ultime classifiche della rivista Forbes sugli uomini più ricchi del mondo hanno individuato in Michele Ferrero, l’attuale capo della dinastia imprenditoriale, l’uomo più ricco d’Italia, con un patrimonio personale stimato in 13 miliardi di euro, sopravanzando tra l’altro per ricchezze lo stesso Silvio Berlusconi; inoltre, la società è stata valutata dal Reputation Institute, sulla base di una indagine a livello mondiale, come l’impresa con il marchio più affidabile e con la migliore reputazione al mondo, secondo almeno i consumatori dei vari paesi, superando nella gara nomi molto reputati, come Ikea e Jonhson & Johnson; infine, i media internazionali hanno posto i riflettori sul gruppo in occasione della cessione sul mercato della britannica Cadbury, operante nello stesso settore dell’impresa piemontese, occasione nel quale la Ferrero, che peraltro è sempre cresciuta sino ad oggi soltanto per linee di sviluppo interne, è sembrata essere per un momento interessata ad entrare nell’affare. L’impresa è stata poi acquisita dall’americana Kraft Foods.

Quella sede in Lussemburgo

Si contano forse soltanto sulle dita di due mani le grandi società internazionali che hanno la sede principale in un paradiso fiscale. Accanto agli indubbi vantaggi societari di una tale possibile collocazione, sta però il fatto che, in generale, le grandi imprese hanno bisogno degli stati di appartenenza per molti ed ovvi motivi e quindi non ricorrono in genere a tale espediente. Evidentemente la famiglia Ferrero ha giudicato altrimenti. Oggi il gruppo Ferrero fa capo alla holding Ferrero International, che è domiciliata nel Lussemburgo ed è nata nel 1997 come Ferrero Luxembourg. Come ha affermato qualcuno già diversi anni fa, chi ha delle società nel Lussemburgo ha in genere qualcosa da nascondere. E’, tra l’altro, sembrato, nel pieno della crisi in atto, che le grandi potenze del mondo volessero finalmente e seriamente combattere i paradisi fiscali del pianeta ma, dopo qualche mossa che è apparsa andare in quella direzione, tutto ora tace e il Lussemburgo tira un sospiro di sollievo.

Di recente è stata costituita, sempre nel granducato e sempre all’interno del gruppo, anche un’altra società, controllata dalla prima, che dovrebbe svolgere la funzione di banca interna, raccogliendo tra l’altro denaro dalle società in surplus e prestandolo invece a quelle in deficit finanziario, nonché effettuando, quando necessario, un ruolo di provvista anche all’esterno, per le imprese del sistema, come del resto avviene nella gran parte dei grandi gruppi.

Invece il patriarca, Michele Ferrero, cui fa capo sostanzialmente l’intero pacchetto azionario di controllo e che ormai supera gli 85 anni di età, vive a Monaco, da dove dirige gli affari del gruppo, concentrandosi in particolare, con una attenzione persino maniacale, come riportano le cronache, sulla messa a punto dei nuovi prodotti, di frequente irripetibili e molto difficili da copiare da parte della concorrenza; così tale attività appare una chiave di volta strategica del successo della società. A Monaco è anche collocata la Fedesa, una misteriosa cassaforte di famiglia. Altri siti sociali sono domiciliati in altri paesi paradisi fiscali, ma è difficile distinguere quanto essi vi svolgano delle funzioni per così dire fiscal-societarie e quanto invece delle normali attività operative legate alla distribuzione dei prodotti.

Dei due figli che assistono Michele Ferrero nelle attività del gruppo, l’uno, Pietro, cura la produzione e l’amministrazione da Alba, in provincia di Cuneo, l’altro, Giovanni, segue invece la gestione commerciale sempre dal Lussemburgo, da dove coordina anche l’attività delle diverse unità sparse per il mondo.

Quando richiesti di spiegare perché la sede centrale del gruppo sia collocata proprio nel Lussemburgo, i membri della famiglia di solito rispondono che nell’area del Centro-Europa, dove è collocato il paese, si riscontra la maggiore intensità di consumo di cioccolato e di prodotti “fuori pasto dolce”, mentre nella stessa zona si collocano i distributori principali del settore, che applicano le più moderne tecnologie di marketing e di distribuzione. Così la Ferrero può disporre, sempre a detta dei membri della famiglia, di una prospettiva privilegiata sul mondo dei consumi dolciari, anziché lavorare in un’ottica soltanto italiana.

Ma questa appare soltanto la versione ufficiale della storia; accanto a tale motivazione bisogna ovviamente aggiungere i vantaggi fiscali e societari di una tale collocazione, nonché un certo distacco che la famiglia, e in particolare Michele Ferrero, vuole mantenere rispetto agli ambienti politici ed affaristici del nostro paese; risale ormai a molti anni fa, al 1985, lo sgradevole episodio della partecipazione della società alla cordata messa in piedi a suo tempo da Berlusconi per contrastare la conquista della Sme da parte di De Benedetti. Da allora la presenza della società nel nostro paese si è fatta sentire molto poco. L’unico contatto “istituzionale” rilevante con l’Italia sembra essere oggi costituito dal possesso dello 0,68% del capitale di Mediobanca; per altro verso, Pietro Ferrero, che era presente nel consiglio di amministrazione dell’Istituto, ne è uscito nell’ottobre del 2009 per motivi ufficialmente relativi agli impegni di lavoro nella sua azienda.

Naturalmente il gruppo non ha mai voluto quotarsi in borsa; non si vede peraltro quale avrebbe potuto essere un qualche possibile vantaggio di una tale decisione.

Cioccolato d'oro

La società è stata fondata ad Alba nel 1942; essa opera da allora nel settore dei prodotti dolciari ed affini ed ha presto conosciuto uno sviluppo molto importante. Il primo stabilimento estero è stato aperto già nel 1956 in Germania, mentre il primo insediamento francese è del1968. Attualmente il gruppo Ferrero, dopo il recente assorbimento della Cadbury da parte della Kraft Foods, è il quarto complesso dolciario a livello mondiale come dimensioni, dopo la svizzera Nestle, nonché la stessa Kraft foods e la Mars, entrambe statunitensi.

Il gruppo, che ha raggiunto un fatturato di circa 6,5 miliardi di euro nell’esercizio 2008-2009, con una crescita del 2,1% rispetto all’anno precedente, occupa oggi circa 22.000 dipendenti nel mondo, con una ventina di stabilimenti sparsi nei vati continenti. Due di essi sono collocati nel Meridione.

La società ha registrato, sempre nell’esercizio 2008-2009, un profitto di 508 milioni di euro- con un incremento di circa il 40% rispetto all’esercizio precedente, dopo averne pagati circa 200 di tasse, con un rapporto pari al 40% rispetto agli utili netti. Da rilevare come, ad esempio, una società come l’Eni, che pur avrà adottato plausibilmente adottato qualche accorgimento per ridurre al massimo il suo carico fiscale, ha avuto invece negli ultimi anni un rapporto tra imposte e utile netto che si aggira intorno al 100%. Il Lussemburgo servirà dunque a qualcosa.

Al di là di questo ultimo aspetto, bisogna in generale considerare che la società presenta un andamento complessivo molto positivo da parecchio tempo; essa ha superato in maniera sostanzialmente indenne tutte le crisi, mostra una redditività elevata e flussi di cassa rilevanti, rappresentando certamente una delle più importanti storie di successo imprenditoriale del nostro paese.

Così le cose per la famiglia Ferrero non vanno proprio male.

Ad esempio, dal 2000 al 2003 essa ha incassato dal gruppo dividendi per 1.426 milioni di euro e interessi attivi per 150; alla fine del 2001, tra l’altro, la Ferrero International ha deliberato, ma non eseguito, la distribuzione di un dividendo di 1.833 milioni; con questa mossa la holding si è trovata con un debito di pari importo verso l’azionista, cui ha dovuto quindi riconoscere degli interessi pari ogni anno a circa 100 milioni di euro. In totale quindi possiamo registrare nel periodo considerato una somma deliberata a favore degli azionisti pari a circa 3,4 miliardi di euro (Mucchetti, 2004).

Tra il 2003 e il 2006 vengono distribuiti dividendi per 375 milioni di euro (Sanderson, 2009).

Sempre nel 2006 viene ripetuto il gioco del 2001; gli azionisti hanno deliberato la distribuzione di un dividendo di 1,520 miliardi. Di questi, 170 milioni sono stati pagati mentre il resto è stato convertito di nuovo in un debito subordinato (Radiocor, 2009) che frutta di nuovo interessi attivi per la famiglia.

Si ignora del tutto cosa i Ferrero facciano di tale enorme montagna di denaro. Non si conoscono spese ostentatorie, né investimenti finanziari o aziendali di qualche rilevanza. In ogni caso, nonostante tutte queste importanti distribuzioni di dividendi, la casse della Ferrero International deterrebbero più di 2 miliardi di euro di liquidità (Radiocor, 2009), mentre i debiti verso le banche ammonterebbero a ben poca cosa.

Strategie e promesse

Per quanto riguarda la distribuzione delle vendite della società a livello globale, nel 2009 il 72,2% di esse si concentrava nell’Europa occidentale, il 12,8% in quella dell’est, l’8,6% nel nord e sud America, il 6,4% nel resto del mondo. Così la società è una realtà forte soprattutto nell’Europa occidentale, in particolare in Italia, Francia, Germania, paesi questi dove essa è leader di mercato e dove realizza il 60% delle vendite totali. La sua presenza è invece molto debole in Gran Bretagna, dove controlla una quota di mercato intorno al 3%, così come negli Stati Uniti, il paese più importante del mondo per i prodotti del settore. La società sta facendo ora molti progressi nell’Europa dell’est ed anche in Asia, area quest’ultima dove però le sue quote attuali di mercato sono ancora molto ridotte.

Si pone quindi per il gruppo dirigente il problema se restare una società solo regionale o se puntare invece a diventare un operatore di livello mondiale. La società appare ormai chiaramente orientata in questa seconda direzione, direzione indicata da tutte le analisi come sostanzialmente obbligata.

A tale riguardo essa sta certo aprendo diversi nuovi stabilimenti in nuove aree del mondo, dalla Russia, al Sudafrica, all’India e sta anche diversificando geograficamente l’attività di reperimento delle materie prime alimentari necessarie alle sue produzioni. Ma la crescita interna non basta per poter diventare un protagonista globale del settore in un tempo ragionevolmente breve e così la società potrebbe intraprendere presto un programma di acquisizioni esterne, per le quali le risorse proprie e i fidi bancari non mancherebbero certo.

Il gruppo ama presentarsi in generale come molto sensibile al tema della sostenibilità ambientale delle sue attività e così un piano varato di recente prevede che entro il 2013 le sue emissioni di ossido di carbonio si riducano del 17% rispetto ai livelli del 2007, mentre i suoi consumi di energia dovrebbero diminuire del 19-20%, sempre rispetto al 2007. Si tratta di obiettivi certamente di un certo interesse, anche se comunque non entusiasmanti. Contemporaneamente, peraltro, i gruppi ambientalisti accusano la società di utilizzare, per la produzione della Nutella e di altri suoi prodotti importanti, l’olio di palma, in provenienza in particolare dalla Malesia e dall’Indonesia, dove viene prodotto disboscando selvaggiamente la foresta pluviale.

 

Testi citati nell’articolo

- Mucchetti M., Ferrero, re del cioccolato e mister 3,4 miliardi, Corriere della sera, 3 dicembre 2004

- Radiocor, Ferrero: in manovra in Lussemburgo, costituita una nuova società, Il Sole 24 ore, 4 dicembre 2009

- Sanderson R., Reclusive Ferrero has the financial wherewithal, www.ft.com, 21 novembre 2009

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Commenti

Nutella all'olio di palma

Ciao, complimenti per l'articolo, approfondito e ben referenziato, su un argomento difficile.
Sull'ultimo punto, che è quello grazie al quale ho reperito l'articolo, dato che sono un ambientalista convinto, vorrei darti un
po' di sostanza.

2008: http://www.genitronsviluppo.com/2008/07/15/olio-di-palma-pericolo-verde-litalia-fra-i-maggiori-importatori-della-pianta-governata-dalle-grandi-multinazionali-dallindonesia-al-formaggio-philadelphia-dal-congo-alle-patatine-pringles-rad/
Olio di Palma: Pericolo Verde. L’Italia fra i maggiori importatori della pianta governata dalle grandi multinazionali. Dall’Indonesia al formaggio Philadelphia, dal Congo alle patatine Pringles, radiografia di una coltura insostenibile

2008: http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=1408
Ferrero frena sull'olio di palma grazie a Greenpeace

Cioè: è assolutamente vero che l'Italia importa tantissimo olio di palma, senza curarsi della certificazione di sostenibillità, e la maggior parte finisce negli alimenti industriali; infatti anche dopo questa lettera a Greenpeace, non mi risulta che le confezioni di Nutella o di altri prodotti Ferrero sfoggino un qualunque marchio di certificazione sostenibile!
Inoltre, andando nello specifico verso la questione della qualità degli alimenti industriali, la Nutella è fatta con un mero 13% di pasta di nocciole, tutto il resto è olio di palma (="zucchero, oli vegetali, nocciole (13%)" sull'etichetta, in quest'ordine). L'alternativa esiste, e si chiama Crema Novi: 45% di nocciole, nessun altro grasso è necessario! Etichetta: nocciole (45%), zucchero, cacao, ... ed è Buonissima!
Altro consiglio: gli unici cracker senza olio di palma sono quelli Coop (usano olio di cocco), ed anche i nuovi crackers all'acqua del Mulino Bianco, che dato che usano pochissimi grassioli, almeno li usano buoni, addirittura "olio di oliva" e latte.

Mi ritengo privilegiato per avere avuto la possibilità di visitare le bellezze naturali mozzafiato della Malesia, e sono stato testimone inconsapevole della distruzione delle foreste vergini, immediatamente confinanti con enormi distese a perdita d'occhio di campi di palme da olio; da allora ho cercato incessantemente di eliminare l'utilizzo di olio di palma in casa. La situazione è particolarmente sconfortante, addirittura solo Gentilini usa il burro per impastare i suoi biscotti, le altre ditte usano tutte la margarina e, di conseguenza, l'olio di palma! Persino, ahimé, le note marche di biscotti per la prima infanzia...

Un'ultima considerazione sul valore nutrizionale dell'olio di palma come alimento: l'olio grezzo di palma è molto gustoso, ed ha un forte colore arancione, dovuto alla massiccia presenza di carotenoidi (precursori della Vitamina A, molto di più delle carote!); ebbene, per “normalizzarlo”, in modo da poterlo usare indifferentemente in qualunque cibo, sia dolce che salato, lo sottopongono a radicali processi di raffinazione, che gli tolgono il sapore, il colore e... i carotenoidi!! Il risultato è un olio incolore, inodore, insapore, che è solo grasso, e se necessario può anche essere idrogenato (processo industriale di stabilizzazione) per conservarlo meglio. C'è da leccarsi i baffi, indubbiamente...