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Reddito minimo, la beffa del governo

03/12/2013

Il governo ha stanziato 120 milioni per allargare la sperimentazione della carta acquisti. Ma una cifra così ridotta per una platea così ristretta non costituisce certo l'atteso arrivo anche in Italia di quella garanzia di reddito per i poveri che esiste in quasi tutti i paesi Ue

120 milioni in tre anni per allargare un po' la sperimentazione della nuova carta acquisti destinata alle famiglie povere assolute (Isee non superiore a 3.000 euro) con figli minori. Una sperimentazione già avviata nei 12 capoluoghi di provincia e, utilizzando i fondi europei, negli ambiti territoriali delle tre regioni meridionali. Uno stanziamento così ridotto per una platea così territorialmente e categorialmente ristretta non può essere certo annunciato come il lungamente atteso arrivo anche in Italia di quella garanzia di reddito per i poveri che esiste in quasi tutti i paesi Ue, oltre che in diversi paesi Ocse. L’esiguità dello stanziamento appare quasi una beffa, a fronte dei miliardi (almeno 4) impegnati per compensare l’eliminazione dell’Imu sulla prima casa per quest’anno, e che ancora non sembrano bastare del tutto.

Le stime più conservative, incluse quelle della commissione di esperti istituita dallo stesso ministro Giovannini, valutano che, per coprire almeno la metà del gap tra il reddito disponibile e la soglia di povertà assoluta alla totalità dei poveri, occorrerebbero tra il miliardo e il miliardo e mezzo circa all’anno. Nonostante gli sforzi del ministro Giovannini e della viceministra Guerra, il governo delle ex larghe intese onora gli impegni presi solo verso una parte del paese e della sua (ex) maggioranza.

L'introduzione di una misura di sostegno al reddito a livello nazionale per chi si trova in povertà, a prescindere da dove abita e in che famiglia vive, così come la revisione dell'Imu, faceva, infatti, parte degli impegni presi da Letta all'atto del suo insediamento. Purtroppo, il Pd sembra persino essersi dimenticato di avere depositato una proposta di legge in materia. A parte il ministro Giovannini e la viceministra Guerra, il sostegno al reddito per il poveri non ha trovato nel governo e nella sua maggioranza sostenitori altrettanto convinti, tenaci (e ricattatori) di quelli che si sono battuti per l’abolizione dell'Imu per quest'anno e la sua ristrutturazione per l'anno prossimo. Con l'ulteriore beffa che questa ristrutturazione, sotto forma di Iuc, sia più svantaggiosa dell’Imu proprio per i gruppi sociali in cui più elevata è l’incidenza della povertà.

La Iuc, infatti, graverà anche sugli affittuari. Dato che, a differenza che nell’Imu, viene lasciato ai comuni decidere se, quanto e a chi effettuare detrazioni, a seconda del comune, potrebbe inoltre essere più svantaggiosa per le famiglie numerose con figli.

La scarsità delle risorse messe a disposizione, inoltre, crea una disparità entro la stessa categoria di poveri potenziali destinatari della nuova carta acquisti. Non basterà che siano in condizione di povertà assoluta, vivano in una famiglia (deve esserci almeno un minore) e città (ammessa alla sperimentazione) "giuste" e siano disponibili a sottostare a tutte le condizioni richieste. La scarsità dei fondi obbligherà a formare graduatorie del bisogno, riducendo e frammentando ancora una volta proprio i diritti dei più vulnerabili, minori inclusi.

I poveri, in Italia, nonostante siano in aumento, continuano ad essere considerati e trattati da cittadini di seconda o terza categoria. Le “sperimentazioni”, di fatto, non servono per mettere a punto uno strumento efficace ed efficiente, da attuare poi su tutto il territorio nazionale e per tutti coloro che si trovano in condizione di bisogno. Servono solo a coprire la mancanza di universalismo e a creare “categorie di meritevoli” più o meno casuali e temporanee. È già successo con la sperimentazione del reddito minimo di inserimento di una quindicina di anni fa.

Per altro, anche questo, poco più che simbolico, allargamento della "sperimentazione" della nuova carta acquisti ha un finanziamento discutibile e perciò incerto. Non si capisce perché la solidarietà aggiuntiva debba venire solo dalle pensioni alte (per altro già colpite per il secondo anno consecutivo dalla mancata indicizzazione) e non da tutti i redditi, e patrimoni, alti. Colpire solo le pensioni alte avrebbe senso e giustificazione solo se il loro importo fosse sproporzionato rispetto ai contributi versati. Il che è vero in alcuni casi, ma non sempre (si veda il recente articolo su lavoce.info in argomento1). C'è quindi il rischio che qualcuno faccia ricorso alla Corte Costituzionale e che questa bocci, come è già successo, il prelievo. Ed allora il governo potrà scaricare sulla Corte la propria incapacità a trovare una forma equa e dignitosa di sostegno al reddito dei poveri.

 

(1) T. Boeri e T. Nannicini, Pensioni d’oro. Il diavolo sta nei dettagli

 

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Commenti

Elemosina per i sudditi e diritti per i cittadini !!!

La proposta del M5s di 600 euro è una buona sintesi per garantire un minimo ai cittadini, disincentivare l'assistenza parassitaria e stimolare la ricerca di lavoro per incrementare il proprio reddito.
La proposta del governicchio è ridicola ma non fa ridere, per l'Italia il governo Letta/Alfano è una tragedia.
Bisogna sempre adottare comportamenti borderline per reclamare i propri diritti, rischiando di passare dalla parte del torto.
Perché insistere nel modificare art.138 della Costituzione, mentre dovrebbe essere emendato solo art. 75 Cost. " .........Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio [cfr. art. 81], di amnistia e di indulto [cfr. art. 79], di autorizzazione a ratificare trattati internazionali ........". La democrazia diretta dei cittadini è mortificata, non possiamo scegliere sulla NoTav, euro e sovraffollamento carcerario (basterebbe scontare gli anni residui ai domiciliari o riqualificare le ex caserme per i reati minori). " Italia paese canaglia, si affanna la ciurma ma il capitano non molla, ammutiniamo il capitano in nome di Dio! Ma nel segreto dell'urna la ciurma si turba e china la testa !! " .......mio.......titolo "Italiani, armiamoci e partite !" dedica al principe Antonio De Curtis

Trenta ore settimanali senza diminuzione della retribuzione (minimo: € 8,50 all'ora netto)

La richiesta sulla quale s'insiste della "carità" per chi non "ha" una retribuzione è sbagliata, non solo perchè chi scrive qui sono abituali venditori di forza-lavoro, anche perchè migliaia sono coloro che "fanno" migliaia di ore di lavoro straordinario inoltre, ecco un suggerimento dalla cassetta degli attrezzi della working class: « Quanto più cresce la forza produttiva del lavoro, tanto più può essere abbreviata la giornata lavorativa e quanto più può essere abbreviata la giornata lavorativa tanto più potrà crescere l’intensità del lavoro. Da un punto di vista sociale la produttività del lavoro cresce anche con la sua economia. Quest’ultima comprende non soltanto il risparmio nei mezzi di produzione, ma l’esclusione di ogni lavoro senza utilità. Mentre il modo di produzione capitalistico impone risparmio in ogni azienda individuale, il suo anarchico sistema della concorrenza determina lo sperpero più smisurato dei mezzi di produzione sociali e delle forze-1avoro sociali oltre a un numero stragrande di funzioni attualmente indispensabili, ma in sè e per sè superflue. Date l’intensità e la forza produttiva del lavoro, la parte della giornata lavorativa sociale necessaria per la produzione materiale sarà tanto più breve, e la parte di tempo conquistata per la libera attività mentale e sociale degli individui sarà quindi tanto maggiore, quanto più il lavoro sarà distribuito proporzionalmente su tutti i membri della società capaci di lavorare, e quanto meno uno strato della società potrà allontanare da sè la necessità naturale del lavoro e addossarla ad un altro strato. Il limite assoluto dell’abbreviamento della giornata lavorativa è sotto questo aspetto l’obbligo generale del lavoro. Nella società capitalistica si produce tempo libero per una classe mediante la trasformazione in tempo di lavoro di tutto il tempo di vita delle masse. » (1867) Karl Marx - Das Kapital. Kritik des politischen Oekonomie (1° libro cap XV - Variazioni di grandezza nei prezzi della forza-lavoro e nel plusvalore)
Editori Riuniti, Roma, 1973, pp 244 – 245

PENSIONI D'ORO


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ANALFABETISMO COSTITUZIONALE - tasse e contributi di solidarietà - pensioni d'oro -
PostDateIcon Lun, 11/11/2013 - 11:22 | PostAuthorIcon Redazione

Ignoranza costituzionale e semplicismo propagandistico legislativo sulle pensioni d'oro. Nel nostro paese, come pure nella vicina Francia, i parlamentari e i politici hanno dimostrato recentemente di ignorare alcuni fondamentali della Costituzione in tema di uguaglianza dei cittadini e della progressività del prelievo fiscale. E’ successo per la tassa o contributo di solidarietà per le pensioni cosiddette d’oro, introdotto nell’estate del 2010 dal Governo Berlusconi e confermato dal Governo Monti nel 2011. Così quel provvedimento, fatto per equilibrare il bilancio dello Stato, è incorso nei fulmini dei giudici della Consulta, giugno 2013, che lo hanno bocciato perché in contrasto con quanto prescrive la nostra Costituzione. Recita infatti l’art.53 «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».

Non c’è dubbio che siamo in presenza di ignoranza costituzionale e incapacità legislativa dei legislatori: lo sono e ci fanno?

Matteo Renzi nello show televisivo “Servizio Pubblico” di Michele Santoro, di giovedì 7 novembre, è stato “torchiato” per il rilancio della questione “pensioni d’oro” che sarebbero frutto di contributi interamente versati. Cosa né vera né verosimile se abbracciamo l’intera platea di chi oggi percepisce una pensione d’oro. Anche lui è ignorante o ripropone un problema di eguaglianza che non si vuole oggi affrontare?

Andrea Pitoni scrive - su La Stampa dell’11 novembre – che: meno di un milione di italiani (il 5%) ritirati dal lavoro guadagnano quasi quanto i 7,3 milioni più poveri. Commentando i dati recenti dell’Istat mette in evidenza quanto segue. Nel 2011, il 5,2% dei pensionati (861mila persone in tutto), che percepisce un assegno mensile superiore ai tremila euro, ha assorbito in tutto 45 miliardi, vale a dire il 17% della spesa previdenziale. Poco meno di quanto sborsato per i 7,3 milioni di italiani, il 44% del totale, il cui reddito non supera i mille euro al mese. In cifre 51 miliardi in tutto, pari al 19,2% della spesa complessiva. Tra la fascia dei pensionati al minimo e quella degli assegni d’oro, vivono i 6,3 milioni di italiani che percepiscono un assegno tra i 1000 e i 2000 euro e i 2,1 milioni di persone che ricevono tra i 2000 e i 3000 euro al mese.

La “supertassa” sulle “superpensioni” è illegittima: lo ha stabilito la sentenza 116/2013 della Corte Costituzionale, presieduta da Franco Gallo, che ha cancellato il “contributo di solidarietà“, ovvero il prelievo extra su tutte le cosiddette “pensioni d’oro“, quelle pensioni pubbliche e private superiori rispettivamente ai 90 mila, ai 150 mila e ai 200 mila euro lordi l’anno. Una sentenza che fa il paio con quella che aveva dichiarato incostituzionale il contributo di solidarietà sugli stipendi dei dipendenti pubblici sopra i 90 mila euro.

Il verdetto dei giudici avrà conseguenze importanti per i pensionati interessati e per le casse dello Stato, che ora dovrà mettere a bilancio le spese per il rimborso della supertassa e i mancati introiti.

Tornando al merito giuridico, i magistrati di palazzo della Consulta hanno ritenutoirragionevole e discriminatorio, e quindi costituzionalmente illegittimo, il prelievo (rispettivamente del 5%, 10% e 15%) sulle pensioni di centinaia di magistrati, avvocati dello Stato, ambasciatori, docenti universitari, alti funzionari, dirigenti pubblici, ammiragli, generali, notai, giornalisti, manager pubblici e privati. Avranno tutti diritto al rimborso degli importi trattenuti dalle loro pensioni per 23 mesi e non dovranno più pagare nulla fino al 31 dicembre 2014. La restituzione sarà automatica da parte dell’Inps e degli altri enti previdenziali.

Il ricorso alla Corte Costituzionale è stato presentato dall’ex presidente della Corte dei ContiGiuseppe Bozzi (titolare di pensione sopra i 90 mila euro) e del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati, stabilendo l’incostituzionalità dell’articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’articolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 perché tali norme violavano apertamente gli articoli 3 e 53 della Costituzione.

La politica si arrende? I legislatori cadono in “sonno”? Eppure non è poi così difficile legiferare rispettando l’art.53 della Costituzione. Intervenendo con criteri di progressività (aliquote crescenti al crescere dei redditi) sulle pensioni oltre ( ad esempio) 10 volte il minimo e contemporaneamente sugli alti compensi da lavoro dipendente e non ( pubblico e privato che sia) oltre 10 volte il salario medio di un impiegato. Perché non discutere di questo unitamente al tetto per i compensi dei manager pubblici e privati? La Cisl ha proposto una legge d’iniziativa popolare ma se ne sa pochino…

Per maggiore documentazioni vedi il link sottostante e gli allegati

http://www.sindacalmente.org/content/patrimoni-alti-redditi-e-pensioni-bilanci-riforme