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Parabola di gomma

05/11/2010

Con Fiat e Olivetti, la Pirelli per decenni è stata per decenni punta avanzata del capitalismo italiano. Adesso è una società declinante, con una struttura proprietaria di scatole cinesi; dopo scalate e debiti, ha venduto parecchi pezzi ed è ora ridotta ai due business della gomma e del mattone. Con parecchi rischi all'orizzonte

Nei primi decenni dopo la seconda guerra mondiale la Pirelli ha rappresentato per molti aspetti, insieme a Olivetti e Fiat, la punta avanzata del capitalismo privato italiano. Le tre imprese cumulavano insieme la gran parte degli investimenti esteri del nostro paese, mentre erano alla guida dell’evoluzione tecnologica ed organizzativa dell’industria privata e mentre la stessa Pirelli tendeva quasi ad emulare l’Olivetti nel campo degli interventi sociali a favore dei suoi dipendenti. Ha preso, tra l’altro, inoltre, a suo tempo nome da Leopoldo Pirelli, che presiedeva l’apposito comitato, quel documento che, prodotto all’interno della Confindustria, immaginava ed auspicava, verso la fine degli anni sessanta del Novecento, una possibile modernizzazione del sistema produttivo ed imprenditoriale del nostro paese.

Ma da allora, mentre la Fiat è soggetta a crisi e sussulti periodici e mentre l’Olivetti è morta, la Pirelli, grazie in particolare alle tenaci azioni portate avanti nel tempo dal suo attuale padrone, Marco Tronchetti Provera, appare oggi ridotta a misera cosa rispetto ai suoi passati splendori.

Una breve storia dell’impresa e la gestione di Leopoldo Pirelli

La società è stata fondata a Milano nel 1872 e all’inizio produceva articoli in gomma; molto presto, nel 1879, si aggiungeranno i cavi, settore che si affermerà in particolare con il decollo nel nostro paese dell’industria elettrica; tale produzione precederà quella dei pneumatici, che partiranno nel 1901. Nei decenni successivi l’espansione sarà rapida e abbastanza fortunata e si aggiungeranno progressivamente diverse altre produzioni sempre nel settore della gomma.

Il processo di internazionalizzazione produttiva avrà inizio molto precocemente; già nel 1902 si apre uno stabilimento in Spagna, nel 1913 uno in Gran Bretagna e infine uno in Argentina nel 1917.

Nel secondo dopoguerra l’azienda registrerà un nuovo ciclo importante di espansione legato in generale alla forte crescita dell’economia italiana e mondiale e, per quanto riguarda almeno i pneumatici, al parallelo boom dell’auto. I primi anni sessanta vedono l’approfondirsi dei processi di internazionalizzazione, mentre va registrata anche l’apertura di alcuni stabilimenti al Sud.

Si può affermare che i comportamenti della società, sotto la guida di Leopoldo Pirelli, appaiono per alcuni versi contradditori. Da una parte si registrano il già citato sviluppo multinazionale, nonché una rilevante spinta all’innovazione tecnologica, gli insediamenti nel meridione, il tentativo infine di spingere verso un rinnovamento del sistema industriale del nostro paese, dall’altra, invece, si mantengono e si sviluppano delle strutture societarie arcaiche. Così la Pirelli è un attore molto importante del sistema Mediobanca e, attraverso le innumerevoli società a cascata poste in essere, nonché il sostegno azionario degli altri membri del club e quello finanziario della stessa Mediobanca, riesce a governare un vasto impero possedendo ad un certo punto soltanto lo 0,7% del capitale totale del gruppo, un caso limite pur all’interno di un sistema, quale quello italiano, che è stato definito di “ capitalismo senza capitale”.

Nella seconda metà degli anni ottanta il gruppo, suddiviso in tre principali settori di attività, i cavi - il business più redditizio e il cui fatturato in certi anni supererà il 50% di quello complessivo aziendale-, gli pneumatici, i prodotti diversificati, superato anche il periodo dell’autunno caldo, si trovava complessivamente in una situazione di crescita aziendale e con i conti complessivamente abbastanza a posto. Si registrava ormai l’esistenza di decine di stabilimenti nel mondo, mentre l’occupazione a livello globale si aggirava intorno alle 70.000 unità.

Ma il gruppo dirigente percepisce, nello stesso periodo, un rilevante problema. La società valuta che le sue dimensioni nel settore degli pneumatici sono troppo ridotte rispetto ai concorrenti più importanti. Si sviluppano quindi, con il sostegno attivo di Mediobanca, delle azioni volte all’acquisizione di una qualche altra impresa del settore. Dapprima si prova nel 1988 negli Stati Uniti con la Firestone, ma si è battuti dalla giapponese Bridgestone, poi nel 1991 si tenta in Germania con la Continental, ma anche in questo caso si fallisce. Ma il problema, nel caso di tale scalata, è quello che la Pirelli si ritrova alla fine con il 39% circa delle azioni della società tedesca, azioni di cui si dovrà disfare, subendo una perdita pari a circa 3.700 miliardi di lire. Si tratta di un cifra troppo alta anche per una società così importante.

La gestione di Tronchetti Provera

A questo punto Leopoldo Pirelli si dimette dalla guida dell’azienda ed al suo posto subentra nel 1992 il genero, Marco Tronchetti Provera. Da allora in poi e sino ad oggi, sotto la sua gestione, l’azienda subisce una serie di ridimensionamenti e di rovesci continui, mentre registra comunque un marcato mutamento nella filosofia di gestione aziendale. In effetti, l’ottica operativa, prima molto orientata sulle questioni industriali, molto attenta tra l’altro alle politiche del personale, diventa ora invece centrata su quelle finanziarie (Fumagalli, Nocera, 2007). Nel frattempo, Tronchetti Provera liquida quasi per intero il management precedente e mette nei posti chiave uomini di sua fiducia.

Tra le misure prese per tamponare la falla nei conti prodotta dall’operazione Continental c’è subito quella di cessione delle attività diversificate del gruppo, la cui vendita frutterà circa 1.000 miliardi di lire.

Verrà successivamente la volta dei cavi. Ancora nel 1999 il settore aveva insediamenti produttivi in 21 paesi diversi e ed occupava circa 19.000 persone. Il suo fatturato rappresentava ormai circa il 60% di quello totale del gruppo. Tra la fine del 1999 e i primi mesi del 2000 si cedono i cavi a fibre ottiche agli americani della Cisco e della Corning Glass, ricavando ben 5 miliardi di euro da un’attività che valeva in realtà molto poco. Da questa operazione Tronchetti Provera e due altri dirigenti del gruppo ricaveranno incredibilmente una stock option di 456 milioni di euro, sia pure al lordo delle tasse. Più in generale, nel triennio 1999-2001 a Tronchetti Provera andranno a vario titolo 284 milioni di euro tra stipendi e stock option, una cifra pari al 557% dell’intero capitale dell’accomandita che controlla il gruppo (Mucchetti, 2003).

Nell’estate del 2001 Tronchetti Provera decide di entrare in Telecom Italia, affiancato da Benetton e da due banche, Intesa e Unicredito, con il pieno appoggio di Mediobanca. Viene costituita a tale proposito la società Olimpia, la quale acquisisce una quota del 27% del capitale di Olivetti, che allora controllava Telecom con una quota pari al 55% del totale. La Telecom a sua volta controllava la Tim.

Il prezzo di acquisto corrisponderà a 4,175 euro per azione Olivetti quando tali titoli quotavano sul mercato poco più di 2 euro. Per di più, tra il momento dell’annuncio dell’accordo e la chiusura dell’operazione le azioni scenderanno ancora fino ad un euro. L’esborso iniziale per l’operazione è, per il gruppo di intervento, pari a 7,2 miliardi di euro. L’investimento complessivo dei soci di Olimpia ammonterà comunque alla fine a 9 miliardi di euro, di cui 6,5 investiti dal gruppo Pirelli. Lo stesso gruppo finanzierà tale impegno con 3,9 miliardi derivanti dalla cessione delle fibre ottiche e 2,6 miliardi frutto invece di aumenti di capitale, pagati in parte dal mercato, nonché di cessione di altre attività.

Ma a questo punto Olimpia deve sostenere un costo di circa 180 milioni di euro all’anno come interessi sui debiti fatti per la scalata; l’Olivetti, dal canto suo, aveva già 16 miliardi di debiti, residuo dell’importo della scalata a Telecom a suo tempo effettuata dal gruppo Colaninno e che costavano 900 milioni l’anno di interessi . Così, dopo un po’, si pensa di far sopportare l’onere del debito di Olimpia e dell’Olivetti alla stessa Telecom – che aveva comunque per conto suo debiti per circa 25 miliardi - e a Tim.

Così la Olivetti verrà fusa con Telecom, scaricando su quest’ultima i debiti della prima, mentre la stessa Telecom verrà fusa con Tim, che era ricca di flussi di cassa. Inoltre, per coprire gli interessi passivi di Olimpia, la stessa società viene obbligata a versare ogni ano dividendi molto elevati, riducendo così la sua capacità di sviluppo.

Ma le cose vanno comunque male nel tempo; intanto la Telecom si trova di fronte a diverse difficoltà – il settore della telefonia cresce ormai molto di meno degli anni novanta, quando era considerato il business dell’avvenire; esso registra margini progressivamente decrescenti in tutto il mondo e presenta comunque un futuro incerto con molte sfide aperte. Il carico dei dividendi e dei debiti continua ad essere elevato.

Così nel 2005 la Pirelli, per cercare di riequilibrare la situazione, dovrà vendere l’intero settore cavi alla Goldman Sachs per circa 1,3 miliardi di euro, mentre qualche tempo dopo la nuova società, che assumerà il nome di Prysmian, sarà quotata in borsa per un prezzo vicino ai 3 miliardi di euro.

La Pirelli riporta poi nel 2006 perdite di bilancio per circa 1,2 miliardi di euro, in relazione alla necessaria svalutazione della partecipazione in Olimpia per circa 2 miliardi di euro.

 

Così nell’aprile del 2007 si chiama di nuovo in soccorso il sistema Mediobanca e la Olimpia viene ceduta ad una cordata di cui fanno parte Intesa, la stessa Mediobanca, Generali, sempre Benetton, nonché la spagnola Telefonica.

 

Dopo l’uscita della Pirelli del governo di Telecom la magistratura ha comunque aperto dei procedimenti che riguardano quel periodo e che fanno riferimento tra l’altro a reati quali l’evasione fiscale e le intercettazioni telefoniche illegali.

 

La Pirelli ha così ceduto nel tempo due dei suoi tre settori operativi principali. A livello di ingresso in attività nuove, a parte alcune cose minori, c’è stata nel frattempo la costituzione di Pirelli Re, che è diventata presto leader del settore immobiliare in Italia, con attività di rilievo anche in Polonia, in Germania ed in altri paesi. Tra l’altro, la società del gruppo ha creato diversi fondi immobiliari, con la partecipazione di primarie banche ed assicurazioni nazionali ed internazionali.

 

Ma, intanto, il business sembra essere stato avviato con una specie di peccato originale. La Pirelli Re ha, a suo tempo, acquisito il settore immobiliare di Telecom Italia ed i critici non hanno mancato di sottolineare come l’operazione abbia contribuito ad arricchire le casse della Pirelli e invece a impoverire quelle di Telecom. Ma, di recente, l’andamento economico e finanziario della società, in particolare in relazione alla crisi, è stato molto negativo; così nel 2008 e 2009 la società ha perso complessivamente circa 1 miliardo di euro, mentre i debiti del gruppo di società facenti capo alla stessa Pirelli Re sono pari a circa 11 miliardi di euro; il gruppo dirigente di Pirelli, alla ricerca di una possibile soluzione al problema, ha avviato le procedure di cessione graduale.

 

Si sta così procedendo allo scorporo della Pirelli Re, che intanto si appresta a cambiare nome, assumendo quello di Prelios; la società avrà un azionariato in gran parte composto da banche (le solite, Mediobanca, Intesa, Unicredit, che presumibilmente hanno delle rilevanti esposizioni creditizie nel business) e assicurazioni (Generali, Allianz, Fonsai, con importanti coinvolgimenti nelle varie attività del gruppo immobiliare); banche, assicurazioni, insieme alla Camfin, costituiranno un patto di sindacato con circa il 29% del capitale (Bennewitz, 2010, b). Si da per scontato che in un futuro anche prossimo la Camfin cederà anche la quota residua di capitale (18%) ancora da essa detenuta.

 

Va peraltro sottolineato come la società, in una nota pubblicata sul suo sito (Promemoria, 2009), si difenda dall’accusa di aver mal gestito le attività immobiliari di Telecom, così come da quella relativa alle stock option sulla cessione dei cavi alla Corning, a quella che riguarda gli eccessivi dividendi estratti sempre da Telecom, a quelle che fanno riferimento alle intercettazioni telefoniche, mentre, più in generale, essa difende in maniera puntigliosa la sua gestione complessiva dell’operazione Telecom; ma i suoi argomenti appaiono complessivamente, almeno a nostro parere, abbastanza deboli.

 

La situazione attuale

 

Oggi la catena di comando del gruppo appare molto complessa e ricorda da questo punto di vista i migliori momenti del sistema Mediobanca d’antan. La MGPM di Tronchetti Provera possiede il 100% della MTP Sapa, che a sua volta controlla il 61,4% della GPI, mentre il 30,94% di quest’ultima società è detenuto dalla famiglia Malacalza; la GPI a sua volta ha in portafoglio il 41,71% della Camfin, mentre il 12, 1% di quest’ultima società è controllato di nuovo dai Malacalza; la Camfin possiede a sua volta il 26,2% della Pirelli & C., mentre le Generali ne detengono il 5,33%, la Edizione srl ( famiglia Benetton) il 2,77%, la Premafin ( Ligresti) il 4,48%, Allianz il 4,52%, Mediobanca il 3,95%; il resto è lasciato al mercato. La Pirelli & C., infine, controlla il 100% della Pirelli Tyre e il 57,90% della Pirelli Real Estate, oltre ad altre partecipazioni minori.

 

Questa struttura piramidale mostra nel tempo segni rilevanti di stress. Tra l’altro, Mediobanca e gli altri soci della stessa cordata intervengono soltanto a livello della Pirelli & C e peraltro la stessa Mediobanca non è più, almeno finanziariamente, quella di una volta. Ora, la struttura che sta a monte della Pirelli & C ha mostrato negli ultimi anni più di una volta segni di difficoltà, presentando delle perdite ed un aumento rilevante nei livelli di indebitamento (Bennewitz, 2010); anche per questa ragione Tronchetti Provera ha fatto entrare ai piani alti del gruppo la famiglia Malacalza, industriali liguri che le cronache danno in possesso di rilevanti liquidità; la famiglia partecipa al comando del gruppo avendo messo relativamente, almeno per il momento, solo pochi spiccioli nell’affare. I patti parasociali prevedono tra l’altro procedure di consultazione su varie materie e maggioranze qualificate sulle operazioni straordinarie, oltre ad accordi di covendita e prelazioni reciproche. Si potrebbero registrare rilevanti novità in un futuro anche prossimo per quanto riguarda lo sviluppo di attività in comune. Per altro verso, come al solito, la Consob non ha avuto nulla da ridire su di un’operazione che altera sostanzialmente il quadro di governo del gruppo.

 

Le attività dell’azienda sono oggi concentrate sul settore dei pneumatici, che rappresentano circa il 90% del fatturato totale e che secondo il piano triennale 2009-2011 dovrebbe ulteriormente essere posto al centro delle attività complessive del gruppo. A suo tempo, essendo l’impresa troppo piccola come dimensioni rispetto ai concorrenti più importanti del settore, si era correttamente deciso di concentrare l’attenzione su di un segmento soltanto del business dei pneumatici, quello dei prodotti ad alte prestazioni; ora l’enfasi viene posta anche sulle tecnologie verdi.

 

Oggi la Pirelli Tyre opera con 21 stabilimenti sparsi per il mondo, di cui soltanto 3 ormai –con l’ accorpamento in atto in una sola unità degli attuali due insediamenti di Settimo Torinese- in Italia. La distribuzione delle vendite per area geografica mostra come soltanto il 9% del totale si collochi ormai nel nostro paese, il 33% nel resto d’Europa, l’8% nel Nord America, il 34% nell’America latina, il 16% in Asia, Africa, Pacifico.

 

Così gli investimenti in Italia sono stati a lungo molto trascurati, mentre molta attenzione hanno ricevuto nell’ultimo periodo al riguardo soprattutto paesi come la Romania, il Brasile, la Cina, la Russia.

 

Per quanto riguarda i dati complessivi del gruppo, intanto la distribuzione mondiale dei dipendenti, che sono 29.600 alla fine del 2009, vede l’Italia con il 15% del totale, con sole 4.454 unità, il resto d’Europa con il 27,50%, l’America Latina con il 39,75%, Oceania, Africa e Asia con il 16,91%, l’America del Nord con lo 0,78%.

 

I risultati di bilancio mostrano un andamento del fatturato non entusiasmante, indice del fatto che nella sostanza la società vivacchia: si è passati, complice la crisi, dai 4,8 miliardi di euro del 2006 ai 4,5 circa del 2009, si sono ridotti sia pure di poco in termini nominali gli investimenti, passati dai 255 del 2006, ai 311 del 2008, ai 225 del 2009, nonché le spese per la ricerca, da 171 a 137. Per quanto riguarda il risultato economico complessivo, si è avuta una perdita di 1.049 milioni nel 2006, un utile di 324 nel 2007, di nuovo una perdita per 413 nel 2008 e di 23 nel 2009.

 

Se volgiamo lo sguardo all’andamento dei due settori principali, la gomma, insieme ad una stagnazione delle vendite tra il 2006 e il 2009, presenta un risultato netto di 200 milioni di euro nel 2006, di 211 nel 2007, di 26 nel 2008, di 147 nel 2009; il settore immobiliare, per contro, presenta rispettivamente 162, 161, -193, -105 milioni. I primi dati per il 2010, peraltro, sembrano in generale più incoraggianti su ambedue i fronti.

 

Per quanto riguarda la situazione finanziaria, essa appare, con qualche oscillazione, relativamente accettabile, senza essere entusiasmante; peraltro le difficoltà dell’azienda hanno contribuito a ridurre drasticamente nel tempo il livello dei mezzi propri, passati dai 4,7 miliardi del 2006 ai 2,5 miliardi del 2009.

 

L’azienda si appresta ora ad entrare nel settore della formula 1: ma dopo il ritiro della Michelin e della Bridgestone da tale attività, l’ingresso della Pirelli sembra una scelta abbastanza rischiosa. Speriamo per il bene dei dipendenti del gruppo che Tronchetti Provera una volta tanto abbia fatto bene i suoi conti.

 


 

Testi citati nell’articolo

 

-Bennewitz S., Camfin, L’aumento difficile di Tronchetti, www.repubblica.it, 14 luglio 2010

 

-Bennewitz S., Unicredit e Mediobanca nel nocciolo duro Pirelli Re, www.repubblica.it, 5 maggio 2010, b

 

-Fumagalli F., Mocera G., Chi vuole uccidere la Pirelli?, Mursia, Milano, 2007

 

-Mucchetti M., Licenziare i padroni?, Feltrinelli, Milano, 2003

 

-Promemoria, Pirelli in Telecom Italia (2001-2007), www.pirelli.com

 

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