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Politica senza cultura. Note sul congresso Pd

07/09/2009

Siamo entrati nel vivo del 1° congresso del PD. Ma, il dibattito non presta attenzione alle mozioni e all’impianto culturale ad esse sottostante. Eppure, questo ultimo è il vero oggetto della contesa, poiché, come ripete Alfredo Reichlin, un partito è innanzitutto una cultura politica definita e vissuta.

 

Per recuperare, raccomandiamo le note di Salvatore Biasco, raccolte in un libretto di Reset (“Per una sinistra pensante”). Biasco affronta la ragione primaria della drammatica situazione elettorale e politica del Pd e del centrosinistra in Italia: l'assenza di una cultura politica autonoma, la subalternità culturale al pensiero egemone nell'ultimo quarto di secolo, al fondamentalismo di mercato, oggi messo all'angolo dalla crisi, ma ancora nella testa di tanti leader del Pd all'apparenza disintossicati. Biasco parla del Pd, ma molti spunti valgono anche per gli altri riformismi europei come conferma la brillante analisi di Giuseppe Berta sul New Labour e sulla SPD in “L'eclissi della socialdemocrazia”.

 

Per spiegare la subalternità e fissare la pietra angolare per ricostruire una forza politica storicamente sensata, Biasco indaga le “distorsioni nel modo di concepire la funzione intellettuale nell'organizzazione politica”. E coglie nel segno: il Pd è marginale perché la sua classe dirigente negli ultimi due decenni ha fatto politica senza cultura, senza una lettura scientificamente fondata delle trasformazioni del Paese, senza una visione forte a sostegno delle scelte quotidiane. I compiti di governo, sia a livello nazionale che territoriale, avrebbero dovuto far ritrovare l'anima culturale alla politica. Invece, troppo spesso, hanno portato, per ansia di legittimazione riformista, all'improvvisazione dettata dagli editoriali dei “quotidiani autorevoli”. Oppure hanno indotto, per inconsapevolezza della politicità dei “dettagli” tecnici, alla delega agli specialisti. Il sacrosanto “primato della politica” è diventato politicismo o genericismo, coperti dall'insopportabile intercalare dell'aggettivo “nuovo” prima di ogni sostantivo di policy.

Insomma, la destra in Italia oggi è così forte, radicata, egemone per tante ragioni, strutturali e contingenti. Ma anche perché il Pd non ha ereditato una forma-partito e, conseguentemente, una classe dirigente adeguata. Anche perché il Pd è frutto acerbo di partiti piagati da 20 anni di siccità culturale e di selezione alla rovescia delle classi dirigenti. Anche perché tanti hanno creduto alla scorciatoia del leaderismo mediatico o del gioco di Palazzo. È ora di cambiare. “Meno uffici stampa, più uffici studi”, dice Bersani. Per “nuotare controcorrente” scrive Prodi. Da qui dobbiamo ripartire. E speriamo che il morto, presente in ogni casa, non afferri il vivo.

(articolo pubblicato sull'Unità del 3 settembre 2009)