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Più brave e più povere. I numeri delle laureate

23/09/2010

Il gap salariale tra laureate e laureati è dell'11% già all'inizio della carriera lavorativa, e non è spiegabile se non in minima parte in base a elementi oggettivi e strutturali, né varia in modo sostanziale in relazione al tipo di studi fatti. Tale tendenza contrasta con la crescente affermazione delle donne ai livelli alti dell'istruzione. Le ricerche in proposito rendono evidente l'esigenza di azioni positive mirate, in assenza delle quali il gap è destinato a crescere con effetti negativi per le donne e l'intera società.

 

Cultura e stereotipi

 

Le giovani donne che si sono laureate nella seconda metà degli anni novanta si sono formate culturalmente in una società che garantisce l’uguaglianza delle opportunità ad entrambi i sessi, ed è per loro nell’ordine naturale delle cose considerare la discriminazione un problema del passato, superato dai tempi, anche se alcuni effetti negativi possono perdurare ancora oggi a causa del comportamento culturalmente retrogrado e politicamente scorretto di pochi datori di lavoro, che non sanno vedere il loro stesso interesse e che temono la maternità più che la mediocrità dei loro dipendenti.

 

Le ricerche di psicologia cognitiva mostrano invece che gli stereotipi come “una donna dopo la maternità è una risorsa persa” o “un buon capo deve essere maschio” producono conseguenze economiche rilevanti e non marginali, sono pervasivi e non residuali, sono inconsapevoli e non intenzionali, e sono comuni a donne e uomini (Valian 1998). Ad esempio, Correll, Benard e Paik (2007) analizzano le richieste di assunzione inviate con identico curriculum da due gruppi di individui (Madri e Non madri). I valutatori hanno giudicato le Madri meno competenti e meno adatte per assunzioni e promozioni, ed hanno offerto loro retribuzioni più basse rispetto alle Non madri. Anche Biernat e Kobrynowicz (1997) analizzano la valutazione delle competenze contenute in un identico curriculum presentato alternativamente con un nome femminile o con un nome maschile alla selezione per un ruolo dirigenziale (considerato tipicamente maschile dallo stereotipo). Le stesse competenze sono state valutate il doppio se attribuite ad un uomo invece che ad una donna.

 

Così, anche se le giovani donne sono più istruite e qualificate dei loro coetanei, il cammino per la parità sostanziale non è ancora interamente compiuto, ed è importante mettere a fuoco l’esistenza di disparità retributive che si manifestano fin dall’inizio della carriera, perché senza l’intervento di azioni positive mirate questo differenziale è destinato a diventare ampio e stabile nel corso del tempo.

 

Dove nasce il gap

 

In una ricerca recentemente ultimata (v. Castagnetti e Rosti, 2010) abbiamo analizzato i dati Istat sull’inserimento professionale dei laureati del 2004 tre anni dopo il conseguimento del titolo di studio, e mostrato l’esistenza di un differenziale retributivo lordo tra donne e uomini (che lavorano come dipendenti a tempo pieno) pari all’11%. Questa differenza è spiegata solo in piccola parte (12%) dalle differenze nelle caratteristiche personali o del posto di lavoro (quali la facoltà frequentata, il voto di laurea, la presenza di figli, l’esperienza lavorativa maturata, il settore di attività, le ore lavorate, la dimensione d’impresa, il titolo di studio e l’occupazione dei genitori ecc.). Il residuo 88% del differenziale lordo rimane non spiegato, e la letteratura rilevante interpreta tale residuo non spiegato come evidenza di discriminazione, cioè di una disparità di trattamento economico tra individui di uguale produttività.

 

Alcuni autori (ad esempio Lin 2010) hanno mostrato come il differenziale retributivo tra laureati e laureate all’inizio del percorso di carriera sia principalmente l’effetto della scelta della facoltà universitaria: le donne preferiscono le discipline dell’area umanistica, caratterizzata da livelli retributivi piuttosto bassi, mentre gli uomini scelgono le discipline dell’area scientifica e ingegneristica, caratterizzate da retribuzioni più elevate. I dati riferiti al nostro paese mostrano però che il differenziale si manifesta anche all’interno della stessa area disciplinare (5,7% nell’area umanistica; 9,5% nell’area scientifica; 5,8% nell’area ingegneristica) e soprattutto si caratterizza per una componente non spiegata molto elevata in ciascuna delle aree considerate (77% nell’area umanistica; 99% nell’area scientifica; 85% nell’area ingegneristica).

 

A fronte di questi risultati sorge spontanea la domanda se i dati non siano troppo poveri di informazioni per spiegare il differenziale retributivo di genere. Però, calcolando con lo stesso metodo e con gli stessi dati (Istat 2007) altri differenziali retributivi - come ad esempio quello tra settore pubblico e privato, o quello tra dipendenti e indipendenti - si nota che la parte spiegata dalle dotazioni copre rispettivamente l’80% e il 65% del differenziale lordo. Dunque le caratteristiche osservabili degli individui e dei posti di lavoro (le dotazioni) spiegano abbastanza bene le differenze retributive per settore e posizione professionale, ma non riescono a spiegare altrettanto bene le differenze retributive di genere.

 

Meglio il concorso

 

Nelle economie moderne la discriminazione si produce quando la stima della produttività individuale è condizionata da stereotipi, pregiudizi, aspettative che consapevolmente o inconsapevolmente influenzano la valutazione della produttività degli agenti. I dati Istat non contengono informazioni sulla produttività degli individui, ma permettono di identificare alcuni contesti in cui l’azione degli stereotipi è più incisiva (Heilman 2001), come ad esempio il lavoro dipendente versus lavoro indipendente e le assunzioni senza concorso versus assunzioni per concorso. I lavoratori indipendenti, infatti, essendo datori di lavoro di se stessi non hanno bisogno di stimare la propria produttività, e in tal caso gli stereotipi non possono influenzarne la valutazione. Anche le assunzioni per concorso costituiscono un ostacolo all’azione degli stereotipi perché nelle procedure concorsuali la valutazione è più formale e più strutturata, e i decisori sono portati a giustificare le proprie scelte in modo più oggettivo.

 

Ipotizzando che gli stereotipi siano una causa importante della discriminazione che si manifesta nella componente non spiegata del differenziale retributivo di genere, abbiamo verificato che sia nel lavoro indipendente sia nelle assunzioni per concorso la componente spiegata del differenziale retributivo è maggiore. I dati mostrano, inoltre, che una eccellente performance scolastica sembra essere utile per contrastare l’azione degli stereotipi: laurearsi con lode riduce infatti in modo molto significativo la componente non spiegata del differenziale retributivo di genere (da 88% a 52%).

 

A fronte di questi risultati, non sorprende che Hunt (2010) trovi che il più importante fattore che spiega il tasso di abbandono delle laureate americane dell’area scientifica e ingegneristica sia proprio l’insoddisfazione per i livelli retributivi e le prospettive di carriera. Questo fattore spiega, da solo, circa il 60% del differenziale di genere nei tassi di uscita dall’ambito delle attività proprie di queste aree disciplinari, che è marcatamente più elevato rispetto ad altri settori in cui la presenza femminile è maggiore.

 

 

 

Riferimenti bibliografici

 

 

 

Biernat, M. and D. Kobrynowicz (1997), “Gender- and race-based standards of competence: Lower minimum standards but higher ability standards for devalued groups”, Journal of Personality and Social Psychology, 72, 544-557

 

Castagnetti, C. e L. Rosti (2010) “The gender pay gap among Italian university graduates in the early years after labour market entry” forthcoming in Quaderni del Dipartimento di Economia politica e metodi quantitativi # 214 - (09/10).

 

Correll, S. J., S. Benard and I. Paik (2007), “Getting a Job: Is There a. Motherhood Penalty?” American Journal of Sociology, 112, 5, 1297-1338.

 

Heilman, M. E. (2001). Description and prescription: How gender stereotypes prevent women's ascent up the organizational ladder. Journal of Social Issues, 57, 4, 657-674.

 

Hunt, J. (2010), “Why Do Women Leave Science and Engineering?”, NBER Working Paper 15853

 

Istat - Inserimento professionale dei laureati - Indagine 2007.

 

Lin. E. S. (2010),Gender wage gaps by college major in Taiwan: Empirical evidence from the 1997–2003 Manpower Utilization Survey”, Economics of Education Review, 29,1, 156-164.

 

Valian, V. (1998) Why So Slow? The Advancement of Women. Cambridge: MIT Press.

Tratto da www.ingenere.it