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Del sole, dell'acqua e dei Monti

19/11/2011

L'ambiente del nuovo governo e quello che c'è fuori. Riflessioni di programma, a partire dalla cronaca di due eventi paralleli: il debutto di Monti al senato, una discussione tra ambientalisti sul solare

Al senato, Mario Monti presentava il suo governo. Lo spread come primo problema. Almeno trenta volte ritornava la parola “crescita”, impiegata per lo più come sinonimo di aumento del Pil, necessario per ridurre in corrispondenza il debito, calcolato in percentuale. O forse si intendeva rendere omaggio al comando, della Bibbia e del papa, “crescete e moltiplicatevi”?

Nella stessa mattina di giovedì era in corso, in una dependance della camera dei deputati, la presentazione dell’ultimo libro di Hermann Scheer “Imperativo energetico”. In quel diverso contesto, nella franca discussione tra alcuni dei maggiori ambientalisti italiani, “crescita” non era certo la parola più utilizzata ma prevaleva qualche altra parola, più ecologica. Tra l’altro, non c’era accordo su una delle indicazioni pratiche contenute nel libro del “profeta laico” Scheer: quella di lasciar perdere il Desertec, il solare termodinamico, scelta energetica rinnovabile sulla quale si appuntano le maggiori speranze di Germania e Francia (e Italia). Essa consiste nell’usare il sole più furioso e gli spazi infiniti del deserto per produrre energia elettrica da trasmettere con un cavo in Europa, con una spesa colossale e un altrettanto enorme sovvertimento dell’autonomia, appena riconquistata (forse riconquistata) dai paesi che confinano a Nord con il Mediterraneo e sono immersi a Sud nel deserto del Sahara. Una questione come il Desertec,con tutte le implicazioni del caso merita una discussione senza diplomazie. Era del resto Scheer a insegnare che una scelta giusta doveva essere sostenuta fino in fondo, senza cercare compromessi di sorta.

Ognuno va alle riunioni cui è invitato, questo è un fatto: imbucarsi, sia pure idealmente, a quelle altrui, come volevano fare, in varie città italiane, i ragazzi dell’università, non è buona educazione. I rampolli della buona borghesia milanese, affezionati al professor Monti e a Passera non lo avrebbero fatto di certo; e neanche gli anziani ambientalisti, compagni di Scheer. Così nei luoghi del parlamento, a Roma, giovedì mattina, le discussioni sono state due. È vero altresì che nel dibattito-Scheer, nei pressi della camera, si sono toccati temi che al senato, nelle parole del neo presidente, sono mancati. Soprattutto due: le questioni ambientali e in particolare energetiche; e naturalmente le operazioni militari in Libia, paese titolare di un ricco deserto, attaccato da Francia & co per motivi francamente poco comprensibili, se si esclude l’uso del deserto stesso e del sole. Il presidente che ci ha ridato la speranza non ha di certo alcuna responsabilità sulle guerre dell’epoca precedente, ma una spiegazione, una promessa almeno, un non-lo-faremo-più ce lo avrebbe reso più simpatico. Tanto più che ci ha elargito un particolare, quello di aver svegliato in piena notte l’ignaro ammiraglio Giampaolo Di Paola che ispezionava truppe in Afghanistan. L’inutile accenno ha fatto presumere che ci volesse fornire un segnale della sua determinazione di prolungare le politiche militari e le alleanze del vecchio governo. Di Paola passa per essere un responsabile delle nostre scelte più militariste e costose, come quella di aver firmato da direttore degli armamenti il contratto con il Pentagono per l’acquisto plurimiliardario degli F-35. L’avere a bordo questo ammiraglio insieme all’ambasciatore a Washington stabilisce in modo inequivocabile la rotta della barchetta Italia.

Le questioni ambientali sono gravissime. La popolazione italiana, pur priva di altri strumenti, ha mostrato di rendersene conto bene, agendo con i mezzi che aveva a disposizione. Da qui lo straordinario successo del voto ai referendum su acqua e nucleare. Se il presidente Monti avesse speso una parola sui referendum del 13 giugno, sulla forma rinnovata della politica, sulla volontà popolare espressa con tanta chiarezza, anche dicendo: non sono d’accordo ma considero mio compito farla rispettare e applicarla, avrebbe conquistato molti altri consensi. Si può pensare che si sia distratto o piuttosto si deve ritenere che quei consensi non gli interessino? Che la partita, ritenuta di scarsa portata, sarà perciò lasciata tutta in mano al suo ministro per l’ambiente, subito scivolato in un pasticcio nucleare? La gravità ambientale è quella del riscaldamento globale e dei pericoli connessi. L’abilità del nuovo governo, sia pure incaricato per tempi brevi, dovrebbe essere quella di non perdere un minuto ma indicare al paese l’emergenza, dotando ogni persona delle informazioni necessarie e degli strumenti per affrontare il disastro. Questo è il senso della democrazia. Il clima deve essere affrontato come in Giappone ci si prepara per un terremoto, Fukushima a parte, naturalmente. Un sisma, un’alluvione, una frana: un disastro che prima o poi arriverà, anche se non si sa dove e quando.

Meno di un mese fa Genova, le Cinque Terre, la Lunigiana sono state inondate da fiumane incontenibili, però figlie dei nostri soprusi. Altre fiumane arriveranno, altre frane, questo almeno è sicuro, a meno che… Per parlare di tutto questo, di ciò che significa in termini di cose da fare, subito, di come mettere in sicurezza un territorio bello e terribile, per indicare un progetto condiviso, per legare il parlamento a una promessa comune, quella di ieri era la volta buona. Per capirlo non ci voleva un genio uscito dalla Bocconi, ma una persona di cuore.

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