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Elezioni, Europa e fine di un ciclo
Finita la lunga notte elettorale e digeriti i commenti di politici e giornalisti è possibile guardare ai risultati da un punto di vista diverso. Queste elezioni vanno viste, a mio parere, in un’ottica europea e in una prospettiva di lungo periodo. Cominciamo da questo secondo punto: a quali altre votazioni si possono paragonare quelle del 24-25 febbraio?
Fra il 1945 e oggi, il sistema politico italiano era stato modellato da sole due elezioni: quelle del 18 aprile 1948 e quelle del 27-28 marzo 1994. Nel 1948 si creò un sistema di “bipartitismo imperfetto” che mise al centro del sistema politico la Democrazia cristiana, nel 1994 si creò un nuovo assetto con al centro della scena il partito “personale” di Silvio Berlusconi (prima Forza Italia e poi il Pdl). Le elezioni dello scorso weekend mettono fine al bipolarismo post-1994 e fanno immaginare un futuro in cui i protagonisti politici saranno almeno tre (centrosinistra, centrodestra+Lega, Movimento 5 stelle) con la possibile aggiunta di Scelta civica, se dimostrerà di saper durare.
Le elezioni del 1948 e del 1994 avvennero in un clima di forte condizionamento internazionale: l’Italia, per gli accordi fra i vincitori della seconda guerra mondiale, “doveva” rimanere nel campo occidentale e quindi le elezioni “dovevano” essere vinte dal partito che in quel momento rappresentava il legame con gli Stati Uniti, la Democrazia cristiana. La guerra fredda faceva sentire le sue esigenze anche nel segreto dell’urna.
Nel 1994, questa camicia di forza era venuta meno: non solo nel 1989 era caduto il muro di Berlino ma, nel 1991, si era dissolta anche l’Unione Sovietica. Il risultato fu che le forze politiche che avevano goduto di una rendita di posizione per 46 anni, Dc e Psi, non erano più necessarie. E poiché le indagini della magistratura del 1992 avevano dimostrato la corruzione dilagante di democristiani e socialisti, gli elettori diedero il loro consenso a un nuovo soggetto politico, un partito personale che poteva presentarsi come vergine perché costruito nel giro di appena tre mesi, Forza Italia, e a un “sindacato territoriale” com’era la Lega Nord.
Le elezioni del 24-25 febbraio sanciscono la fine del ciclo politico 1994-2013, caratterizzato dall’alternanza fra centrosinistra e centrodestra (con prevalenza di quest’ultimo). Nel 2008, il Pdl aveva ottenuto il 37,3% dei voti e la Lega Nord l’8,3%, e in totale il 46,8% dei suffragi. Nel 2013, il centrodestra ha ottenuto il 29,18%, oltre 17,5 punti in meno; più di un terzo del suo elettorato ha scelto altri partiti, oppure l’astensione. A sua volta, la coalizione guidata dal Pd aveva ottenuto il 37,5% nel 2008, ottiene il 29,5% quest’anno: vince pur perdendo voti. Se, insieme, nel 2008, centrodestra e centrosinistra inglobavano il 84% dei suffragi (quattro votanti su cinque), oggi non raggiungono il 60%, cioè tre elettori su cinque.
Il bipolarismo artificioso creato dalle leggi elettorali post-1992 è oggi sostituito da una competizione a tre, o a quattro, che esige innanzitutto una nuova legge elettorale.
I risultati del 2013 e l’affermazione del partito di Grillo non sono però un fenomeno solo italiano. I commenti sul “populismo” o sul “comico che vince le elezioni” ignorano la dimensione europea di questo voto. L’Italia ha votato dopo Grecia, Francia e Spagna che sono andate alle urne l’anno scorso e, in tutti e tre i casi, i cittadini hanno fatto del loro meglio – nel quadro istituzionale disponibile - per protestare contro i governi in carica che avevano prima salvato le banche e poi accettato le ricette economiche imposte da Bruxelles. I socialisti spagnoli sono stati eliminati ma il Partido Popular che ha vinto le elezioni oggi è in crisi di consensi quanto lo era José Luis Zapatero alla fine del suo mandato. In Francia, l’abbraccio di Angela Merkel è stato mortale per Nicolas Sarkozy ma oggi il presidente socialista François Hollande è impopolare quanto il suo predecessore. In Grecia si è dovuto votare due volte nel giro di poco più di un mese (maggio-giugno 2012) e solo una legge elettorale che attribuisce ben 50 seggi su 300 al primo partito ha permesso al centrodestra di formare un governo, pur avendo raccolto appena il 29,6% dei voti (coincidenza, la stessa percentuale della coalizione Pd).
Il voto a Grillo, come quello a Marine Le Pen in Francia e quello al partito neonazista Alba Dorata in Grecia, è prima di tutto una protesta contro l’austerità imposta dalle istituzioni europee non solo ai paesi mediterranei ma anche alla Francia. Gli elettori hanno abbandonato i partiti che fino a ieri avevano governato ma anche quelli che promettevano di fare domani le stesse cose fatte fino a ieri: i risultati mediocri di Scelta civica e del Pd sono frutto di una campagna elettorale che in fondo è stata un referendum sul governo Monti. Gli elettori hanno risposto: “No, grazie”.
Ora il sistema politico italiano è terremotato e, in teoria, ci vorrà del tempo prima che si assesti su un nuovo equilibrio. Se però Pd e Pdl si sosterranno l’un l’altro, magari con la stampella di Monti, il processo sarà senza dubbio molto più rapido: nuove elezioni a breve termine e trionfo di chi rappresenta il nuovo ciclo politico, cioè il Movimento 5 stelle. In queste ore, benché non sia credente, Beppe Grillo sta probabilmente pregando nella cattedrale di San Lorenzo a Genova perché si faccia una “grande coalizione” degli altri partiti contro di lui. Il risultato, alle prossime elezioni, sarebbe il raddoppio dei suoi voti.