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Tempi di lavoro, indietro pianissimo
Nel corso di quindici anni, dal 1993 al 2007, le ore lavorate pro capite in Italia sono diminuite da 35,7 a 34,9 ore per settimana, con una riduzione media per anno di circa tre minuti e mezzo. Riduzione modestissima, in buona parte spiegata da una più ampia diffusione del part-time. Ne parla uno studio dell'Istat, “I tempi del lavoro”, che rielabora le serie storiche delle indagini sulle forze di lavoro, aggiungendovi approfondimenti derivati da altre fonti (indagini multiscopo sempre dell’Istat, confronti con altri paesi da Eurostat).
Il divario tra uomini e donne nelle ore medie lavorate, già consistente nel 1993 (38,4 gli uomini e 30,8 le donne, con una differenza di 7,6 ore) si è ulteriormente approfondito, raggiungendo nel 2007 le 8,3 ore: le ore degli uomini rimanevano quasi invariate (meno 0,2 ore), mentre quelle delle donne diminuivano in misura più sensibile (meno 0,9 ore) proprio per effetto della crescita del part-time. Part-time che rimane una specificità femminile, non solo in Italia, ma anche in Europa. Nell'UE27, nel 2009 esso rappresentava solo l'8,3% dell'occupazione maschile, contro il 31,5% di quella femminile (Eurofoundation “Part time work in Europe”, genn. 2011). Se quindi è giusto dire – come fa l'Istat - che l'Italia ha un'incidenza di part-time ancora relativamente bassa, bisogna però anche aggiungere che il divario uomo-donna riguarda un po' tutti i paesi, in misura maggiore o minore.
Anche il tempo pieno non è lo stesso per uomini e donne. Quello delle donne è un “tempo pieno corto” (33,9 ore), quello degli uomini è un tempo pieno lungo (39,2 ore), con una differenza di 5,2 ore alla settimana. Per di più, il tempo pieno lungo degli uomini viene ulteriormente allungato da una maggiore distanza fra casa e luogo di lavoro, e quindi da tempi di trasporto più lunghi (un’ora e tre minuti per gli uomini, contro 54 minuti per le donne). Tempi di trasporto che per tutti, uomini e donne, sono in Italia fra i più elevati d'Europa.
Part-time e “tempo pieno corto” variano nel ciclo di vita delle donne (v. tab. 1). Il tempo parziale raggiunge il massimo per le donne fra i 35 e i 44 anni (31,8% delle donne, circa 10 volte più degli uomini della stessa età). Anche la differenza fra i generi nelle ore lavorate dagli occupati a tempo pieno è più marcata nelle età dove si concentrano i maggiori carichi familiari.
Tab. 1 – Le ore lavorate in media dagli occupati a tempo pieno e l’incidenza del part-time per sesso in Italia, 2007
Ore lavorate dagli occupati a tempo pieno
|
|
Incidenza del part time (%)
|
|||||
|
maschi
|
femmine
|
differenza
|
maschi
|
femmine
|
differenza
|
|
15-24
|
38,5
|
37,4
|
1,1
|
|
11,1
|
30,7
|
19,6
|
25-34
|
39,5
|
34,3
|
5,2
|
|
5,2
|
26,1
|
20,9
|
35-44
|
39,5
|
33,8
|
5,7
|
|
3,5
|
31,8
|
28,3
|
45-54
|
38,9
|
33,5
|
5,4
|
|
2,8
|
22,9
|
20,1
|
55-64
|
38,5
|
32,0
|
6,5
|
|
6,4
|
19,5
|
13,1
|
65+
|
40,1
|
38,9
|
1,2
|
|
22,9
|
32,6
|
9,7
|
Totale
|
39,2
|
33,9
|
5,3
|
|
5,0
|
26,9
|
21,9
|
Ovviamente non tutte le donne sono uguali negli oneri familiari di cui si fanno carico. Le più condizionate sono le madri di bimbi piccoli. Se si spinge più a fondo l'analisi secondo l'età del figlio più piccolo, risulta che oltre il 40% delle mamme lavoratrici con figli da 3 a 5 anni lavorano part-time, e la situazione non si differenzia molto per quelle che hanno un figlio in età di scuola elementare. Si può prevedere che, con il taglio dei fondi statali e comunali per scuole e nidi, questo modo di conciliare (voluto o subito), sia destinato ad aumentare, almeno per chi potrà permetterselo.
Non dobbiamo pensare però che il part-time per le donne sia solo un modo di conciliare forzato dalla mancanza di servizi: su 100 donne che lavorano part-time, il 35,4% lo fa perché non ha trovato un lavoro a tempo pieno, mentre una quota maggiore (il 43%) lo fa per motivi familiari. Fra queste ultime, “l’83,4% dichiara che la scelta non è legata alla mancanza o all’inadeguatezza dei servizi di cura, lasciando supporre che si tratti di una scelta personale, maturata nella sfera familiare, di ridurre l’orario di lavoro per dedicare tempo alla cura dei figli, o anche in genere di bambini e/o di altre persone non autosufficienti” (Istat). Diverse priorità di vita, insomma.
Un ultimo accenno alle differenze con gli altri paesi europei. Nell’UE15 le ore lavorate pro capite passano da 38,4 ore nel 1993 a 36,7 nel 2007. La diminuzione dell’orario di lavoro in Europa è stata più marcata rispetto all’Italia. A questa diminuzione hanno contribuito soprattutto paesi, come la Francia e la Germania, in cui nel 1993 l’orario medio pro capite era più alto della media europea. L’Italia, che nel 1993 aveva un orario di lavoro vicino alla media europea, si ritrova invece nel 2007 ad avere un orario più alto di 1,3 ore. Tra i fattori che contribuiscono a determinare per l'Italia la persistenza di un orario più lungo, l’Istat richiama alcune caratteristiche “tradizionali” della nostra economia: la maggiore incidenza dei lavoratori autonomi, la minore diffusione del part-time e il maggior peso di piccole e medie imprese. Caratteristiche - tuttavia – che non sono più presenti adesso di quanto lo fossero nel 1993; e, per altri versi, anche nei settori più avanzati, in questi anni l’evoluzione del tempo di lavoro non si è differenziata molto rispetto a quelli tradizionali.