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Prendiamo sul serio il rischio di un insensato nucleare italiano

10/09/2009

Negli ambienti della sinistra e tra gli stessi ambientalisti c’è una sottovalutazione diffusa sulla traducibilità in azioni effettive degli annunci di reintroduzione del nucleare inanellati dal Governo Scajola-Berlusconi. Eppure si tratta di azioni scandite con una tempestività impressionante e talmente consequenziale da meritare molta maggiore preoccupazione e l’approntamento di una seria mobilitazione, che invece stenta a partire. In interventi precedenti e con il sostegno delle riflessioni di due esperti attenti come Roberto Meregalli e Pierattilio Tronconi (si veda www.marioagostinelli.it), ho già provato a delineare le ragioni politico-culturali per cui una produzione di energia militarizzata e celebrativa fino al gigantismo del modello centralizzato delle fonti fossili serva a rafforzare la narrazione di un governo d’ordine come quello attuale. Ho anche tentato di dimostrare come l’ arretratezza della politica economica e industriale dell’attuale governo italiano, sostenuto dalle lobbies per gli affari dominanti in Confindustria e contigue al centrodestra, non possa che guidare un fronte di Paesi che dalla Libia, all’Egitto e all’Europa dell’Est venga indotto a procrastinare il più avanti possibile il vecchio paradigma energetico fino all’esaurimento delle fonti non rinnovabili, straniandosi dai processi improntati al risparmio e alla rinnovabilità in corso nell’Europa più avanzata, nell’America di Obama e ormai nella stessa Cina. In cambio ne avrebbe l’appalto di grandi reattori da costruire e gestire con il concorso dei privati, il transito con pedaggio di gasdotti sul proprio suolo, la costruzione di rigassificatori nei propri porti e, soprattutto, joint ventures delle aziende monopoliste controllate dal Governo ( Enel, ENI, A2A) con i partners più assistiti e meno innovativi del settore energetico (Westinghouse e Areva) e con i progetti economici dei leaders di governo più screditati sul piano democratico (Gheddafi, Erdogan, Putin, Mubarak, etc.). E’ così effettivo il coacervo di interessi per un modello energetico senza discontinuità, come se non fossimo di fronte all’emergenza climatica e alla fine dell’era dei fossili, che in questi giorni circola nientemeno che la voce incredibile di impiantare una centrale nucleare al posto della Fiat di Termini Imerese!

 

Parliamo quindi del pericolo del ritorno del nucleare e della copertura fornita alla continuità irresponsabile di un modello energetico già oggi alla frutta, facendo della questione del nuovo paradigma naturale terreno finalmente di lotta politica, di alleanze programmatiche, di diritto democratico – anche qui! – alla corretta informazione. Ben sapendo che il conflitto tra atomo e sole sarà aspro e che è impossibile in situazione di crisi duratura una doppia allocazione di risorse – “reattori e pannelli” – dobbiamo respingere l’impostazione del decreto governativo approvato dal Consiglio dei Ministri di Giugno che aggiunge il nucleare alla lista di garanzia in vigore per l’acquisto dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, cui viene paradossalmente equiparato. Con la conseguente possibilità di partecipazione alle società della Cassa Depositi e Prestiti, che diventa così di fatto un finanziatore di ultima istanza del vecchio anziché del nuovo. E’ peraltro del tutto evidente che l’impiego di ingenti risorse private per finanziare la diffusione del nucleare porterebbe di fatto all’annullamento della possibilità di sostenere in modo adeguato il passaggio all’energia da fonti rinnovabili. Si tenga conto che già ora è in corso una ristrutturazione dell’ENEA e della SOGIN per prepararli a gestire lo spostamento di investimenti verso l’atomo e che il Governo ha già tagliato in questa Finanziaria i fondi ai progetti per il solare termodinamico. Sotto un altro punto di vista, l’espansione di fonti naturali è possibile solo se si favorisce una produzione locale diretta, senza trasporto, commisurata alla domanda locale: il ricorso cioè alle fonti rinnovabili è a gestione tipicamente territoriale e, se incentivato e diffuso, produrrebbe effetti straordinari sull’efficienza e la riduzione dei consumi: al contrario, se fosse messo fuori gioco da un eccesso di offerta energetica, come nel caso del piano Scajola (almeno 5 centrali Areva da 1600 MW integrate da reattori AP 1000 Westinghaus per investimenti di almeno 15 miliardi di euro) porterebbe all’impossibilità di un autogoverno democratico dell’offerta energetica. L’aspetto autoritario della scelta nucleare non può in nessun modo essere mascherato. Di conseguenza, non è certo un caso che il Governo abbia previsto una procedura di scelta e imposizione dei siti quanto mai accentrata, dispotica fino al controllo militare. Se non ci fosse accordo con gli Enti locali interessati e soprattutto con le Regioni, il Governo si riserverebbe il potere autoritativo di decidere comunque, stroncando così ogni resistenza popolare. Addirittura, il decreto invoglia il Ministero della Difesa a mettere a disposizione propri siti per insediare centrali, mentre Il CIPE viene designato come l’organo che impropriamente decide la validità delle proposte di insediamento degli impianti e, di conseguenza, diventa la sede istituzionale di decisione in vece delle assemblee rappresentative.

 

I COSTI DEL PIANO CENTRALI NUCLEARI: QUALCHE ESEMPIO

 

Vediamo ora di fare qualche conto su quel che costera’ il nucleare italiano, visto che la crisi sta colpendo la nostra economia e che l’insipienza unita alla presunzione di Tremonti lo inducono – come dice Galapagos – da una parte a “sparare cazzate” e dall’altra a farne pagare comunque le spese ai contribuenti.

 

OL3 (Olkiluoto, Finlandia) è un reattore ad acqua in pressione di nuovo tipo, con una potenza prevista di 1.600MW ed è il modello che Enel ed EDF intendono costruire in quattro esemplari in Italia. Al di là del primato tecnologico, il progetto Olkiluoto 3 ha attirato molte attenzioni per il metodo di finanziamento. Il modello societario in effetti bypassa il mercato attraverso una partnership tra produttori e grandi consumatori, che si sono impegnati a ritirare la futura produzione di corrente a prezzi ancorati ai costi dichiarati. Questo perché il costo di costruzione di una centrale nucleare è enorme e poiche’ molte sono le incertezze, risulta molto oneroso trovare i finanziamenti necessari. Il modello consortile finlandese ha consentito di ottenere interessi molto bassi, pari al 5%, coinvolgendo in prima persona aziende private grandi utilizzatrici finali (cementifici, cartiere).

 

L’opera ha sinora maturato tre anni di ritardo ed ora si spera di concluderla entro la fine del 2012. Ma non sara’ facile perche’ nel frattempo la societa’ costruttrice francese Areva (qui consorziata con Siemens) e’ ai ferri corti col committente finlandese (TVO). Il contratto iniziale prevedeva infatti un costo fisso per l’opera con gli sforamenti a carico del costruttore. Areva ovviamente oggi non gradisce la cosa e sostiene che i ritardi e i conseguenti aumenti di spesa sono stati causati da lungaggini nei processi autorizzativi da parte di TVO. Inutile raccontare le vicende degli ultimi due anni di un cantiere in cui lavorano giorno e notte 4.000 persone. Le ultime notizie sono quelle comunicate in Agosto da Anne Lauvergeon, CEO di Areva, che nel presentare i conti della societa’ ha annunciato che i profitti sono scesi del 79% anche a causa dell’impianto finlandese per cui sono stati accantonati 650 milioni di euro (si stima una perdita finale di 2,3 miliardi di euro!).

 

Lauvergeon ha annunciato che il costo dell’impianto ha raggiunto la cifra di 5,3 miliardi di euro (in origine se ne stimavano 3 di miliardi) ammettendo che non è possibile determinare il costo finale dell’impianto finlandese.

 

Per quanto riguarda i costi c’è poi il problema dello smaltimento delle scorie, tuttora materia di ricerca fondamentale: l’obiettivo finale è quello dello stoccaggio in formazioni geologiche appropriate, caratterizzate da bassissima permeabilità e situate in zone geologicamente stabili. Dopo il fallimento – con la vicenda di Carlsbad nel New Mexico – della prospettiva di poter utilizzare strutture rocciose saline, sono in fase di studio altri tipi di formazioni geologiche. A Carlsbad, infatti, nel corso dello scavo ci si è trovati in presenza di grandi quantità di acqua. E’ appena il caso di ricordare che di rocce saline si trattava anche nel caso del sito di Scanzano.

 

Le scorie a lunga vita e alta radioattività sono state destinate dagli USA a un grande deposito a Yucca Mountain, a 150 km da Las Vegas, nelle viscere di una montagna costituita dalle “ceneri” consolidate di un’eruzione vulcanica di milioni di anni fa. Le sale e le gallerie scavate nella montagna sono attraversate da una speciale rete ferroviaria che collega Yucca Mountain con le principali località in cui si trovano attualmente i depositi provvisori delle scorie radioattive. Il deposito avrebbe dovuto accogliere 70.000 tonnellate di rifiuti radioattivi prodotti anche per attività militari. La previsione di spesa per uno stoccaggio “sicuro e accettabile” era stata inferiore ai 3 miliardi di dollari, ma il buco aperto da 9 miliardi di dollari e le evidenze di rischio sismico hanno indotto il governo a sospendere l’attività. Le scorie per ora resteranno dove sono, togliendo ai sostenitori dell’energia atomica un riferimento ormai tradizionale su come fosse ormai risolto il problema delle scorie. Siamo ancora quindi alla ricerca fondamentale, ma i costi di quei progetti di ricerca sono così elevati che fanno da impedimento alla loro stessa realizzazione e si è dunque lontani dalla possibilità di indicare una tecnologia provata standard in base alla quale determinare la sua incidenza sul costo del kWh. E’ superfluo aggiungere che un impianto solare o eolico, a fine ciclo, lascerebbe residui che si possono smaltire in una normale discarica controllata.

 

Quanti poi hanno avanzato proiezioni di costo del kWh nucleare (per es. EIA/DOE: “Annual Energy Outlook 2004 and Projections to 2025”; MIT, 2003; ed altri), che tengono conto di tutti gli elementi sopra citati ed anche delle caratteristiche dei reattori di nuova concezione, pervengono comunque a stime dell’ordine dei 0,06-0,07 €/kWh, cui vanno aggiunte le sovvenzioni statali (oltre 0,10€/kWh) previste negli Stati Uniti anche dai provvedimenti presi nel 2005 dell’amministrazione Bush.

 

Stime dunque più elevate del costo del kWh a gas o a olio combustibile, ma anche di quello prodotto con il vento!

 

CAPITOLO PREZZO DELL’ENERGIA ELETTRICA IN ITALIA

 

Quanto al costo del kWh elettrico prodotto in Italia, secondo Governo e Confindustria “gravemente penalizzato dalla mancata scelta nucleare”, vale la pena rilevare il carattere ideologico dell’affermazione, ad esempio smentita dall’Indagine conoscitiva del 2006 della Commissione Attività produttive della Camera (Presid. Tabacci), da cui apprendemmo che, a partire dal settembre del 2005, per quanto riguarda l’Italia,” il prezzo medio è sensibilmente minore rispetto a quello delle altre borse, con la sola eccezione della Spagna.” Il problema vero è il prezzo cui il kWh viene venduto, sul quale giocano i meccanismi di compravendita del mercato e le furbizie per farlo apprezzare al massimo a vantaggio del profitto delle società e, inevitabilmente, a danno dell’utente. Invece si ripete che in Italia l’energia elettrica costa cara (il 30% in piu’) e si tenta di convincere il normale cittadino che la sua bolletta della luce costera’ meno col nucleare. Bene, va ripetuto che l’energia elettrica per i consumi medio-bassi (fascia in cui rientra la maggior parte delle famiglie italiane) è sempre stata conveniente rispetto al resto d’Europa. Anche se negli ultimi anni questo vantaggio si sta assottigliando continuiamo a spendere meno della media europea (vedi Altro consumo Luglio 2008). Va anche detto che sul costo del Kwh, la produzione incide per poco piu’ del 60%, mentre il resto è diviso su varie voci, fra cui la trasmissione, tasse e oneri vari tipo cip6 e oneri del vecchio nucleare. Per questi ultimi si sappia che continueremo per anni a pagare la dismissione delle vecchie centrali e il costo del futuro deposito per le scorie (stimato in 1,5 miliardi di euro) finira’ in bolletta. Pertanto, proprio a causa del nucleare il costo della bolletta non calera’: questa e’ una delle poche certezze per il futuro.

 

CONSUMI DI ACQUA

 

Un aspetto critico, anche questo sempre taciuto, è la grande quantità di acqua richiesta da una centrale nucleare per il raffreddamento di alcune sue parti e dal processo di produzione dell’uranio. Si tratta di un problema emerso oggi anche per la sensibilità creata nel mondo dal movimento del “contratto mondiale” per l’acqua. Per evitare rischi di incidente catastrofico l’acqua ai reattori non può mai essere sospesa, a meno di inefficienti, costose e lente procedure di spegnimento della fissione. Anche in condizioni di normalità, le elevatissime temperature raggiunte nel nocciolo richiedono grande asporto di calore e consumi di acqua nettamente maggiori rispetto alle centrali alimentate da combustibili fossili. Si tenga presente che, dati i bassi rendimenti di conversione, in una centrale termoelettrica tradizionale occorre asportare mediante fluidi di raffreddamento (per lo più acqua) circa il 60% della potenza termica ed il 67% circa nel caso di quelle nucleari, dove la circolazione è assai più veloce e le portate più elevate. Dove le filiere atomiche hanno subito una attenzione continua, uno sviluppo aggiornato e una diffusione massiccia, come in Francia, la crisi idraulica si è già manifestata.

 

Lo sanno infatti bene i francesi che durante le ondate di calore estive sono spesso costretti a far rallentare la produzione di elettricità in alcuni reattori, a causa della ridotta portata dei fiumi da cui si attinge l’acqua per il raffreddamento. Con il paradosso di dover importare elettricità a prezzi maggiorati proprio in periodi di picco della domanda dovuti all’uso massiccio dei condizionatori. L’estate peggiore da questo punto di vista fu quella calda e asciutta del 2003, con EDF sanzionata perché scaricava acqua a temperature troppo elevate, danneggiando gli ecosistemi fluviali, e 17 reattori su 58 che hanno dovuto funzionare in maniera ridotta. In questo Paese il 40% di tutta l’acqua fresca consumata va a raffreddare i reattori nucleari. Cosa succederebbe da noi sull’asta del Po?

 

A seguito del cambiamento climatico in corso non avremmo abbastanza acqua dolce per raffreddare un numero consistente di centrali e fornire sufficienti irrigazioni per l’agricoltura e l’alimentazione.

 

LA COMPETENZA ITALIANA NEL SETTORE NUCLEARE

 

Un cenno alla competenza italiana nel campo nucleare. La stampa sottolinea che “siamo pronti a partire”. L’Ad di Enel Fulvio Conti ovviamente non ha dubbi al riguardo. Si ripete che Enel ha centrali atomiche in Spagna e Slovacchia, ma va detto che sono tipologie di centrali diverse dagli EPR,che si dovrebbero costruire da noi (tecnologia statunitense in Spagna e sovietica in Slovacchia), e che il personale e’ di Slovenske Elektrarne e di Endesa, che non si trasferira’ mai in Italia. In Francia a Flamaville, dove si sta costruendo uno dei due EPR oggi in costruzione, l’Enel (partner con una quota del 12,5%) parla di significativa presenza di personale italiano nel cantiere: in realta’ il contratto prevede la presenza di 65 persone in cantiere, ora siamo a 50 e di queste 50 solo 5 sono effettivamente attive (vedi anche intervista a Philippe Leigne’, ingegnere EDF su Handelsblatt, giornale tedesco, 8 luglio 2009). Non sono un pò poche 5 persone in un cantiere di 2000 addetti? Soprattutto per pensare di poter tirare le file di almeno quattro nuovi cantieri analoghi in Italia a cui se ne aggiungerebbero quelli dell’accordo Ansaldo-Westinghaus?

 

IL NUCLEARE E I TEMPI PER REALIZZARE UNA ALTERNATIVA

 

Vorrei partire, per citare un esempio eccellente di disinformazione, il commento di Emma Marcegaglia sul Sole 24Ore del 10 luglio, ovvero che il ritorno all’atomo elettrico sia un’opzione importante anche per raggiungere gli obiettivi di Kyoto. Ebbene, il Protocollo di Kyoto, ratificato dall’Unione Europea il 4 marzo 2002, stabilisce che l’Italia nel periodo 2008-2012 riduca le proprie emissioni di CO2 in atmosfera nella misura del 6,5% rispetto ai livelli riscontrati nel 1990. La posa della prima pietra della prima centrale nucleare italiana si svolgera’, secondo gli obiettivi di Scajola, nel 2013: pertanto, di quale Kyoto sta parlando la presidente degli industriali italiani? Se poi si tiene conto che la costruzione di una centrale dura almeno cinque anni e che occorrono nove anni di funzionamento per pareggiare la CO2 emessa per l’edificazione, siamo davvero nel regno delle balle. L’unica certezza è che nel frattempo i contribuenti italiani pagheranno per il non rientro nei parametri di Kyoto 3,6 milioni di euro al giorno, ovvero 42 euro al secondo!

 

Per quanto riguarda invece le tecnologie per le fonti rinnovabili e il risparmio, si tratta di tecnologie in gran parte mature, anche dal punto di vista dei costi. La loro adozione suggerirà anche sfide agli architetti e agli urbanisti, ma anche ai progettisti di veicoli o, più in generale, di sistemi elettronici di automazione e controllo e così via, per adeguare le caratteristiche del sistema utente alle caratteristiche delle nuove fonti di energia. In ogni caso, il passaggio da un sistema energetico basato su fonti concentrate sul territorio, come le grandi centrali e su imponenti reti di distribuzione per le quali il controllo è rigidamente unificato, ad un sistema energetico basato su fonti diffuse sul territorio potrà avere una valenza importante anche dal punto di vista della democratizzazione dell’energia. Con le energie naturali il bilancio energetico e gli impatti ambientali acquistano trasparenza sul territorio e la gestione del bene comune energia, da trasferire alle future generazioni, diventa fonte di partecipazione, occasione di studio e ricerca, garanzia di occupazione e di lavoro stabile e qualificato.

 

Ma si tratta di un cambiamento profondo dal punto di vista ingegneristico, finanziario, amministrativo, organizzativo, nonché della stessa politica economica e industriale.

 

LE DIVERSE SITUAZIONI REGIONALI

 

Alcuni settori dell’impianto produttivo del Paese e alcuni territori (la Sicilia e in parte il Veneto per dichiarazione dei loro Presidenti; la stessa Lombardia per i silenzi e le complicità manifestate dalle forze che la governano) si considerano meglio predisposti alla prospettiva nucleare, tradizionale nella impostazione e nella remunerazione dei poteri rispetto ad un progetto profondamente alternativo come quello del risparmio e delle energie rinnovabili, che potrebbe rispondere sì ad una domanda sociale, ma prefigura il rischio di un mercato innovativo. Richiede dunque di impegnarsi in ricerca e sviluppo e sollecita dal sistema delle imprese maggiore reattività e responsabilità sociale. Si tratta di una politica industriale articolata e fortemente innovativa, che però il Governo o la Confindustria non hanno all’ordine del giorno, non avendo compreso che le sfide del cambiamento climatico non si affrontano senza l’accelerazione del cambiamento tecnologico. Così il nostro “gap” potrà solo aumentare, rendendoci debitori nei confronti di altri paesi per ricerca, brevetti, tecnologie e prodotti. Chi non avrà investito in R&S e nelle nuove tecnologie, si troverà, con ogni probabilità, ad incentivare, pagandone i relativi costi, come già succede oggi, l’energia da fonti rinnovabili e allo stesso tempo ad importare la relativa tecnologia dai paesi leader. Nonché a pagare il duplice conto, piuttosto salato, del mancato rispetto degli impegni assunti a livello internazionale per la riduzione della CO2 e dell’inadempienza rispetto all’obiettivo vincolante del 20% di fonti rinnovabili. Ma, nel quadro della realtà attuale della informazione e della cultura dominante in Confindustria, la scelta nucleare consente a Berlusconi di estorcere allo Stato un fiume di denaro di finanziamenti pubblici con cui realizzare comitati di esperti e aggregazioni di imprese e, magari, accordi internazionali, per far comunque partire l’iniziativa nucleare. Altra è invece la prospettiva per la quale ci sentiamo impegnati. Essa risponde alla necessità, per garantire la nostra stessa sopravvivenza, di prodotti innovativi a basso impatto ambientale e ad elevata “desiderabilità sociale”, per mantenere viva una prospettiva democratica di sviluppo della civiltà.