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Esodati per ideologia
Gli "esodati" non sono un risultato fortuito, ma il frutto, tecnicamente ovvio, di una scelta consapevole, ad alto contenuto ideologico e politico, voluta dal governo Monti
La questione degli “esodati” non è solo drammatica in sé (anche se non è seria, come avrebbe detto Ennio Flaiano), ma è anche altamente esemplificativa degli effetti perversi e ipocriti di continuare ad affrontare la crisi in base alla stessa visione economico-sociale che l’ha determinata. Come è noto, il primo provvedimento preso dall’attuale governo “tecnico” è stato il cosiddetto decreto “Salva Italia” fondato essenzialmente sugli interventi in materia previdenziale, settore prescelto per fare cassa a beneficio del bilancio pubblico. Eppure da tempo viene ripetuto (sta diventando avvilente farlo) che dalle statistiche ufficiali si ricava che il saldo tra le entrate contributive del sistema pensionistico pubblico e le prestazioni nette da esso fornite ai pensionati è diventato attivo fin dal 1998 e che da ultimo è arrivato ad essere di 25,7 miliardi di euro, pari all’1,7% del Pil (ogni anno la previdenza pubblica sostiene da sola una “finanziaria”!).
L’aspetto più significativo della cosiddetta riforma Fornero è stato il considerevole e rapido aumento dell’età di pensionamento che per molte persone arriva anche a sei anni. L’innalzamento del limite della vita lavorativa viene spesso considerato come una “inevitabile” conseguenza dell’aumento della vita media intervenuto negli ultimi decenni; e sicuramente la valenza nel medio-lungo periodo di questi aspetti demografici va considerata. Ma c’è un approccio più “scientifico” sostenuto da autorevoli esponenti della teoria economica dominante – quella che ispira le scelte del Governo Monti. Partendo dalla centralità delle condizioni dell’offerta, essi richiamano l’attenzione sulla circostanza che i paesi dove è maggiore il tasso di occupazione – come la Svezia, spesso citata a riguardo dalla professoressa Fornero, - sono anche quelli con la più elevata età di pensionamento, cosicché imporre l’allungamento dell’età lavorativa aumenterebbe l’offerta di lavoro e la capacità produttiva del sistema produttivo. Per dirla in poche parole, questo “ ragionamento” ha la stessa valenza “scientifica” di quello che ritenesse l’elevato tasso di occupazione svedese dipendente dalla innegabile presenza in quel paese di molte persone alte, bionde e con gli occhi azzurri!
Non c’è bisogno di essere dei vetero-keynesiani per rendersi conto che la crisi esplosa nel 2007-2008 (ma incubata nei precedenti tre decenni) limita ulteriormente la capacità dei sistemi produttivi di creare posti di lavoro e che se si impone ai lavoratori anziani di rimanere in attività è immediatamente conseguente la riduzione dei posti di lavoro per i giovani che vorrebbero iniziare la loro vita lavorativa. Non è un caso che il contenimento dei pensionamenti determinata dalle riforme pensionistiche del 2011 sia molto simile all’aumento della disoccupazione giovanile nello stesso periodo. In tal modo, oltre a rendere tutti più frustrati - e ad alimentare la favola perversa che le contraddizioni operino tra padri e figli e non in base alle classi, alle famiglie, ai territori, ai settori e al genere d’appartenenza - aumenta anche l’età media e il costo degli occupati mentre si riduce la capacità innovativa e la produttività del sistema.
Proprio a causa della crisi in atto, è da tempo noto che le imprese, essendo alle prese con un forte calo della domanda e ritenendo di dover ridurre i loro dipendenti (ciascuna spinta dalla logica aziendale a ridurre i propri costi, ma tutte contribuendo a ridurre l’occupazione, il reddito e la domanda pagante complessivi di cui ciascuna avrebbe bisogno), cercano di liberarsi in primo luogo di quelli più anziani, anche contando sulla possibilità dei prepensionamenti. E, paradossalmente, anche nel decreto” Salva Italia” si evocava la possibilità di prepensionamenti; ma contemporaneamente, con molta più convinzione ideologica e concretezza operativa, si dava il via alla “produzione” su scala industriale ….. degli “esodati”; i quali, dunque, non sono un risultato fortuito ma il frutto, tecnicamente ovvio, di una scelta ad alto contenuto ideologico e politico. E quando è stato inevitabile notare che “il re è nudo” (non era difficile fare i conti, anzi era istituzionalmente e tecnicamente imbarazzante non farli) la reazione è stata e continua ad essere che NO, non si deve dire che gli esodati ci sono (infatti dal ministero sono stati ribattezzati “salvaguardati”) e quale sia il loro numero vero, altrimenti … “piange il re” … anzi, ” la regina”.
Questo articolo è uscito anche su "il manifesto" del 14 giugno
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