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E il conflitto d'interessi?

23/02/2012

Sono passati quasi dieci anni dalla dichiarazione shock diLuciano Violante alla Camera dei Deputati: “L’onorevole Berlusconi sa per certo, perché gli è stata data la garanzia piena, che non sarebbero state toccate le televisioni con il cambio di governo … Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto di interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni (televisive, n.d.r.), avessimo aumentato, durante il centrosinistra, il fatturato di Mediaset di 25 volte”.Tutto si può rimproverare al Pd tranne che la mancanza di coerenza. In questi dieci anni il partito non ha fatto nulla per affrontare il conflitto di interessi che, anzi, è completamente scomparso da ogni discorso programmatico.
Con l’avvento dell’era Monti poi il conflitto di interessi è diventato un tabù. Come se con le dimissioni di Berlusconi il problema fosse superato.

Del resto, gli opinionisti di centrodestra ci propinano da anni il mantra secondo cui “la televisione non sposta un voto”: gli italiani sono informati sui guai giudiziari, i difetti politici e le debolezze personali del premier, ma continuano a votarlo perché sentono una profonda affinità con lui. Sarà vero?

In un mio recente studio empirico (“Who trusts Berlusconi? An econometric analysis of the role of television in the political arena”, pubblicato nel numero di febbraio di Kyklos), mi sono chiesto se, senza il suo impero mediatico, l’ex premier avrebbe potuto dominare la scena politica italiana per un ventennio.

La domanda sembra retorica, ma una analisi empirica rigorosa su questo tema non era mai stata compiuta nelle scienze sociali. Nell’ambito di una ricerca finanziata dall’European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises (Euricse), nel marzo del 2011 (quando la caduta del governo Berlusconi era ancora lontana) è stato somministrato un questionario volto a valutare opinioni e stile di vita di un campione rappresentativo della popolazione della Provincia di Trento, area da tempo solidamente governata dal centrosinistra.

Secondo le mie stime sui dati, i cittadini che si fidano della tv hanno il 16,4 per cento di probabilità in più di fidarsi di Berlusconi. Nell’ambito di una competizione elettorale, quando la pressione mediatica dell’impero berlusconiano sugli elettori raggiunge puntualmente il suo apice, tale percentuale può facilmente trasformarsi nello spostamento di milioni di voti. Soprattutto quelli degli indecisi, che stabiliscono se e per chi votare sulla base di valutazioni emotive ed estemporanee derivanti, per lo più, dalla visione dei telegiornali.

È così che si vincono le elezioni, e l’ex premier lo sa benissimo. Ed è per questo che, secondo le indiscrezioni, prima di dimettersi ha ancora una volta chiesto e ottenuto, stavolta dal governo Monti, piena garanzia sulla tutela del suo impero televisivo. Ed è per lo stesso motivo che i governi di centrodestra non hanno mai fatto nulla per migliorare la diffusione di Internet e ridimensionare il digital divide.

L’educazione è un altro fattore determinante: l’aumento di un grado nel livello di istruzione degli intervistati corrisponde a una probabilità di fidarsi di Berlusconi mediamente più bassa di circa 3 punti percentuali. Nel caso dei laureati, la percentuale scende del 17 per cento (16 per la laurea triennale). Anche la tolleranza verso gli immigrati è correlata negativamente con la fiducia nell’ex premier. Le persone che sono indifferenti o favorevoli ad avere un immigrato extracomunitario come vicino di casa hanno l’otto per cento di probabilità in meno di fidarsi di Berlusconi. Liberi professionisti e agricoltori sono le categorie professionali con una maggiore probabilità di fidarsi dell’ex premier. L’analisi tiene conto dei cosiddetti problemi di “endogeneità”, cioè del rischio di scambiare impropriamente delle correlazioni spurie per nessi causali (si veda il paper per ulteriori dettagli sulla strategia econometrica adottata).

Sul piano politico, questi risultati mostrano quanto sia ancora importante una seria assunzione di responsabilità da parte del centrosinistra sul conflitto di interessi.
Un regime è democratico quando la selezione della sua leadership si basa sul consenso dei cittadini, che deve potersi formare “liberamente”, senza manipolazioni da parte di chi possiede il potere di controllare i media. Finché Berlusconi potrà manovrare il consenso di una parte tanto rilevante della popolazione, lo stato di emergenza in cui da tempo versa la nostra democrazia non potrà dirsi superato.