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Donne e pensioni, allargare lo sguardo

03/07/2009

La complessità dei lavori e del nostro welfare, la necessità di un approccio di genere e di proposte innovative. Idee utili da un recente convegno

Nel corso di un incontro tenuto a Milano il 29 giugno- altri se ne faranno nei mesi prossimi, in diverse città- si è discusso di un tema politicamente “caldo” ma che non sviene affrontato in una prospettiva sufficientemente articolta. Il titolo è “Età pensionabile e nuovo welfare: ripensamenti e proposte” e si presentavano analisi e proposte (formulate da Marina Piazza, Anna M.Ponzellini e Anna Soru). Al dibattito hanno partecipato giornaliste, esponenti sindacali, gli esperti di diritto del lavoro Donata Gottardi (anche parlamentare europea) e Pietro Ichino. Mi sembra utile avviare una riflessione che non vuole entrare negli aspetti tecnici della proposta (presentata come “volutamente semplice”, come l’ inizio di un possible percorso) ma contribuire a portare lo sguardo sui diversi problemi posti alla nostra attenzione: dunque lavoro e pensioni, istituzioni pubbliche e “welfare privato”, il lavoro di cura.
Il “riferimento istituzionale” è alla recente sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha richiesto all’Italia di equiparare a quella degli uomini l’età minima di pensionamento delle donne occupate nella pubblica amministrazione. Ci si è interrogati sul sistema pensionistico italano e sulle possibilità e difficoltà di intervenire secondo questa linea “europea”. Mi limito ad accennare ad alcuni dei temi che la proposta mette sul tappeto. In piena luce viene posto il “carico” (e le discriminazioni nel mercato del lavoro) che l’essere madri comporta: si propone una “indennità di maternità”, con modalità precise, per tutte le madri e si insiste su un ampliamento della normative (e di una “cultura”, che in Italia ancora non si dà) dei “congedi parentali”. Fortemente innovativa è la proposta di introdurre nel sistema pensionistico dei “crediti di cura” (da mettere in relazione con le condizioni diversificate delle lavoratrici rispetto alle modalità del pensionamento).
Si è portata la discussione su incentivi volti a promuovere modalità a favore delle lavoratrici madri da parte delle imprese e su forme diversificate di part-time -per le donne ma non solo- (sui modelli di altri paesi europei).
In particolare si è tenuto conto delle peculiarità della “condizione femminile” mettendo in luce il carico del lavoro di cura che ne caratterizza la fase della vita adulta- appunto, quella che è per molte anche la fase (nel contesto del Nord Italia a cui si fa riferimento in particolare) della presenza sul mercato del lavoro. Qui una prima osservazione. Nelle analisi e proposte -pure molto articolate- si affrontano dati e problemi con riferimento, naturalmente, alla società italiana nel suo complesso. Una volta di più va sottolineato come sia tutt’altro che ovvio riuscire a conoscere, e a intervenire, in una situazione che è molto diversificata e male descritta dalle statistiche (parlando di politiche del lavoro, e non è di poca rilevanza, sfugge del tutto il mondo del “sommerso”).
L’ aspetto fortemente innovativo nella prospettiva che viene delineata riguarda, -come è detto nel titolo- il riferimento al “nuovo welfare”. Si affronta non solo la questione di come i sistemi di welfare in generale, e quello italiano in particolare (anche con riferimento al Libro Bianco del ministro Sacconi) non siano più definibili secondo i modelli del passato, E neppure si può realisticamente pensare che a quei modelli si ritornerà. Dicendo “nuovo welfare“ ci si riferisce all’intreccio di meccanismi tra sfera pubblica e sfera privata e a come, a livello della nostra vita quotidiana, anche nelle aspettative e pratiche relative al “benessere”, il concetto di lavoro di cura va ripensato. Si è insistito, nel dibattito, su come questa dimensione non abbia posto nell’impostazione delle politiche di welfare. C’è una rimozione, è stato detto. Nel discorso sul welfare non possiamo ignorare Ie modalità nuove, il contributo e il ruolo (in nessun modo compresi nel termine tradizionale di “lavoro domestico”) delle donne adulte nella società in cui oggi viviamo. Molteplici i compiti da svolgere, in una varietà di contesti: le burocrazie pubbliche e la sfera dei consumi, le pratiche relative alla salute; c’è il mondo della scuola e quello del tempo libero di bambini e adolescenti; ci sono i problemi dell’invecchiamento, ecc. Per molte,anche, il ruolo lavorativo: e l’obbiettivo ( proclamato anche dal trattato di Lisbona)è che aumentino i numeri di quante hanno un’occupazione.
Il termine multitasking riassume bene questo complesso lavorare. E va anche aggiunta la dimensione dell’ “apprendimento continuo”: nei diversi ambiti organizzare, via via riprogrammare, “mettere insieme”, inserire aspetti nuovi legati alle tante trasformazioni in atto. Bisogna “imparare”.
Il fatto che questi compiti sono quasi del tutto a carico dalle donne è stato rilevato (statistiche “di genere” relative al tempo dedicato al lavoro di cura vengono ormai da anni prodotte dell’Istat, in particolare nelle indagini “multiscopo”): meno si mettono in luce le modalità che sono richieste, come sia sempre più complesso organizzarle e coordinarle, e dunque il dato del continuo aggiornamento (anche rispetto all’uso delle nuove tecnologie, e più in generale ai “nuovi saperi”). Esperienze che sono diverse e in continuo cambiamento se si vive in una grande città o in una media o piccola, in quale parte d’Italia, nei diversi ambiti amministrativi locali (e, naturalmente, contano le risorse di cui si dispone). E diverse, certo, le difficoltà e le strategie se si è “immigrate”.
Qui un’altra osservazione su come sia difficile tener conto del quadro nella sua complessità: nel corso del lungo, impegnato dibattito non si è parlato delle condizioni di coloro che vivono nella società italiana come “immigrati”, o “stranieri”, o “irregolari”, ecc., E nemmeno si è tenuto conto dell’enorme contributo delle “badanti” al nostro sistema di cura, certo fondamentale per qualunque definizione del “ nuovo welfare” . Bisognerà, in riflessioni ed elaborazioni che si svilupperanno, inserire nello scenario complesso della nostra società anche elementi che sono rimasti ai margini.
Partire da questi dibattiti, e allargare lo sguardo, è un’occasione che dovrebbe interessare tutti. Cambieranno in futuro, per donne e per uomini, le modalità del lavorare e del vivere. Su questo “futuro” dobbiamo interrogarci: con impegno.
Cominciare a parlarne è quello che si è fatto in questa occasione.

Per maggiori dettagli sulla proposta http://www.actainrete.com







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