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Giorgio Airaudo: un new deal per l'Italia

13/08/2013

Gli interventi sul reddito e quelli sul lavoro devono procedere di pari passo. Si potrebbe sperimentare un'alternanza tra orario di lavoro e salario di cittadinanza ma evitando le storture della "staffetta generazionale". Intervista al deputato di Sel

Sul dibattito aperto da Sbilanciamoci.info sui temi del reddito minimo, abbiamo posto alcune domande a Giorgio Airaudo, ex sindacalista della Fiom, oggi deputato per Sinistra Ecologia e Libertà.

Più crescita per rilanciare l'occupazione. Questo lo slogan più diffuso al momento: ma, a parte il fatto che si dice ma non si fa, pensa che sia vero? O ritiene che il problema occupazionale abbia anche caratteri strutturali non eliminabili da una ripresa del ciclo economico?

Sono d'accordo con Luciano Gallino. Abbiamo posti di lavoro che non torneranno più, distrutti non solo dalla crisi ma anche dalla rivoluzione tecnologica, in particolare quella elettronica e informatica che muta il rapporto tra esseri umani e tempo anche in termini di produzione. Bisogna discutere di cosa è sviluppo oggi quindi anche dei limiti del pianeta, della specie addirittura. Sono certo che lo sviluppo non garantisce più la crescita dei posti di lavoro e quindi è necessario ridefinire concettualmente i termini di crescita. D'altro canto parlare solo di decrescita oggi non è sufficiente. Non ci sono scorciatoie, servono altri concetti, altri termini e pensieri per definire la crescita ma anche quella che oggi viene chiamata decrescita.

Di fronte alla consapevolezza del carattere strutturale della disoccupazione, ci si divide spesso tra interventi per il lavoro di cittadinanza e reddito di cittadinanza: quale ritiene sia, tra le due, la strada da intraprendere?

Si tratta di due interventi che non si possono contrapporre, perchè senza redistribuzione del lavoro è difficile immaginare un reddito di cittadinanza. È sbagliato confinare il reddito all'assistenza o alla solidarietà, o addirittura contrapporlo agli ammortizzatori sociali che invece hanno un'altra funzione, e senza una discussione su come si redistribuisce il lavoro che c'è, anche rispetto ai cambiamenti di cui parlavo prima, diventa difficile fare uscire il reddito dalla gabbia ideologica che gli è stata costruita. Per la sinistra questa potrebbe essere l'occasione per liberare alcune parole, dargli più forza. I due termini comunque vanno tenuti insieme e sul lavoro bisogna riaprire la battaglia sulla riduzione dell'orario.

Qual è il suo giudizio sulla proposta di legge di iniziativa popolare sul reddito minimo garantito consegnata il 15 aprile alla Camera? Quale probabilità ha di aprire una via per una diversa politica della tutela del reddito in Italia?

I rapporti di forza di questo parlamento non sono favorevoli a una discussione di questo tipo. La proposta ha il pregio di sostenere alcuni argomenti, noi la sosterremo, ma non vedo le condizioni politiche per l'apertura di una discussione di questo tipo. Gli unici margini finora sono stati quelli di legare la cittadinanza all'assistenza dei più deboli ma così siamo al ruolo caritatevole dello Stato, mentre bisognerebbe ripartire dalla ricostruzione di un campo sociale.

Quali sarebbero le fasce da tutelare: i soli soggetti che hanno un rapporto di lavoro o anche altri soggetti, e quali?

È evidente che non ci si può limitare a chi ha il lavoro ma non si può neppure saltare il tema della disponibilità al lavoro.

Chiedere interventi per un “lavoro di cittadinanza” significa porre come obiettivo di politica economica la creazione di nuovi posti di lavoro da parte, direttamente o indirettamente, dell’amministrazione pubblica per ottenere un “piena e buona occupazione”. Quale è la sua valutazione?

Penso che questa grande crisi ci darebbe un'occasione su questo terreno. Avremmo bisogno di un new deal italiano, a partire per esempio dalla rimessa a norma del patrimonio pubblico scolastico, per ridisegnare un nuovo rapporto tra pubblico e privato con l'obiettivo di creare nuovi lavori e ridefinire il campo dei lavori di pubblica utilità, senza però ripetere gli errori degli Lsu (i lavori socialmente utili ndr). Nella crisi un'occasione ci sarebbe e tra l'altro vorrebbe dire anche sollevare il tema di un new deal europeo. Significherebbe anche riprendere un tema antico, quello dello Stato, del pubblico, come datore di lavoro.

Chiedere un reddito minimo garantito, soprattutto se universale, significa fissare di fatto il salario minimo al quale il soggetto beneficiario è disposto a prestare il suo lavoro. Non costituirebbe un fattore che argina i processi di precarizzazione dei rapporti di lavoro?

Sì, ma a condizione che non si ponga il reddito minimo garantito in alternativa ai contratti nazionali. Il reddito di cittadinanza non è sostitutivo alla contrattazione.

Cosa pensa di proposte che intendono connettere la redistribuzione del reddito nella forma di una garanzia universale e una redistribuzione del lavoro attraverso l’espansione di forme contrattuali a tempo ridotto? Pensa che siano irrealistiche in quanto richiedono una troppo profonda ristrutturazione di vari ambiti economici e sociali: dal sistema fiscale, alla struttura del bilancio pubblico, dalle relazioni sindacali all’organizzazione produttiva?

Il tema è questo e va affrontato, e proprio su questo, nella nostra attività parlamentare, noi costruiremo una proposta, facendo tesoro delle analisi di Luciano Gallino degli ultimi anni. Un'alternanza tra orario di lavoro e salario di cittadinanza può essere sperimentata ma senza arrivare alla cosiddetta staffetta generazionale che non funziona ed è solo un modo per penalizzare sia i vecchi che i giovani.

Pensa che politiche di questo tipo siano nel lungo periodo sostenibili, o che richiedano una riformulazione della politica fiscale per il loro finanziamento?

Abbiamo bisogno di un nuovo patto fiscale che non può essere costruito solo sulla riduzione delle tasse. Le risorse ci sono, e vanno trovate in un fisco progressivo in cui tutti pagano le tasse.

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Commenti

TRENTA ORE SETTIMANALI SENZA DIMINUZIONE DELLA RETRIBUZIONE.

Gent.mo Saru, ... paradigma lavorista ...che significa...?? Noi in questo caso, non condividendo... scusate... la mancia-carità del ..."reddito" di cittadinanza, e ...il "fuori rotta" ci agganciamo attivamente alla cassetta degli attrezzi dei classici: « Quanto più cresce la forza produttiva del lavoro, tanto più può essere abbreviata la giornata lavorativa e quanto più può essere abbreviata la giornata lavorativa tanto più potrà crescere l’intensità del lavoro. Da un punto di vista sociale la produttività del lavoro cresce anche con la sua economia. Quest’ultima comprende non soltanto il risparmio nei mezzi di produzione, ma l’esclusione di ogni lavoro senza utilità. Mentre il modo di produzione capitalistico impone risparmio in ogni azienda individuale, il suo anarchico sistema della concorrenza determina lo sperpero più smisurato dei mezzi di produzione sociali e delle forze-1avoro sociali oltre a un numero stragrande di funzioni attualmente indispensabili, ma in sè e per sè superflue.
Date l’intensità e la forza produttiva del lavoro, la parte della giornata lavorativa sociale necessaria per la produzione materiale sarà tanto più breve, e la parte di tempo conquistata per la libera attività mentale e sociale degli individui sarà quindi tanto maggiore, quanto più il lavoro sarà distribuito proporzionalmente su tutti i membri della società capaci di lavorare, e quanto meno uno strato della società potrà allontanare da sè la necessità naturale del lavoro e addossarla ad un altro strato. Il limite assoluto dell’abbreviamento della giornata lavorativa è sotto questo aspetto l’obbligo generale del lavoro. Nella società capitalistica si produce tempo libero per una classe mediante la trasformazione in tempo di lavoro di tutto il tempo di vita delle masse. » (1867) Karl Marx - Das Kapital. Kritik des politischen Oekonomie (1° libro cap XV ) Editori Riuniti, Roma, 1973, pp 244 – 245.

Reddito Universale come rovesciamento del paradigma lavorista

per capire meglio,
docu-film tedesco sul reddito universale:

http://www.youtube.com/watch?v=ExRs75isitw

attivare i sottotitoli in italiano

Lavorare meno per lavorare tutt* per lavorare meno .....

E' stato detto tante volte nei decenni passati..... inoltre è dal 1969 .....quando i metalmeccanici nella Penisola italiana CONQUISTARONO le 40 ore settimanali e £100.000 di aumento (...fonte Emilio Molinari) ...che la settimana lavorativa è bloccata al numero 40..... come se ci fosse un blocco mentale nella testa di una parte significativa delle moltitudini del lavoro subordinato (...s'intende senza distinzione.... tra chi vende ora la propria forza-lavoro e chi attualmente non più senza badare come, a chi la vende... se migrante o stanziale ...) quando riprenderemo la via maestra non solo indicata dai classici contenuti nella "cassetta degli attrezzi", della settimana lavorativa legale generalizzata ...oggi ragionevolmente... a trenta ore settimanali senza diminuzione della retribuzione ????

Distribuzione del lavoro

Anni fa, in occasione di un convegno a Torino, ho consegnato ad Airaudo una proposta relativa ad una distribuzione del lavoro che aumenta la competitività e di conseguenza la torta da distribuire. Non ho avuto risposta. Riporto qui di seguito la proposta che è stata elaborata nel 2002 in ambito Federmanager di Torino. La proposta ha dei paralleli con la proposta Ichino, ma va oltre.


Torino 28/3/2002
Lo scontro in atto sul superamento dell’articolo 18 focalizza la problematica della flessibilità, oggi regolata da un coacervo di strumenti, risultato di innumerevoli interazioni. L’approccio fin qui attuato sta provocando uno scontro sociale. Il sindacato dei dirigenti propone di affrontare il problema cambiando il paradigma; si propone di passare:

DALLA TUTELA DEL POSTO DI LAVORO
AL LAVORO COME DIRITTO

Per affrontare in modo organico un tema come questo, che richiede di analizzare altre problematiche come: la competitività del paese, la coesione sociale, la coerenza dell’ambiente esterno, è probabilmente opportuno formulare una:

PROPOSTA DI UN MODELLO DI RELAZIONI INDUSTRIALI
PER L’ITALIA DEL PRIMO DECENNIO DEL SECOLO

Per progettare qualsiasi cosa si deve prima definire cosa si vuole ottenere (specifiche), questo vale anche per la progettazione di un nuovo modello di relazioni industriali.
Si propone anche un percorso:
1. definizione di quali sono gli attori (EU, stato, sindacati, imprese)
2. definizione delle specifiche del modello di relazioni industriali che si vuole realizzare (è più facile concordare le specifiche che il come realizzarle)
3. definire le modalità di realizzazione delle specifiche che trovano le parti su posizioni abbastanza comuni
4. completare il modello




Il nuovo modello di relazioni industriali deve garantire:
1. Una elevata competitività delle imprese a livello internazionale, in modo da realizzare elevati risultati economici che permettano di distribuire di più sia ai lavoratori che alle imprese
2. La massimizzazione occupazione
3. Una buona coesione sociale
4. Una buona qualità del lavoro
5. Un buon funzionamento del sistema sia in caso di congiuntura favorevole che di congiuntura sfavorevole
6. Una chiara definizione dei ruoli e delle competenze: EU, stato, sindacati, imprese
7. Il superamento della coesistenza, sul nostro territorio, di sistemi di relazioni industriali basati su regole differenti
8. La possibilità di soddisfare le esigenze a livello: regionale, locale, di impresa

Vediamo ora una ipotesi relativa ad un modello di relazioni industriali e come questo risponderebbe alle specifiche poste.

1) Per determinare una elevata competitività delle imprese a livello internazionale, in modo da realizzare elevati risultati economici che permettano di distribuire di più sia ai lavoratori che alle imprese, è necessario:
o Superare la logica del conflitto, concordando le condizioni che possano fare evolvere verso la partnership. La contrapposizione che distrugge la ricchezza non è nell’interesse ne dei lavoratori ne delle imprese, ma è la situazione odierna, determinata da una reciproca mancanza di fiducia che ha profonde ragione storiche. Nel definire il nuovo modello di relazioni industriali, si deve porre come presupposto di base che le parti (imprese/lavoratori) fanno i propri interessi; la soluzione è possibile definendo un modello nel quale le parti pur agendo solo in base alla logica di massimizzazione dei propri benefici, non solo non si danneggino a vicenda, ma costruiscano insieme la competitività dell’azienda. E’ possibile! Non c’è uno schema unico (vedi caso G.B. e Germania). Molte esperienze in EU dimostrano che la competitività si può costruire insieme. Queste esperienze si possono ulteriormente migliorare. Per risolvere alla base il problema ci deve essere una precisa volontà delle parti oggi contrapposte, volontà che discende solo dalla convinzione, che superare la logica del conflitto sia il percorso vincente per tutte le parti.
o Superare la logica della tutela del posto di lavoro, definendo la tutela del diritto al lavoro ( equivale a dire soddisfare pienamente la domanda di lavoro). E’ questo un diritto costituzionale mai realizzato. Per trasformare le dichiarazioni di principio in uno scenario che possa garantire il diritto, è necessario portare la disoccupazione ad un certo livello ( es. inferiore al 4%) equamente distribuito su tutto il territorio nazionale. Questo obbiettivo può essere raggiunto in tempi brevi distribuendo il lavoro che c’è, attraverso tre azioni:
A) L’incentivazione del part-time . B) Il superamento degli straordinari . C) La definizione di un orario annuale massimo. - Il part-time nei paesi nordici interessa circa il 20% dei lavoratori, in Italia non raggiunge il 2%. Una forte incentivazione del part-time, con una opportuna riduzione degli oneri di impresa, determinerebbe da sola , nel medio periodo, un significativo aumento dell’ occupazione. Il part-time può essere vissuto anche in modo nuovo: potrebbe essere una formula apprezzata per il sostegno all’invecchiamento attivo ( potrebbe essere anche un utile incentivo per il proseguimento del lavoro, oltre l’età della pensione di vecchiaia) e per una introduzione al lavoro di giovani universitari: gli studenti lavoratori potrebbero essere uno degli strumenti di integrazione dell’Università con il mondo delle imprese e permetterebbe di far frequentare l’Università anche a chi oggi non ne ha la capacità economica . - Lo straordinario ammonta al 3-5 % delle ore lavorate (come conseguenza di una serie di regole distorcenti); flessibilizzando le ore di lavoro annuali in quantità e disponibilità oraria (flessibilità che dovrebbe essere definita da ogni azienda nell’ambito di specifiche regole), ed aumentando decisamente la tassazione degli straordinari (ad es. triplicandola), questi potrebbero essere fortemente ridotti, anche riducendo gli attuali controlli. E’ importante segnalare che part-time e flessibilizzazione degli orari richiedono una evoluzione della organizzazione aziendale, fattore questo che non va sottovalutato. - La definizione di un orario annuale massimo; questa definizione dovrebbe essere effettuata dalle singole regioni/aree territoriali, in funzione della specifica situazione, in modo tale da determinare una disoccupazione inferiore al 4%, che equivale in pratica alla piena occupazione. Le retribuzioni dovrebbero comportare il pagamento delle sole ore lavorate. Questo intervento comporterebbe una riduzione sensibile degli stipendi nelle regioni con alti tassi di disoccupazione, anche se la ricchezza complessivamente distribuita non si riduce, anzi dovrebbe salire per la maggiore competitività. La nuova situazione malgrado gli stipendi più bassi determinerebbe maggior benessere nelle famiglie in cui si determina un maggior numero di occupati, mentre nei casi di reddito unico al di sotto di una certa soglia, sarebbe necessario intervenire per assicurare il mantenimento del reddito non riducendo l’orario di lavoro. La massimizzazione dell’occupazione attraverso le 3 azioni suesposte, può permettere di raggiungere accordi sulla piena flessibilità in uscita per tutti. Le singole regioni/aree territoriali, in funzione della specifica situazione dovrebbero definire oltre all’orario massimo annuale, anche un orario minimo annuale oltre il quale le aziende in crisi possano licenziare. Le aziende in crisi, prima di raggiungere la soglia minima di orario annuo, potrebbero attivare azioni di outplacement efficaci (dato il basso livello di disoccupazione comunque determinato dai meccanismi esposti). Questo meccanismo ridurrebbe i casi di licenziamento, ed in caso di licenziamento, il lavoratore , perso un posto ne troverebbe un altro, in quanto il livello di disoccupazione sarebbe mantenuto basso dal sistema. E’ certo che questo tipo di tutela del diritto al lavoro richiede di affrontare il problema della mobilità, ed in particolare il costo della variazione dell’abitazione, nel caso questa sia determinata da una variazione del posto di lavoro.
Il modello descritto determina:
• la massima flessibilità per le imprese
• la tutela del diritto al lavoro
• l’aumento della possibilità, per i lavoratori, di cercare il lavoro a loro più adatto, il che va a vantaggio anche delle imprese e della competitività paese.
• l'allungamento, a livello volontario, dopo una soglia determinata, l'età della pensione, in funzione della richiesta del mercato, anche utilizzando il part-time

o Mettere tutti i dipendenti in condizione di operare al massimo livello della conoscenza posseduto dall’azienda, conoscenza messa a disposizione attraverso sistemi avanzati di esplicitazione . E’ una specifica disciplina , fondamentale per rendere disponibile in modo efficace ed efficiente il miglior Know-How. aziendale. Questa disciplina dovrebbe essere materia di formazione nelle scuole di ogni grado.
o Mettere a disposizione delle imprese e delle scuole di ogni grado, sistemi avanzati per attuare un processo di gestione della conoscenza, che assicuri durante tutto l’arco della vita dei lavoratori, le competenze adeguate per gestire i nuovi processi e le nuove tecnologie
o Definire per ogni azienda quali sono, tra le conoscenze necessarie, quelle precompetitive di base e quelle che determinano la competitività. Le prime dovrebbero essere rese disponibili dalle Università competenti garantendone un livello allineato al più alto livello mondiale / EU. Le Università dovrebbero poi sviluppare corsi di applicazione di tali conoscenze, in modo che gli studenti escano dall’Università preparati in tal senso.
o Definire processi di innovazione che facilitino la definizione dei prodotti / servizi innovativi esplicitando l’output in modo da renderlo immediatamente utilizzabile da parte di chi deve poi applicare l’innovazione.

2) La massimizzazione dell’occupazione, è immediatamente realizzabile con lo schema suesposto

3) Una buona coesione sociale discende da: un diffuso convincimento che la contrapposizione distrugge la ricchezza, che la partnership porta buoni frutti a tutti. Costruire una base di fiducia reciproca è un lungo percorso da costruire con i fatti, anche se le parole sono un presupposto necessario. Il nuovo modello di relazioni industriali può essere determinante per tracciare il percorso di costruzione di una fiducia reciproca tra le parti (es. definire ad alto livello linee guida che riducano la contrapposizione ai livelli più bassi, indicando come distribuire la ricchezza generata, definendo regole che determinino trasparenza, ecc.)


4) Una buona qualità del lavoro deriva da:
• Un rapporto di lavoro a tempo indeterminato
• Uno spirito di corpo aziendale (possibile solo con un rapporto a tempo indeterminato e con motivazione al lavoro determinata da fattori che vadano oltre la retribuzione, es. clima)
• Un lavoro reso sempre creativo e partecipativo con il coinvolgimento nella definizione dei metodi di lavoro che ognuno applica ( è parte del processo di gestione della conoscenza)
• Dallo spirito di partnership
Il modello proposto determina/favorisce le condizioni esposte

5) un buon funzionamento del sistema, sia in caso di congiuntura favorevole che sfavorevole, è determinato dalla massimizzazione dell’ occupazione realizzata secondo lo schema suesposto, in quanto:
• minimizza i licenziamenti; le aziende potranno rimanere competitive senza licenziare (riducendo l’orario), mantenendo il patrimonio umano di conoscenze, che renderà poi più agevole cogliere la ripresa e salvaguardare lo spirito di corpo dell’impresa, fattore importante per la competitività
• in caso di licenziamento, il lavoratore trova in breve un’altra occupazione dato il basso livello di disoccupazione che viene comunque assicurato
• nel caso che la congiuntura sfavorevole riguardi una od un limitato numero di aziende, ci sarebbe una naturale migrazione di lavoratori verso quelle che offrono la possibilità di orario/stipendio maggiori.


6) Una chiara definizione dei ruoli e delle competenze: EU, stato, sindacati, imprese, è definibile solo con un chiaro accordo tra tutte le parti succitate. In linea di massima l’EU e lo stato a livello nazionale, dovrebbero concordare più linee guida ed obiettivi, che leggi cogenti, queste linee guida dovrebbero essere formulate per lasciare ai livelli inferiori spazi regolamentati in modo tale da ridurre la contrapposizione e favorire la partnership. Le Regioni dovrebbero applicare le linee guida indicate ai livelli superiori, definendo quanto è utile alla specifica realtà regionale (es. orario annuale massimo e minimo), lasciando spazi a livello imprese, perché siano colte le specifiche opportunità.

7) Il superamento della coesistenza, sul nostro territorio, di sistemi di relazioni industriali basati su regole differenti consegue al fatto che una piena occupazione ed una flessibilità in uscita come sopra definite, cancellando le attuali distorsioni (es. uso non corretto dei contratti a tempo determinato, del lavoro interinale, ecc.) permetterebbe di definire un sistema di relazioni industriali che consideri il “contratto a tempo indeterminato” l’asse portante e permetterebbe di unificare la normativa che regola il pubblico ed il privato.

8)La possibilità di soddisfare le esigenze a livello regionale, locale di impresa deve discendere da decisioni a livello EU/nazionale, che impostino i rapporti tra i vari livelli, in modo che siano lasciati ai livelli inferiori, spazi determinati.

“Il lavoro è vita, senza quello esiste solo paura e sicurezza”
John Lennon