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La manovra che taglia il futuro

15/07/2008

 

 
 

 

 

Con la presentazione del Dpef e la pubblicazione del decreto legge “Robin tax” abbiamo un quadro completo di quello che il governo intende fare sia a breve che nell’arco della legislatura. E’ opportuno partire da quest’ultimo aspetto. Il governo conferma l’impegno preso da Prodi e Padoa-Schioppa a realizzare il pareggio del bilancio pubblico per il 2011; per la verità il Dpef prevede in questo anno ancora un piccolissimo deficit (0,1% sul Pil) ma che diviene un piccolissimo avanzo (sempre 0,1%) nel 2013, ultimo anno della legislatura. Insomma, tre anni di bilancio in pareggio; sulla sensatezza di questo obiettivo di politica fiscale si potrebbe discutere a lungo, arrivando ad una conclusione negativa; ma non vale la pena di farlo ora; prendiamo atto che due governi di segno opposto hanno sottoscritto questo impegno.

 

 

 

L’attenzione va spostata sul come realizzare l’obiettivo; il Dpef, secondo tradizione, presenta un quadro “tendenziale” e poi uno “programmatico”; nel tendenziale si descrivono gli andamenti a legislazione vigente, cioè senza interventi normativi, senza rinnovi contrattuali e via dicendo. Nella tabella I abbiamo (in quota sul Pil) la spesa totale del settore pubblico e quella al netto degli interessi nel confronto tra il 2013 ed oggi; la spesa primaria scende di poco più di un punto, mentre la pressione fiscale diminuisce di solo 0,2%. Il deficit quindi tenderebbe ad assestarsi sull’1,8%.

 

 

 

Tabella I: scenario tendenziale

 

 

 

 

 

Anni

 

Spesa totale in % sul Pil

 

Spesa primaria in % sul Pil

 

Pressione fiscale in %

 

Altre entrate in %

 

2008

 

49,26

 

44,23

 

42,8

 

4,13

 

2013

 

48,12

 

42,98

 

42,6

 

3,74

Nella Tabella II riporto i tassi di crescita complessivi nei cinque anni per i principali comparti di spesa e di entrate, confrontati con il tasso di crescita del Pil nominale (cioè crescita reale + inflazione, la prima costituisce solo il 37%, mentre la seconda il 63%); come si vede tre voci crescono più del Pil: gli interessi passivi (purtroppo) e le prestazioni sociali (welfare + sanità), i consumi intermedi. Le retribuzione ai lavoratori pubblici, le spese in conto capitale e un insieme eterogeneo di altre voci crescono nettamente meno del Pil. Per quanto riguarda le entrate solo le dirette crescono più del Pil, e la principale imposta diretta è l’Irpef, che è progressiva e quindi tende a crescere di più; è superfluo ricordare che i quattro quinti dell’imponibile Irpef è costituito dai redditi dei lavoratori dipendenti e pensionati.

Tabella II: composizione del tendenziale

 

 

 

 

Spesa pubblica

 

lavoro dipendente

 

Consumi intermedi

 

prestazioni sociali

 

Altre spese

 

spese in conto capitale

 

Interessi passivi

 

Pil nominale

 

Variazione 2008-2013

 

6,99%

 

17,98%

 

18,33%

 

8,88%

 

7,60%

 

19,56%

 

 

 

 

 

17,00%

 

 

 

 

 

 

Entrate

 

dirette

 

Indirette

 

contributi sociali

 

altre

 

Variazione 2008-2013

 

19,28%

 

14,54%

 

15,10%

 

12,03%

 

Veniamo ora al bilancio programmatico, dove vi sono tutti gli interventi volti alla realizzazione dell’obiettivo principale di pareggio del bilancio.

 

 

 

Tabella III: scenario programmatico

 

differenze assolute e in % rispetto al tendenziale

 

 

 

 

 

Variazioni 2008-2013

 

Lavoro dipendente

 

consumi intermedi

 

prestazioni sociali

 

Altre spese

 

Spese in conto capitale

 

Interessi passivi

 

Entrate

 

Totali

 

Valori assoluti (milioni di euro)

 

+1.142

 

-11.849

 

+309

 

-2.870

 

-11.155

 

+4.776

 

 

 

 

 

 

 

+6.426

 

In % della spesa o delle entrate

 

+0,61%

 

-7,89%

 

+0,94%

 

-4,51%

 

-16,29%

 

+5,01%

 

 

 

 

 

 

 

+0,74%

 

 

 

L’intervento del governo si propone di ridurre di oltre un punto la spesa primaria, portandola al 41,67%, (al 46,69% quella totale), mentre la pressione fiscale sale al 42,9% (+0,3). Praticamente la pressione fiscale rimane invariata nel quinquennio; questa è una vera e propria sorpresa, dato il martellamento elettorale che le forze al governo hanno fatto sulle troppe tasse di Prodi. Per quanto riguarda la spesa primaria, tra tendenziale e programmatico la riduzione è di due punti e mezzo; come ha notato il più acuto giornalista del Sole 24 Ore, Fabrizio Galimberti, si tratta di una specie di nemesi storica, perché sono proprio i punti in più del governo Berlusconi 2001-2006.

 

 

 

Come si ottiene questo risultato? Per oltre un punto il calo è già nel tendenziale, ed è dovuto essenzialmente alla spesa per le retribuzioni pubbliche e alle spese in conto capitale; a questo si aggiungono i tagli per 23 miliardi dei consumi intermedi e (di nuovo) delle spese in conto capitale. Ora per quanto riguarda la spesa per i dipendenti pubblici, una crescita del 7% può significare che il numero rimane invariato e la remunerazione media cresce con l’inflazione (programmata), oppure che la remunerazione cresce con il Pil nominale, e che i dipendenti diminuiscono di circa 300.000 unità; “vaste programme”, avrebbe detto il generale De Gaulle; programma “ambizioso” ha detto Draghi, suggerendo anche una riduzione della pressione fiscale ed un aumento della qualità dei servizi pubblici. Come è noto l’Italia non soffre affatto di un eccessivo numero di dipendenti pubblici, nel complesso.

 

 

 

Per quanto riguarda poi gli acquisti di beni e servizi intermedi e le spese in conto capitale, si tratta di un ammontare di circa 200 miliardi, che per i due terzi circa sono effettuati dagli enti sub-centrali. Sui consumi intermedi un risparmio di 12 miliardi si può anche riuscire ad ottenere, se si ha la forza di vincere resistenze, interessi e gruppi di potere distribuiti su tutto il territorio nazionale, ma più a sud che a nord. Ma per quanto riguarda le spese in conto capitale, una riduzione della spesa in valore assoluto significa solo che le già carenti infrastrutture del paese peggioreranno ancora; non è un caso che dalla Confindustria siano venute (flebili) lamentele proprio su questo punto (ed, anche, ovviamente, sulla pressione fiscale).

 

 

 

La mia opinione è che nel giro di due anni i conti del Dpef saranno saltati; tra l’altro la previsione di crescita economica per il 2008 è di 0,6 punti, che salgono (!) a 0,9 nel 2009, e non è neppure detto che queste grame cifre si realizzino. Anche perché la manovra del governo è completamente sbagliata. I tre miliardi dell’Ici sono risorse sprecate, perché indirizzate prevalentemente ai redditieri medio-alti; la manovra da fare era quella sulle detrazioni dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, unita a qualche misura a favore degli incapienti, in modo da sostenere il potere di acquisto delle classi più duramente colpite dall’inflazione, così come oggi si caratterizza. Anche la detassazione degli straordinari è sbagliata (e non solo da questo punto di vista), ma neppure la detassazione della tredicesima proposta da Epifani è corretta, rispetto all’obiettivo immediato, perché consiste in una deduzione percentuale rispetto al reddito, e quindi si distribuisce più a favore dei redditi alti che di quelli bassi.

 

 

 

Rimarrebbe qualcosa da dire sulla “Robin tax”, ma un commento adeguato porterebbe via uno spazio eccessivo; si può dire che il novello Robin prende i soldi da petrolieri e banche, questi li prendono ai cittadini; per chiudere il triangolo i cittadini dovrebbero riprenderseli da Robin.