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I danni postumi del governo Monti

22/03/2013

Gas e petrolio, il governo tecnico continua a far danni, anche in ordinaria amministrazione. I casi del rigassificatore di Gioia Tauro e della raffineria galleggiante in Abruzzo

Il governo tecnico di Monti continua a fare dei danni, anche da dimissionario, anche questa dovrebbe essere una riflessione da tenere in conto in questo complicato dopo elezioni. Da ultimo segnaliamo due fatti significativi: il via libera al mega rigassificatore di Gioia Tauro in Calabria (con una capacità di 12 miliardi di metri cubi anno) e ad una piattaforma petrolifera che comprende una raffineria galleggiante, di fronte al futuro parco nazionale della costa teatina in Abruzzo.

Due progetti fortemente osteggiati dalle popolazioni locali – da ultimo a Gioia Tauro la manifestazione che ha bloccato la riunione del Comitato portuale – che, solo grazie alle modifiche dell’ultimo “decreto sviluppo”, sono stati rimessi in pista.

Nel caso di Gioia Tauro, cancellando le prescrizioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici che per ben due volte aveva dichiarato il progetto non conforme, visti gli impatti ambientali e la collocazione in una delle maggiori aree a rischio sismico, e superando la mancanza delle procedure di Via e di Vas. Il progetto è della Lng MedGas e della Fin Gas composta da Iride e Sorgenia della famiglia De Benedetti.

Per quanto riguarda l’Abruzzo, riaprendo la procedura autorizzativa, dopo lo stop del ministero dell’ambiente nel 2010, del progetto presentato dalla società Medoilgas Italia, del gruppo inglese Mediterranean Oil & Gas.

Entrambi questi progetti, ma ve ne sono altri in discussione, dovrebbero rientrare necessariamente in un disegno complessivo per una strategia energetica, che invece non esiste. Sulla bozza di Sen (Strategia energetica nazionale), che il governo tecnico ha presentato nell’ottobre scorso, non è stata neppure avviata la discussione parlamentare e nella consultazione pubblica aperta molte sono state le contestazioni alle scelte di fondo. Ma il governo, e le strutture Ministeriali, hanno continuato ad operare, ed operano, come se quella fosse la strategia approvata. Infatti, proprio l’idea di fare dell’Italia l’hub del gas, di cui i rigassificatori sono una parte significativa, e la ripresa delle trivellazioni per la ricerca degli idrocarburi nelle nostre coste, sono i tratti più significativi della Sen e i due progetti citati sono esattamente conformi.

A questo va aggiunto il disegno di legge, approvato dal Consiglio dei ministri il 13 febbraio sulla ratifica dell’accordo Albania-Grecia-Italia del 13 febbraio, relativo al gasdotto Trans Adriatic Pipeline (Tap), lungo circa 800 chilometri che dovrebbe portare dall’Azerbaigian 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Tra gli azionisti della Tap ci sono Egl e E.On Ruhrgas già presenti in Italia con impianti di produzione energetica a gas.

Va da sé che la strada di puntare ancora sulle fonti fossili, è in alternativa allo sviluppo delle fonti rinnovabili, ed infatti ci sono stati i provvedimenti, come il V conto energia sul fotovoltaico, che ha in buona parte bloccato la filiera delle rinnovabili nel nostro paese, cancellando o mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro.

La filosofia della Sen è vecchia e sbagliata, “insostenibile”, non solo per gli impatti ambientali e di sicurezza, ma anche per quelli strettamente economici: siamo sicuri che l’Europa comprerebbe questo gas? Peraltro in una situazione nella quale ogni paese ha la propria strategia di approvvigionamento, e calano drasticamente i consumi da fonti fossili.

Non escludiamo in via di principio che si possa realizzare un metanodotto o un rigassificatore, ma serve un piano complessivo che oggi non c’è, va verificata la reale necessità (oggi i rigassificatori esistenti sono sottoutilizzati), occorre siano realizzati con massimo di efficienza energetica (recupero calore e freddo), siano collocati in zone sicure e certamente non sismiche.

Inoltre, a proposito di politiche industriali, rischia di essere subalterna agli interessi di multinazionali di altri paesi. Per citare un episodio, probabilmente secondario, ci ha colpito la recente presentazione del libro “Le tecnologie delle fonti rinnovabili di energia”, pubblicato dal Sole 24 Ore in collaborazione con Enea e E.On, curato dal sub-commissario dell’Enea e dal direttore Energie rinnovabili di Nis Gazprom; nulla da dire sull’argomento e, riteniamo, sui contenuti, ma con il grande sviluppo, e presenza di eccellenze, del settore delle rinnovabili in Italia, abbiamo bisogno di appoggiarsi a multinazionali straniere?

Per tornare alle grandi opere che la Sen ipotizza, comprendiamo come, in questa situazione di crisi, dal versante del lavoro e dei sindacati, vi sia qualcuno tentato a guardare solo all’occupazione indotta dai cantieri di un rigassificatore o di una piattaforma petrolifera. Obiettiamo che con quelle risorse si può sostenere la strategia energetica del futuro, fondata sul serio sulle fonti rinnovabili, base per un altro modello produttivo e di sviluppo, che conferirebbe competitività al sistema produttivo e svilupperebbe di gran lunga molta più occupazione qualificata nel nostro paese.

Di queste cose in campagna elettorale, salvo qualche eccezione, i partiti più tradizionali non hanno parlato, mentre il M5S ha agitato almeno i titoli di alcune questioni.

E oggi? Negli 8 punti di Bersani c’è lo sviluppo delle smart grid, che certamente è poco; gli eletti del M5S, oltre a mettere l’accento sui costi della vecchia politica, intenderanno assumersi delle responsabilità o lasceranno che Monti continui a fare danni ben più grandi?

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