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Crisi e cose da fare subito

26/05/2010

Ridurre la spesa pubblica senza ridurre i servizi e le protezioni sociali - tanto è più necessari in tempi di crisi - è il compito che spetta ad ogni governo europeo. E’ bene ricordarlo a chi intende usare la crisi come felice occasione per dare un colpo al welfare e ai pubblici servizi, privatizzando l’acqua, i trasporti, le aziende comunali.

 

Lo spartiacque tra le due posizioni è netta e compito di tutte le opposizioni è renderla ancora più netta.

 

L’Italia è il paese che perfino in periodo fascista, grazie a uomini come Beneduce e Donato Menichella fronteggiò la crisi del 1929 ampliando la sfera pubblica in modo tale - vedi IRI - da non sottrarla tuttavia al giudizio del mercato. E’ bene ricordarlo nel momento in cui l’Italia, che nel 1936 fa seppe decidere, grazie agli stessi uomini (mentre altri ci gettavano nel folle periodo della guerra all’Etiopia e dell’autarchia) la divisione tra banche di credito e banche d’affari, assiste, inerte e incapace, alla adozione da parte di Obama esattamente di quella lontana misura al fine di dare un colpo alla speculazione finanziaria e alla cosciente subordinazione ad essa di quasi tutta l’imprenditoria italiana. Persino le proposte della Merkel per mettere al bando alcuni tipi di operazioni finanziarie appaiono a taluni supporters del governo misure troppo di sinistra. E ciò dopo che i subprimes hanno provocato ben due crisi - quella del ‘98 e quella attuale e nell’esatto momento in cui si chiedono sacrifici a tutti gli “altri” italiani.

 

Senza cominciare ad adottare misure per limitare il dominio della finanza, imporre regole con la volontà di farle rispettare, riportare al comando del processo produttivo la domanda e non l’offerta dei capitalisti, il taglio di 24 miliardi di euro rischia di essere solo una dolorosa misura, non inutile, ma certo di corto respiro.

 

Anche le misure urgenti che comportano in ogni caso sacrifici - e qui torniamo allo spartiacque - possono essere usata in modi diversi. Come occasione per dare un colpo all’intervento pubblico o come un esame di coscienza unito ad un salto etico e tecnologico dell’apparato statale.

 

Le misure proposte dal governo, che saranno esaminate con più dettagli nei prossimi giorni, anticipano l’idea di uno Stato più snello e produttivo e, nel caso del taglio degli alti stipendi di managers pubblici, assumono anche un valore moralizzatore. Ma in primo luogo appaiono come una gelata improvvisa dopo le tante e irresponsabili dichiarazioni circa la già iniziata uscita dalla crisi e, in secondo luogo sono ancora prive di un preciso impegno assunto di fronte al Paese circa la via che sarà seguita e sulle politiche che saranno adottate per contrastare in primo luogo la disoccupazione, che i tagli alla spesa pubblica rischiano di aggravare, e che è il prezzo con cui gli strati più deboli stanno duramente pagando per la crisi.

 

Alcuni tagli della spesa sono condivisibili ma insieme ad essi va detto con chiarezza quali sono gli obiettivi cui un bilancio ridotto darà la precedenza e che cosa esso garantirà in termini di servizi necessari ai cittadini.

 

Farò alcuni esempi. Il primo riguarda l’utilizzazione dell’apparato pubblico, con settori necessari che vanno scomparendo (polizia urbana nelle strade) e settori non necessari che sono andati gonfiandosi (dalle segreterie dei ministri a quelle dei ridondanti sottosegretari e nonché dei parlamentari con galloni vari ed assessori). L’apparato ha lacune drammatiche. Manca per esempio personale informatico utilizzato come tale. L’ultimo studente usa computer e altri strumenti e lo Stato non è in grado di sorvegliare il territorio e combattere l’abusivismo attraverso l’uso delle mappe on line. Io riesco a sapere tutto delle piscine costruite sulle terrazze del mio quartiere o delle violazioni commesse in Sardegna e lo Stato si presenta ancora con un condono mascherato per oltre un milione di case abusive. Ma come mai lo Stato non è intervenuto prima anche per salvaguardare un territorio che era bellissimo e che ora è meno ambito ai turisti di quello croato o di quello maltese? E’ questa la verità dell’ingannatore slogan populista di Berlusconi secondo cui “il governo non metterà le mani in tasca a nessuno”. Dove “nessuno” garantiva evidentemente solo i manager della finanza e gli speculatori edilizi.

 

Altre domande. E’ giusto che ci siano scuole che dopo aver organizzato le “settimane bianche” organizzano gite per Copenhagen o Lisbona invece di accompagnare gli studenti a vedere la Fiat o gli scavi di Ostia? Ancora. Lo Stato non sa che ormai un cittadino su tre ha una biblioteca mondiale sulla sua scrivania e continua a finanziare migliaia di biblioteche tradizionali che certamente non voglio veder scomparire ma che potrebbero in molti casi essere trasformate in luoghi di incontro dei cittadini e in luoghi di servizio per il volontariato. Siamo all’assurdo che Senato e Camera hanno ancora due distinte biblioteche che si danno le spalle ed hanno gli ingressi a trecento passi l’una dall’altra con rilevanti doppie spese. Con parte di quella spesa potrebbero essere distribuiti computer agli studenti che non hanno i soldi per possederli, dando un possente impulso alla cultura e all’industria informatica.

 

Non è il momento di farlo?

 

Ancora. L’antica Roma e alcuni Papi usavano mettere sulle opere pubbliche targhe marmoree che recavano la data di inizio dei lavori e la data di reale conclusione. Ora per lavori di quattro giorni si blocca una via centrale di Milano o di Roma per un mese. Lo spettacolo dei recinti al cui interno lavora un solo operaio perché la ditta ha “vinto” dieci appalti e sposta gli operai e le macchine da un cantiere all’altro in attesa, per ognuno di essi, della proroga dei tempi e dei “ricalcoli” a causa di “emergenze” è uno dei più tristi e costosi tra quelli organizzati dallo Stato centrale e dai comuni.

 

Del modo di funzionare degli ambulatori ospedalieri è meglio non parlare. Duecento persone condannate all’attesa dalle sei del mattino alle undici, ora in cui i medici impegnati fino a quell’ora nei reparti cominciano le visite degli “esterni”. Con una distruzione dell’immagine dello Stato e delle ore lavorative di chi deve fare un’endovenosa.

 

Se ridurre e riesaminare la spesa pubblica significa eliminare sprechi e carenze di questo tipo - ho solo fatto limitati esempi - ben venga. Nessuno si lamenterà dello sforzo necessario per fare un salto di produttività ed avere servizi più qualificati e moderni. Altrimenti sono più che giustificate lotte e proteste di quel ceto medio, pubblico e privato e di quei lavoratori sui quali - poiché qualcuno dovrà pur pagare - finiranno per ricadere tutti i tagli, e i sacrifici.

 

 

 

Luciano Barca

 

 

 

 

 

PS: E perché non tornare alla Camera alla regola vigente quando presidenti erano Saragat, Terracini e Gronchi secondo la quale l’indennità ai parlamentari veniva corrisposta per il 60 per cento in modo fisso e per il 40 per cento secondo il numero dei giorni di presenza effettiva del parlamentare? (Il tavolino per la firma giornaliera era nel transatlantico ed oggi potrebbe esser benissimo sorvegliato da una videocamera. L’obbligo della firma valeva per tutti senza eccezioni).

 

E’ un interrogativo che poniamo al presidente Fini visto che alla Camera settanta deputati sono “assenti cronici”.