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Berlusconi va, il berlusconismo resta
Li ho visti, ero tra loro, con le loro bandiere tricolori, mentre frammenti video mostravano le grandi imprese dello statista “di levatura internazionale”, a braccetto con i “grandi della Terra”. Li ho sentiti, mentre ripetevano imbambolati “Silvio, Silvio, Silvio..”, come un inutile mantra. Li ho studiati con attenzione, mentre rilasciavano improbabili proclami di guerra alle telecamere: “Per Berlusconi sono pronto a uccidere…, marceremo sul Parlamento, metteremo le bombe…” e via sragionando. Agitavano le mani, minacciose. Ostentavano palette in polistirolo, sulle quali facevano triste mostra le frasi che intanto qualcuno ripeteva. Erano persone comuni, specialmente anziani malmessi, in ogni senso, e giovinotti con cappellino d’ordinanza. Lumpenproletariat e media borghesia. Erano un branco smarrito, già privo del suo pastore, anche se lui era là, terreo, nerovestito, a recitar la parte insieme dell’agnello sacrificale e del leader che pur piegato dall’avverso destino,si dichiara pronto a continuare la lotta al di fuori del Palazzo. Quel popolo a sua volta sconfitto, dalle cui bocche – quelle che ancora avevano la forza di aprirsi in una situazione di smarrimento assoluto –, dichiarazioni stanche d’amore per il duce caduto risonavano meste e spente anche quando erano gridate, nello sventolio di bandiere che, con inconsapevole contraddizione, inneggiavano all’Italia, con tanto di tricolore, mentre quella stessa patria veniva ingiuriata perché aveva osato condannare quel sant’uomo.