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I più invisibili dei poveri invisibili

14/01/2009

Omissioni e distrazioni nell'analisi degli effetti della crisi economica. Un esercizio provvisorio: se contassimo e raccontassimo anche gli immigrati?

E’ scontato dirlo: difficile cogliere le complesse manifestazioni dei processi messi in moto dalla “crisi”. E una seconda, altrettanto banale constatazione, è questa: coloro che ci provano, a formulare proposte e a indicare interventi e politiche, in genere si concentrano su uno specifico settore (le questioni cui si rivolge maggiore attenzione sono il mercato del lavoro e i redditi delle famiglie).

Gli approcci (necessariamente, forse) parziali, e le sistematiche omissioni: su questo voglio riflettere. E una “omissione” soprattutto mi colpisce: nel quadro dei prevedibili effetti della crisi non si fa riferimento (quasi mai) a come ne verrà toccata quella parte della popolazione che definiamo come gli “immigrati”.

Quello che qui propongo è un “esercizio provvisorio”. Certo andrebbe fatto meglio. Già il riferimento agli “immigrati” semplifica: da quanto tempo si è in Italia, in quale settore si lavora o se un lavoro non lo si ha, se si è parte di una struttura familiare o comunità coesa o invece isolati, ecc; donne e uomini, prime e seconde generazioni: molte le variabli di cui tenere conto. Ma provo ad avviare una riflessione in questa chiave. Riprendo alcuni interventi che in questi giorni mi è capitato di leggere (sono articoli sui quotidiani: finora troppo breve il tempo dallo scoppio della crisi per riuscire a pubblicare libri o lunghi saggi su questi temi; ma ce ne saranno presto, è certo). Ripeto: è un esercizio appena abbozzato e non vuole essere una critica agli autori di questi testi. E si tratta in tutto di tre esempi.

Certo difficile è muoversi tenendo conto delle tante variabili in gioco, di dati a livello internazionale, difficile intrecciare le diverse prospettive disciplinari. Però suggerire che se non si cerca di farlo, continueremo ad avere analisi molto parziali e rischiamo di non cogliere il quadro in tutte le dimensioni rilevanti: forse val la pena di riflettere su questo.

Tito Boeri in un articolo del 9 gennaio su Repubblica parla dei “poveri invisibili”, dei senzatetto (“senza fissa dimora” è il linguaggio burocratico): condizioni su cui i media si sono soffermati in queste giornate invernali. Si fa riferimento a uno studio, molto opportuno, che ha censito i senzatetto a Milano, circa 4000. “Se tutta Italia fosse come Milano”, commenta Boeri, sarebbero 150.000 le persone in queste condizioni. E sviluppa una serie di considerazioni sugli interventi promossi dalla curia e sul ruolo del volontariato; e soprattutto sui “doveri dello stato”.

Utile dunque la rilevazione, utile parlarne in un importante quotidiano.

Quanti di questi siano “immigrati” non viene detto. Forse quelli che sono più drammaticamente invisibili ed esclusi non si riesce nemmeno a individuarli, dunque a contarli.

Il secondo spunto per il mio “esercizio” lo traggo dagli interventi -in televisione e sui quotidiani- che ci hanno segnalato le cifre –crescenti- della cassa integrazione, adesso e nei prossimi mesi, in molti settori industriali; e, ancora più importante, come per una quota altissima di lavoratori questa tutela di fatto non ci sia. Da un articolo di Paolo Griseri (ancora il 9 gennaio, ancora Repubblica: “Così scelgo i cassintegrati”) emerge come nella decisione di far ricorso alla cassa integrazione da parte di un imprenditore pesino complicati criteri di selezione. Riferimenti agli elementi di particolare debolezza o rischio per i lavoratori immigrati, non ce ne sono.

Prendo infine uno dei quotidiani che si distribuiscono gratuitamente, City, nei giorni della grande nevicata. I titoli (8 gennaio): “traffico in tilt, tram e bus bloccati, automobilisti in difficoltà”. Aggiungono: “un morto”. Nessun accenno a un pezzo della reatà della metropoli al quale in altre occasioni si è dato grande rilievo, i campi rom, le “baraccopoli”, e alle condizioni estreme in cui vive questa parte della popolazione milanese. Appunto: ci sono giorni in cui si parla dei rom, giorni in cui si parla della neve, giorni in cui si parla della crisi.

Ho preso lo spunto da queste notazioni –non rappresentative, certo, delle tante pagine scritte- perchè mi sembra urgente avviare un discorso “metodologico”, se vogliamo, ma soprattutto di sostanza.

Di fronte a mesi o anni di “crisi” peggioreranno le condizioni (di accesso al lavoro, ai consumi, a tutele varie) anche per gli immigrati, anzi, è probabile, più pesantemente, per una parte almeno della popolazione immigrata. Licenziamenti, aumento del lavoro in nero, stipendi ridotti. Altre ipotesi: lavori, come spesso è stato detto, che “gli italiani non vogliono più fare”, diventeranno di nuovo accettabili: quindi competizione, conflitti, tensioni. Sappiamo che già alcuni considerano di tornare ai paesi da cui sono partiti.

Penso ai numeri altissimi di “badanti”, con salari che già dalle ricerche disponibili risultano bassi. Molte lavorano per persone in condizioni economiche difficili, pensionati con entrate insufficienti. Non sarà comunque possibile regolarizzarle, le si pagherà ancora meno. Pur avendone bisogno, molte famiglie o persone sole non potranno permettersi questo aiuto.

Ci sono problemi di alloggio: alcuni avevano sperato di potersi spostare in una casa più grande (per esempio, una famiglia numerosa, “ricongiunta”), e ci si dovrà rinunciare. Se il reddito familiare si riduce magari si rimandano indietro i figli, avviati qui a scuola da qualche tempo, in qualche modo “inseriti”.

Si è –ragionevolmente, penso- prospettata l’ipotesi che se molti si troveranno in condizioni pesanti di impoverimento, crescerà il numero di rapine, furti. E naturalmente viene facile pensare che aumenteranno atteggiamenti di paura e di chiusura: “mandiamoli indietro, non facciamoli entrare”. Pratiche quotidiane di discriminazione e il diffondersi dei nostri “razzismi”, meccanismi che riguardano lo scenario futuro della nostra società. E questo si traduce, in certi settori della politica, in elementi da giocare per consolidare il consenso.

Quel che succede certo peserà sulle condizioni degli immigrati: difficoltà, blocco di progetti e speranze. Ma si tratta anche di noi, della società italiana che sarà segnata dall’insieme di questi processi.

Chiudo con una notizia che non ci riguarda da vicino: o così può sembrare. Dopo il terribile tsunami si era avviata, nelle zone dell’Indonesia che erano state tragicamente colpite, la ricostruzione di attrezzature turistiche, si era accesa la speranza di una ripresa delle attività. Segnalano, invece, che ” non arriva più nessuno”. Dunque non c’è altra scelta che andarsene. Non si fermeranno i processi di mobilità a livello mondiale.

Teniamoli presenti questi dati della “globalizzazione” e le loro possibili ricadute anche per la nostra parte del mondo.

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