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Belluscone: una storia siciliana (e italiana)
I frammenti narrativi e le interviste del film di Franco Maresco, comici, tragici, grotteschi, ben rappresentano il paradigma ( di tanta parte ) del Paese
Si deve al coraggio e alla perseveranza del produttore se l’opera ha visto la luce. L’autore, infatti, è misteriosamente scomparso, lasciando lacerti e frammenti che aspettavano il definitivo componimento. Il film ha quindi carattere dell’opera “incompiuta” ed “aperta”, ma, come in altri casi eccezionali, tale condizione formale esprime una pregnanza superiore.
Senza entrare nella trama-non trama dell’opera ( si veda per questo la bella recensione di Dario Zonta – www.mymovies.it ), quei frammenti narrativi e le interviste, di volta in volta ed insieme, comici, tragici, grotteschi, ben rappresentano il paradigma ( di tanta parte ) del Paese. La cinepresa è usata come prisma che rivela le tante facce di una realtà complessa che neppure il più stralunato teatro dell’assurdo saprebbe rispecchiare.
Si parte dal successo del Berlusconi delle origini e dei suoi rapporti siciliani . Si vede il Berlusconi trionfante e quello che abbandona la Presidenza del Consiglio, ma sempre rimanendo nei cuori di tanti palermitani e, s’immagina, dei tanti mafiosi, dei molti sodali e politici a piede libero e in galera.
Si parla della Sicilia e si intende facilmente l’Italia intera. S’incontrano così Dell’Utri, Ciancimino, Lima, Mannino, il pentito Mutolo, Andreotti, la cui condanna per Mafia, rimossa non a caso insieme allo scomodo Caselli, condanna lo stesso Stato per lo stesso reato; ancor più grave della trattativa Stato-Mafia, un episodio che va inserito nel suo contesto storico più ampio.
Il Virgilio di questo labirintico viaggio, è il critico cinematografico ed amico di Maresco, Tatti Sanguineti, sceso da Milano sulle tracce perdute e non ritrovate dello scomparso regista.
Inconsapevole Anfitrione è il reticente ed ammiccante Ciccio Mira, berlusconiano di ferro e collaterale alla mafia, che organizza giovani cantanti cosiddetti “neomelodici”.
Narrano amori e gesta popolani e della mala - alla Merola - oltre che inni in onore a Berlusconi; diventati l’idolo di tanti giovani del quartiere Brancaccio di Palermo, grande elettore dell’ex cavaliere.
In occasione di tali incontri musicali si salutano “gli ospiti” delle carceri e sembra che in tali saluti ci siano anche messaggi in codice. Spettacoli, che si tengono vicino alla case dei mafiosi: “inchino” musicale analogo a certe processioni religiose.
Ciccio, un altro simbolo della Sicilia e dell’Italia dunque. La cui gioventù sembra destinata a cantare e ballare, al suono del pifferaio televisivo. Nella devozione mariana degli amici di Maria ( con annessa comparsata di Renzi ) e nei programmi che non trascurano gli adulti e i vecchi come “Ballando sotto le stelle” o come “Tale e quale”. Dalle veline alle velone, in una deliberata strategia alternata tra terrorismo economico e distrazione di massa. Con l’offerta deresponsabilizzante dell’uomo della Provvidenza o del capro espiatorio ( spesso il medesimo) sulla solita inesistente “ultima spiaggia”.
Eppure, il filosofo liberale Karl Popper aveva dato l’allarme sulla “Televisione cattiva maestra”! In Italia, per giunta, accompagnata dal coro uniforme dei maggiori organi della de-formazione giornalistica.
E’ verosimile che la volontaria “sottrazione” di Maresco, intellettuale geniale e “politicamente scorretto”, come qualche altra analoga, sia maturata dalla crescente e ( secondo lui ) non colmabile distanza tra la sincerità dei pochi e la tartufesca ipocrisia dei troppi di fronte alla verità dei fatti. La sola veramente rivoluzionaria.
E la cui testimonianza ha sempre richiesto il suo sacrificio: non è così per Cordelia, la figlia non ipocrita di Re Lear, nel capolavoro shakespeariano della sincerità? : “Diremo quello che ci sentiamo, non quello che ci conviene dire”, è la chiusura del dramma. E non è così con il Cristo del Vangelo, e che ci chiede la parola limpida e non ambigua? Una lezione valida per credenti e non credenti.
E’ quindi confortante che la Giuria di Venezia abbia premiato il film, considerando l’imperante clima di conformismo e piaggeria, rafforzato dal “ritorno” dell’ex cavaliere.
Tra i tanti episodi memorabili, l’assoluto, sincero e lungo silenzio di Ciccio ( e di altri intervistati ) alla domanda del regista su cosa sia e a che serva lo Stato. Che d’altronde è del tutto assente sulla scena . Ma in realtà pervasivo con il volto dell’antistato: “Lo Stato siamo noi”, ci dicono innanzitutto gli “ospiti” dell’Ucciardone, e lo confermano i tanti del quartiere.
Un film di verità e del coraggio civile, dunque, ma anche un drammatico documento antropologico non inferiore – a mio avviso - a quelli prodotti a suo tempo da Ernesto De Martino; destinato quindi non solo alla riflessione della critica artistica, ma anche all’attenzione degli scienziati sociali e di antropologia culturale.
Esemplare,in questo senso, la patetica tarantella del Bunga Bunga ( con il cinico sfruttamento di alcune povere ragazze del popolo chiamate ad imitare maldestramente le ciniche e ben pagate olgettine ). Ma – per meglio intendere la lezione di Maresco e tradurla in azioni sociali e politiche concrete – si dovrebbero rileggere le illuminanti e sagge parole di Vincenzo Cuoco sulla Rivoluzione napoletana di fine Settecento.
Quando una borghesia intellettuale e raffinata, ispirata dai principi dell’illuminismo e della democrazia, venne insediata al governo dall’esercito napoleonico; e che - pur eroicamente sincera sino al supplizio e all’esilio - non comprese i limiti delle “liberazioni” esterne, vecchia tara italiana, ripetuta ieri con le “dimissioni” di Berlusconi e richiamato oggi alla “collaborazione” con fidanzata e cagnolino . “… Col novo signore rimane l’antico …” ( Manzoni, nell’ Adelchi ). Né comprese le terrene urgenze e le condizioni culturali del suo popolo, presto strumentalizzato dalle forze integraliste e reazionarie, dalla superstizione religiosa e dal populismo del cardinale Ruffo e del Re Ferdinando.
Oggi, tanti nostri intellettuali e politici che calzano “Church’s” - “cervello grosso e piedi fini” - , che non hanno letto o non compreso il Cuoco e che non vedranno o non capiranno il film, potranno trarre i necessari insegnamenti per invertire il corso del pluridecennale degrado etico, economico ed anche estetico del Paese?
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