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Tra reddito e lavoro, il terzo settore

28/06/2013

Una risposta realistica alla contrapposizione tra reddito e lavoro può consistere nell’incentivare le imprese che perseguono comportamenti socialmente responsabili

L’ampio dibattito in corso su reddito di cittadinanza e reddito minimo garantito – il primo inteso come programma universalistico e incondizionato, che prevede l’accesso da parte di tutti ai frutti delle risorse comuni, il secondo visto come programma selettivo, che implica la concessione di un sussidio in favore di chi si trova al di sotto di una determinata soglia di povertà – ha visto emergere la contrapposizione tra chi, nella lotta alla disuguaglianza e alla disoccupazione, punta a sostenere i redditi e chi punta a sostenere il lavoro.

La proposta di fare ricorso a forme di sostegno al reddito è dovuta alla drammatica situazione in cui ci troviamo. Come ha scritto Claudio Gnesutta, “Per quanto si possa essere convinti che sia il lavoro e non il reddito il fattore decisivo per la realizzazione dell’individuo e per uno sviluppo di qualità della società, ci si deve preoccupare che la mancanza di un’occupazione stabile e dignitosa e il ridimensionamento della quota di reddito complessivo non si traducano in un fattore disgregante del corpo sociale. Una politica economica di sostegno della domanda e politiche fiscali di perequazione potrebbero sostenere la quota del reddito da lavoro, ma, nelle condizioni strutturali che viviamo, esse appaiono ampiamente insufficienti: il reddito di sopravvivenza non può dipendere in assoluto da un’occupazione che i mercati non sono in grado di garantire.” (Claudio Gnesutta, Sbilanciamoci.info 2 maggio 2013, “Garantire il reddito o il lavoro? Una ricomposizione possibile”). Gnesutta ricorda che le previsioni di qui al 2060 dell’Ocse indicano per l’economia italiana un tasso di crescita medio annuo dell’1,5% in termini reali e un tasso di partecipazione al mercato del lavoro al di sotto del 50%. Ci troviamo dunque in una situazione strutturale, in cui l’offerta di lavoro è sistematicamente maggiore della domanda, che definire “crisi” è fuorviante. Una situazione strutturale iniziata nell’ultimo decennio del secolo scorso, acuitasi drammaticamente negli ultimi cinque anni e destinata a protrarsi ancora a lungo.

La seconda posizione, sostenuta in particolare da Giorgio Lunghini (Sbilanciamoci.info 10 giugno 2013, “Reddito sì, ma da lavoro”) e Laura Pennacchi (Sbilanciamoci.info 4 giugno 2013, “Lavoro, e non reddito, di cittadinanza”), sottolinea come l’erogazione di un reddito di base non risolve il problema dei non occupati, in quanto certificherebbe l’emarginazione di chi è fuori dal mondo del lavoro, ne ridurrebbe l’incentivo a trovare un’occupazione e lo esporrebbe a ulteriori forme di deprivazione (1). Secondo Lunghini, verrebbe inoltre favorito il voto di scambio, con tutte le conseguenze di ulteriore degrado della vita politica e civile facilmente immaginabili.

A questo si aggiunga il problema dei costi dei due programmi, in particolare del reddito di cittadinanza. Secondo le stime di Leopoldo Nascia (Sbilanciamoci.info 24 maggio 2013, “Quanto costa un salario di cittadinanza?”) un sistema di salario di cittadinanza per tutti costerebbe fino a 150 miliardi di euro all’anno, cui andrebbe sottratto il risparmio in termini di sussidi di disoccupazione (circa 13 miliardi) e di altre agevolazioni previste dal sistema di welfare, che farebbero scendere l’onere complessivo a 120-130 miliardi. Nello stesso articolo Nascia ricorda che 120 miliardi rappresentano oggi il contributo annuo di dipendenti e pensionati, su un totale di 159 miliardi, alle entrate fiscali dirette. Il reddito minimo garantito ai disoccupati costerebbe invece tra i 36 e i 72 miliardi di euro – a seconda di un’erogazione di 500 euro mensili a disoccupato o di 1000 euro – cui andrebbero sottratti anche qui i 13 miliardi di sussidi di disoccupazione e le altre forme di agevolazione.

È chiaro che ci troveremmo di fronte, nel caso del reddito di cittadinanza, alla necessità di rivedere i nostri parametri di finanza pubblica (anche a prescindere dai vincoli europei) e l’intero sistema di welfare. Né si può pensare di aumentare una tassazione già giunta a livelli insostenibili o di fare affidamento sulla sola lotta all’evasione, che va comunque intensificata. Meno irrealistica la spesa sostenibile per il reddito minimo garantito, il cui impatto sulla finanza pubblica non sarebbe comunque lieve.

La verità è che, in linea di principio, in un sistema che sia al tempo stesso efficiente ed equo occorre ricondurre il diritto al reddito alla partecipazione alla produzione. Naturalmente ci devono essere le dovute eccezioni, come nel caso dei soggetti disabili o non autosufficienti. Lo sostiene anche Ilaria Lucaroni (Sbilanciamoci.info 4 giugno 2013, “Reddito minimo per un Commonfare”), che però declina il principio avendo in mente un progetto radicalmente diverso di società, che bisognerebbe approfondire meglio.

La strada da seguire a mio avviso non può essere che quella di creare attraverso l’attività d’impresa un autentico valore sociale a vantaggio di tutti gli stakeholder aziendali, che comprendono i dipendenti, i fornitori, i clienti/consumatori/utilizzatori, la comunità territoriale di riferimento, non meno dei soci e dei manager. Nel sistema produttivo non sono poche le imprese il cui obiettivo non è il profitto, ma la creazione di un valore sociale, non sempre misurabile, ma che tende a soddisfare quei bisogni della persona di cui parla Lunghini nel suo bel contributo. Tali realtà produttive sono le organizzazioni del terzo settore e quelle imprese for profit che promuovono lungo l’intera catena del valore comportamenti socialmente responsabili. Entrambi questi tipi di organizzazioni permettono di affrontare in una logica diversa sia il problema della non occupazione sia quello della disuguaglianza e della povertà, in quanto se ne fanno naturalmente carico, e pertanto meriterebbero di essere maggiormente incentivate dalle autorità politiche e di governo.

Parallelamente al dibattito sul reddito garantito, nel mondo del terzo settore si sta svolgendo un altro dibattito, su come rilanciare l’impresa sociale. Uno strumento giuridico nato con il d.lgs 155/2006, che con sole 365 imprese “ufficiali” (iscritte cioè all’apposito registro delle camere di commercio) non è ancora decollato, ma che potenzialmente, secondo le stime di Iris Network e Aiccon, può contare su oltre 12.000 realtà che di fatto sono imprese sociali, come molte società cooperative, fondazioni, onlus, associazioni di volontariato, alcune imprese for profit. Tutte organizzazioni private che non hanno come obiettivo principale il profitto, ma la realizzazione di finalità di interesse generale nel campo della produzione o dello scambio di beni e servizi di utilità sociale. Ebbene, sarebbe giusto sostenere maggiormente queste imprese attraverso consistenti sgravi fiscali, semplificazione normativa, possibilità di remunerare in maniera congrua il capitale (2).

Allo stesso modo si dovrebbero premiare quelle imprese for profit che ricorrono alla certificazione etica e si ispirano nei loro comportamenti a principi di responsabilità sociale, che non siano di facciata, ma autentici, basati sulla salvaguardia o meglio l’aumento dei posti di lavoro, il rispetto ambientale, la giusta proporzione tra remunerazione dei manager e remunerazione dei dipendenti.

Basterebbero questi strumenti per fronteggiare la grave situazione strutturale cui ci troviamo di fronte? Probabilmente no nel breve-medio periodo, e per questo una prospettiva di reddito minimo garantito non può essere esclusa per arginare il crescere delle forme di deprivazione. Sarebbe però il segnale dell’inizio di un nuovo percorso in grado di ridare centralità al fattore umano nel processo di creazione e distribuzione del reddito, fornendo una risposta etica ai problemi della non occupazione, della disuguaglianza e della povertà.

 

(1) Si veda su quest’ultimo aspetto Amartya Sen (1997), “Inequality, Unemployment and Contemporary Europe”, in “International Labour Review”.

(2) Si vedano al riguardo l’articolo di Stefano Arduini “Impresa sociale. Che impresa sarà?”, contenuto in “Vita”, maggio 2013 n.5, e l’allegata intervista a Pellegrino Capaldo “Fisco zero per le imprese sociali” di Francesco Agresti.

 

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Commenti

Ancora sulle cooperative

C'è una tenda davanti alle Molinette. Sotto quella tenda c'è Roberto Amerio, infermiere del Mauriziano e sindacalista del Nursing Up, che da quasi tre giorni è in sciopero della fame. Gli abbiamo parlato per capire perché lo sta facendo.



Buongiorno Roberto, innanzitutto come sta?




Ancora in piena forza, grazie.




Perché sta facendo lo sciopero della fame?




Il 27 giugno abbiamo avuto l'ennesimo incontro in Regione e abbiamo riscontrato la totale sordità ai problemi reali dei lavoratori della Sanità e degli utenti. La forbice tra il servizio atteso (e decantato) e quello che viene realmente offerto si va allargando paurosamente, i pensionamenti non vengono rimpiazzati da nuove assunzioni, i reparti scoppiano e i lavoratori, anche, sottoposti come sono a turni allucinanti.




Lei è l'unico a digiunare?




Al momento, sì, con il sostegno di tutti i colleghi del sindacato Nursing Up e la solidarietà di moltissime persone.




Il Nursing Up (http://www.nursingup.piemonte.it) è un sindacato autonomo?




Sì e da circa 20 anni rappresenta le 22 professioni sanitarie (infermieri, ostetriche, tecnici di radiologia, eccetera). Sindacalmente parlando, non abbiamo l'appoggio di nessun altro. Anche l'IPASVI, il Collegio degli Infermieri (http://www.ipasvi.it/chi-siamo/federazione.htm#) si limita a denunciare le situazioni inaccettabili e questo è a sua volta un fatto gravissimo, dovrebbe vigilare affinché non si realizzino...




Il problema speculare alle mancate assunzioni negli ospedali è che i neolaureati vanno a lavorare nelle cooperative...




Questo è un altro aspetto scandaloso. Persone competenti e qualificate, della cui opera c'è estremo bisogno, costrette per non rimanere disoccupate ad accettare condizioni lavorative deprecabili, come un salario di 750 euro per 250/300 ore di lavoro il mese o il fatto di doversi portare da casa i propri guanti...sotto la tenda passano molte persone a raccontarmi casi così (vedi anche: http://www.fabionews.info/ViewAppuntamento.php?id=16546, N.d.R.), stiamo raccogliendo decine di testimonianze incredibili.




Fino a quando continuerà lo sciopero?




A oltranza, finché le forze me lo permetteranno, per far sì che la situazione sia conosciuta il più possibile dagli operatori e dagli utenti.







Ricordiamo che sotto la tenda di Nursing Up si può anche firmare contro la Delibera della Regione che blocca il turn-over del personale infermieristico. Non fate mancare il vostro appoggio, ricordate che nessuno può dirsi indifferente al tema della Sanità!




Giuliana Cupi – 5 luglio 2013
La riproduzione è consentita
citando la fonte.

No comment

Gli Operatori Sociali Non Dormienti invitano ad esserci e a diffondere,quello che accade a Paolo puo' accadere ad ognuna/o di noi.

LUNEDÌ 8 LUGLIO ALLE 10.30 DEL MATTINO, SOTTO LE FINESTRE DELLA DIREZIONE VALDOCCO (IN VIA LE CHIUSE, 59) SI TERRA' UNA MANIFESTAZIONE DI PROTESTA, ALLEGRA E CREATIVA COME PIACE A NOI OPERATORI SOCIALI, PER CHIEDERE IL REINTEGRO DI PAOLO NEL SUO POSTO DI LAVORO. VI PREGHIAMO DI PARTECIPARE NUMEROSI, DIFFONDENDO ANCHE QUESTA INFORMAZIONE A TUTTI QUELLI CHE CONOSCETE E CHE RITENGONO CHE I DIRITTI DI LAVORATRICI E LAVORATORI CONTINO ANCORA QUALCOSA.

LETTERA AI/ALLE SOCI/E VALDOCCO CONTRO LE INGIUSTIZIE

Cari/e colleghi/e della coop. Valdocco
riteniamo necessario “rompere il silenzio”, informando tutti e tutte noi della situazione occorsa ad un nostro collega, Paolo, in servizio al carcere delle Vallette.
Senza aver ricevuto nessun appunto dalla committenza (e senza che fossero diminuiti i carichi di lavoro del servizio), Paolo è stato convocato in v. Le Chiuse dall'Addetto Tecnico di Direzione, che gli ha notificato lo spostamento OBBLIGATO ad una comunità disabili distante 55 km da casa sua. Il collega è un part-time (21 ore) e ovviamente la spesa per benzina e autostrada riduce il suo effettivo stipendio a una miseria.
La motivazione dell' ATD per il trasferimento è stata la "mancata rintracciabilità telefonica" del collega fuori dai suoi turni di lavoro, RINTRACCIABILITA' TELEFONICA CHE NON È PREVISTA DAL CONTRATTO di Paolo e dei suoi colleghi del servizio.
In più circostanze Paolo aveva segnalato al suo responsabile i problemi derivati dalla mancanza di una REPERIBILITA' strutturata, così come prevista dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, sia per il benessere degli/delle operatori sia per la Coop: per non rischiare di lasciare "scoperti" pezzi del servizio (cioè blocchi carcerari) per mutue improvvise o per disorganizzazione: evenienza che si è, purtroppo, verificata più volte. Questo, ovviamente, fa cadere gravemente l'immagine di affidabilità della ns. Coop e ci espone anche a rischio di perdere l'appalto per recesso della committenza.
Insieme ad altre colleghe del servizio, Paolo aveva già segnalato che la mancanza della REPERIBILITA' PROGRAMMATA toglie la possibilità agli operatori di organizzare con tranquillità la propria vita privata e costringe i colleghi e le colleghe a doppi turni massacranti tali da mettere a rischio la salute e la qualità del servizio erogato.
La risposta è stata il TRASFERIMENTO. In sostanza: un SOCIO-LAVORATORE che nella NOSTRA Cooperativa chiede il rispetto delle regole per il benessere degli operatori e la qualità del servizio; chi, ragionando, rileva criticità e mancanza di volontà di risolverle da parte dei Responsabili, FINISCE PER ESSERE CONSIDERATO LUI STESSO "IL PROBLEMA" e si tenta di FIACCARLO (con sistemi vigliacchi e autoritari) sperando che sia lui/lei stesso a gettare la spugna e andarsene dalla Valdocco.
Tutto questo è illegittimo, immorale, antisindacale. A maggior ragione nella nostra Cooperativa, dove i concetti di solidarietà e mutuo aiuto vengono agitati come bandiere nelle assemblee e feste comandate, e disattesi nei fatti.
Per fortuna, stufo di queste situazioni, da qualche mese Paolo si era iscritto al sindacato di base e aveva anche deciso, proprio una settimana prima del provvedimento, di accettare la nomina a Rappresentante Sindacale. PAOLO NON È SOLO: è subito scattata la SOLIDARIETA' TRA LAVORATORI/TRICI. Abbiamo perciò deciso di informare TUTTI i soci di quanto accaduto al collega affinchè tutti sappiano che anche questo può succedere nella NOSTRA Coop e che NON DEVE PIU' SUCCEDERE.
Vogliamo che Paolo ritorni al suo posto, per una questione di giustizia.

NON FACCIAMO PREVALERE IL SILENZIO. DIFFONDIAMO LE NOTIZIE, COMUNICHIAMO TRA NOI SOCI, PAOLO PUO' ESSERE CIASCUNO DI NOI!!

il collettivo lavoratrici e lavoratori
CUB VALDOCCO

La dignità del "lavoro"

Questa roba la chiamiamo lavoro che dovrebbe garantire la dignità: http://www.lastampa.it/2013/07/01/cronaca/insieme-per-inventare-il-posto-che-non-c-pi-z2fBo6Ymm91FirRfUJo3EI/pagina.html? E i vecchietti dove trovano i soldi per pagare i voucher?
Ma per favore!
Giuliana Cupi

cooperative

Avevo lasciato un commento dal contenuto analogo a quello di Cupi sulle condizioni di sfruttamento praticate dalle cooperative nei confronti di chi lavora per loro (nei settori del lavoro di cura e culturale ad esempio) e me lo ritrovo cancellato senza tracce e senza una spiegazione. Non è la prima volta che ciò avviene quando si avanzano critiche ai vostri articoli, benché non abbia mai incitato alla pedofilia, alla violenza, al razzismo o peggio, né abbia mai insultato nessuno.
Non è una bella abitudine, francamente, e non ce la si aspetta da un sito serio. Dopodiché ci arrivano le email con richieste di sostegno e finanziamenti, però.
Quanto meno, se ritenete che questo sia il vostro stile, dichiarate da qualche parte le regole cui attenersi.

Il no-profit e il reddito

Per voi le cooperative sono "organizzazioni private che non hanno come obiettivo principale il profitto, ma la realizzazione di finalità di interesse generale nel campo della produzione o dello scambio di beni e servizi di utilità sociale"? Fate finta di non sapere come si lavora e si viene sfruttati in quei posti? Complimenti.
Giuliana Cupi

reddito minimo

spread-politica-economia-massoneria.blogspot.it/2013/05/redditominimogarantito.html
Il reddito minimo va fatto eccome e con convinzione, le risorse ci sono come mostrano i dati istat,eurostat e magistratura del lavoro.
Incentivare le imprese non serve se non esportiamo più a causa dell'effetto Kaldor e se la domanda interna aggregata è inesistente perchè ci sono milioni di persone abbandonate alla morte per fame o al costosissimo lavoro in nero.
Produrre non significa fabbricare vasi da notte bensì ANCHE VENDERLI. Se non vendi non assumi...nonostante incentivi,anche se per avere incentivi è facile,in certi casi, tu licenzi per assumere uno nuovo perchè becchi soldi.