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La manovra finanziaria e le donne

25/11/2008

Ici, straordinari, Alitalia, scuola, dimissioni in bianco, enti locali, asili nido... Voce per voce, la questione di genere nelle ultime manovre economiche: non pervenuta

Non pervenuta. La questione di genere è completamente assente dalle scelte di politica economica che emergono analizzando la manovra del governo. Questa assenza si percepisce ovunque: dalle questioni legate al mercato del lavoro a quelle di sanità pubblica passando per le politiche sociali. Si tagliano fondi, si abrogano leggi, si gettano le basi per ulteriori discriminazioni. Una macchina demolitrice alimentata ad indifferenza.

 

Il primo intervento che analizziamo, andando in ordine temporale ma non solo, è il decreto fiscale n. 93 del 2008 convertito con modifiche dalla legge 112. Il decreto contiene l’abolizione dell’Ici, la detassazione degli straordinari e un aiuto a quello che rimaneva di Alitalia. Una prima riflessione riguarda la detassazione degli straordinari: un intervento in grado di indebolire notevolmente la posizione delle donne sul mercato del lavoro. Questo avviene attraverso due meccanismi. Innanzitutto, rendendo il lavoro straordinario più conveniente per il datore di lavoro, si disincentivano le nuove assunzioni in generale e quelle delle donne, che più difficilmente possono fornire tale prestazione, in particolare. Inoltre la detassazione permette al datore di scaricare una parte del rischio d’impresa sul lavoratore disposto ad accettare un salario di base più basso da integrare con straordinari e premi di produttività. Questi ultimi sono, infatti, legati all’andamento dell’attività economica e vengono decisi man mano dal datore di lavoro. In qualsiasi momento, quindi, il lavoratore si può trovare con il solo salario base, che potrebbe però non essere sufficiente. I lavoratori che non possono fare orari straordinari, più frequentemente le donne appunto, si troveranno a rifiutare il lavoro o ad accettare un salario base più basso senza possibilità di integrarlo.

 

Il decreto, come si è detto, contiene anche l’abolizione dell’Ici e un aiuto ad Alitalia: un’operazione da 3 miliardi di euro di minori entrare (e maggiori uscite) in tre anni che ha richiesto altrettanti miliardi di tagli per la copertura (art. 5). Tra questi un taglio per 20 milioni di euro che erano stati destinati dalla Finanziaria 2008 ad un piano contro la violenza sulle donne. Violenza che nel nostro Paese raggiunge livelli allarmanti e troppo spessi ignorati: il rapporto Istat 2007 “Violenza e maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia” stima infatti che siano oltre 6 milioni le donne tra i 16 e i 70 che nel corso della loro vita sono state oggetto di violenza fisica o sessuale. Solo al 4% dei casi di violenza ha fatto seguito una denuncia.

 

Da non sottovalutare, poi, i numerosi tagli previsti al trasporto urbano e al trasporto locale. Anche se è difficile valutarne l’impatto di genere è importante osservare che, essendo le donne quelle che spesso accompagnano negli spostamenti i minori e gli anziani, un’organizzazione più efficiente del trasporto locale può sensibilmente migliorarne la qualità della vita.

 

Passiamo ora alla famosa legge 133. Un primo provvedimento (comma 10, art. 39), scandaloso al parere di chi scrive, è quello previsto dall’abrogazione della legge 188 del 2007. Questa legge, approvata con un voto bipartisan dalla passata legislatura, permetteva di impedire in maniera semplice ed efficace il fenomeno, molto diffuso, delle cosiddette dimissioni in bianco: ovvero un foglio di dimissioni fatto firmare in bianco, appunto, contestualmente all’assunzione, utilizzabile dal datore di lavoro per allontanare in qualsiasi momento il lavoratore molto spesso in caso di malattia ma ancora più spesso in caso di maternità. La legge prevedeva per le dimissioni volontarie moduli progressivi dotati di scadenza e pertanto non retrodatabili. Un meccanismo semplice ma in grado di annullare una pratica profondamente discriminatoria. Una legge fortemente malvista a Confindustria e che è stata immediatamente cancellata, nell’indifferenza generale, dal nuovo governo. Tra i tagli alla sanità (art. 79), manca il finanziamento (30 milioni) al fondo per la campagna di vaccinazioni contro l’HPV. Il vaccino contro il papillomavirus protegge da quattro ceppi virali della patologia sessualmente trasmessa più diffusa al mondo, tra i quali due che causano il 70 per cento dei tumori del collo dell’utero. Dai dati raccolti sino a questo momento risulta che il vaccino è particolarmente efficace se somministrato a donne che non siano ancora sessualmente attive, per questo è in atto una campagna di vaccinazioni per tutte le ragazze nate nel 1997 (280 mila), che a questo punto ci si domanda come possa venire ulteriormente finanziata.

 

Ci sono poi i tagli agli Enti Locali (art. 77): solo per province e comuni si tratta di 9,6 miliardi di euro in 3 anni. I comuni sono, in base alle legge 328 del 2000 e in accordo con il principio costituzionale di sussidiarietà, “i titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale”. I servizi sociali erogati dai comuni, singoli o associati, coprono diverse aree strettamente connesse alle attività di cura normalmente a carico delle donne. In particolare i servizi per i minori (assistenti sociali, interventi per l’integrazione, sostegno socio-educativo scolastico e domiciliare, attività ricreative e culturali, sostegno alla maternità, consultori, asili nido e servizi integrati per la prima infanzia etc…), per i disabili e per gli anziani (assistenza domiciliare socio assistenziale e integrata con servizi sanitari, attività di socializzazione e inserimento lavorativo, trasferimenti economici a supporto del reddito…) possono svolgere un ruolo fondamentale di alleggerimento dei compiti di cura di una donna. Proprio questo tipo di servizi sono però i primi ad essere tagliati a causa della riduzione dei trasferimenti statali (come ricordava qualcuno “la voce spreco non sta in bilancio…”). Alla decurtazione dei trasferimenti va qui sommato anche il mancato aumento del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (art. 63), fondo che finanzia proprio la spesa sociale degli enti locali e che non viene nemmeno adeguato all’inflazione programmata (che è comunque molto più bassa, per stessa ammissione del governo, di quella effettiva). Ci sono due motivi, entrambi connessi con la lotta alla povertà e all’esclusione, per cui risulta fondamentale che lo Stato continui, migliori ed incrementi l’erogazione di questo tipo di servizi. Innanzitutto, perché incentivano la partecipazione della donna al mercato del lavoro alleviando le condizioni di povertà delle famiglie monoreddito con perone non autosufficienti a carico (minori, anziani, disabili). Più in generale, perché l’erogazione di servizi è più efficace del semplice trasferimento monetario nella lotta contro la povertà.1 Questo fatto dimostrato è dalla minore capacità di ridurre il tasso di povertà, confrontando i rispettivi andamenti “prima” e “dopo” i trasferimenti monetari, del nostro paese, dove la quota di servizi è molto bassa rispetto a quella dei trasferimenti, rispetto agli altri paesi europei (si veda a tal proposito il Rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia, Caritas 2008).

 

Ultima ma certamente non meno importante la riforma della scuola, il famoso decreto 137, che certamente non viene incontro alla donna lavoratrice mettendo a serio repentaglio, con il ritorno al maestro unico non solo nelle elementari ma, parrebbe, anche alla scuola materna, la possibilità da parte degli istituti di garantire l’orario scolastico a tempo pieno.

 

Insomma un quadro allarmante e disarmante allo stesso tempo. Un quadro talmente misero da far sembrare, purtroppo aggiungerei, anacronistico il suggerimento avanzato da Luisa Muraro alla sinistra italiana in un interessante articolo pubblicato sul manifesto di domenica 11 settembre.

 

La politica, suggerisce la Muraro, non deve rispondere ai bisogni degli individui ma piuttosto ai loro desideri. Costruire o chiedere la costruzione di asili nido, come suggerisce la campagna Sbilanciamoci! nella sua controfinanziaria, non sarebbe altro che un ripiego, un venire a patti con una realtà fatta di donne che, pur desiderando stare accanto ai loro bambini nei primi mesi di vita, si trovano costrette a lavorare e quindi a mandarli all’asilo. Gli asili nido, e immagino a questo punto non solo quelli, sono, dunque, risposte ad una domanda sbagliata, o quantomeno secondaria. Da economista mi verrebbe da dire che i desideri sono una categoria instabile e personale che non rende agevole il compito di disegnare politiche in grado di dare risposte universali. Allo stesso tempo però, penso alle parole dell’economista premio Nobel Amartya Sen secondo il quale una società che offre più opzioni agli individui che ne fanno parte, ampliandone la libertà di scelta, è sicuramente una società più ricca. Sarebbe possibile e, secondo questo ragionamento, auspicabile, per esempio concependo un adeguato sistema di voucher, offrire alle donne la possibilità di scegliere tra lo stare a casa con il figlio appena nato e il mandarlo al nido. Allo stesso tempo si potrebbe innescare un meccanismo, simile a quello già esistente in molti paesi scandinavi2, in cui le mamme che scelgono di lavorare usano il voucher per lasciare il proprio bambino ad una donna che al contrario ha deciso di rimanere a casa. Quest’ultima potrebbe così tenere 2 o 3 bambini (non di più) di altre lavoratrici e integrare, incassando il loro voucher, il proprio reddito. Rimane allo stesso tempo scoperto un problema legato alle possibilità di fare carriera delle donne che decidono di rimanere fuori dal mercato del lavoro.

 

Al di là di quelle che per ora non sono altro che semplici speculazioni, quello che mi sembra di poter affermare senza troppe indecisioni è che, a guardare la manovra finanziaria di quest’anno (senza nulla voler togliere a quelle passate…), la politica non dà risposte né ai bisogni né tanto meno ai desideri. Diciamo pure che la politica degli ultimi anni, tranne qualche rara occasione, la questione di genere proprio non se l’è posta. E questo fa sì che il suo operare, soprattutto in condizioni di crisi “uno stato –ci ricorda Mauss- in cui le cose anormali sono regolari e quelle normali impossibili”, talora travolga talaltra corroda lentamente le conquiste fatte negli ultimi decenni.

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